domenica 11 luglio 2010

Variazioni su Orazio

ORAZIO

CARMINA, I,11

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati!
Seu plures hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum, sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

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FOTOGRAFIA © IL MERCURIO


“Tradurre è anzitutto comprendere, ma non è poi semplicemente riprodurre quanto si è compreso”.
Questo scriveva il linguista Benvenuto Aronne Terracini. Tradurre poesia non è semplice: occorre entrare nella mente dell’autore e riuscire ad esprimere quei concetti in un’altra lingua. Molti non ci si provano neppure, lasciano la via della metrica e si limitano a trasporre i versi in frasi. Il vero poeta invece se ne frega talvolta di essere letterale, afferra il concetto e lo esplora, lo porta fino ai limiti del possibile, lo conduce per mano dalla lingua originale all’altra. Come al solito, gli esempi sono sempre più efficaci di qualsiasi discorso. Vediamo come questo celebre brano di Orazio, quello del “carpe diem” è stato tradotto, o meglio “interpretato” da alcuni grandi poeti.

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EDOARDO SANGUINETI

IMITAZIONE DA ORAZIO

tu non cercare, è illecito sapere, che fine a me, che fine a te,
Leuconoe, ci hanno dato gli dei, e non tentare
calcoli babilonici: meglio è subire quello che sarà,
se molti inverni ci ha assegnato Giove, o questo è l’ultimo,
che adesso, contro le scogliere, fiacca il mare
Tirreno: rifletti bene, versati il vino, e taglia la tua lunga
speranza in breve spazio: mentre parliamo, è già fuggito, a noi ostile,
il tempo: vivi questo tuo giorno, e non fidarti niente di un domani:

(da Il gatto lupesco – Poesie 1982-2001, Feltrinelli, 2002)

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FRANCO FORTINI

NON DOMANDARE

Non domandare, è male, la fine mia, la tua.
Non cercar gli oroscopi. Ti basti,
quel che sarà, patire.
Altri inverni verranno o questo è l’ultimo
che ora affanna ai promontori il mare
Tirreno. Tu che sai,
versa altro vino: la vita è breve, è lunga
la speranza. Recidila. Ti parlo e
l’ora va. Ridi al giorno. Altro non c’è.

(da Composita solvantur, Einaudi, 1994)

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GIOVANNI PASCOLI

PENSIAMO A VIVERE

Non cercare così - che non si può - quale a me, quale a te
Sorte, o Candida, sia data da Dio; lascia di leggere
Quelle cifre Caldee. Prenditi su quel che viene, e via!
O che abbiamo più verni anche, oppur sia l’ultimo questo, che
ora il mare tirreno urta ed infrange alle scogliere, tu
spoglia il vino nel filtro, e, s’è così breve la nostra via,
lunga non la voler tu la speranza. Ecco, parliamo e un po’
questa vita fuggì. L’oggi lo sai: non il domani, oh! No.

(da Traduzioni e riduzioni, Zanichelli, 1913)

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LA FRASE DEL GIORNO
Un concetto è lo stesso sia per un filosofo cinese che per uno ungherese o inglese. Chiunque in realtà può esporlo con le proprie parole. Il concetto quindi, in quanto spiritualità, è dell’umanità intera.
ATTILA JÓSZEF




Quinto Orazio Flacco (Venosa, 8 dicembre 65 a.C. – Roma, 27 novembre 8 a.C.), poeta latino. Può essere definito come il più classico dei poeti latini sia per il contenuto sia per la perfezione formale della sua poesia. Egli ha infatti cantato un atteggiamento morale e uno stile di vita ispirati alla semplicità, al distacco dalle passioni e al senso della misura. 


Edoardo Sanguineti (Genova, 9 dicembre 1930 – Genova, 18 maggio 2010), poeta, scrittore e politico italiano, che fece parte del Gruppo 63. La sua poetica è una disgregazione sperimentale del linguaggio, andata attraverso l’assemblage verso una forma più diaristica e concreta.


Franco Fortini, nato Franco Lattes (Firenze, 10 settembre 1917 – Milano, 28 novembre 1994), poeta, critico letterario, saggista e intellettuale italiano. La sua poesia è testimonianza anche ideologica delle lotte di classe del primo dopoguerra, voce progressista e coscienza critica del fallimento degli ideali.


Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912), poeta e accademico italiano, eccelso latinista, figura emblematica della letteratura di fine Ottocento. Nonostante la sua formazione eminentemente positivistica, è il maggiore esponente del Decadentismo.



63 commenti:

Unknown ha detto...

Ho riletto attentamente anche io questo post. A mio parere la migliore traduzione è quella di Edoardo Sanguinetti. Trovo infatti che essa sia più legata alla traduzione nuda e cruda dal testo latino. Forse proprio per questo rende un'immediata comprensione del messaggio di Orazio : non sprechiamo del tempo a chiederci se e quanto ancora vivremo, viviamoci il presente e facciamo nostro l'attimo più bello!

Paolo Poggi ha detto...

Concordo con Ilaria sulla fedeltà e essenzialità della traduzione di Sanguineti, vicine all'originale. S imile è la versione di Canali, riportata in Latinitas 2, ancora più precisa nel tradurre il v. "liques" con "filtra", a indicare la scelta della parte migliore della vita.

Unknown ha detto...

La traduzione più fedele, quasi letterale, è sicuramente quella di Roncoroni, molto simile a quella di Sanguineti, anche se offre delle interpretazioni lievemente diverse per alcuni termini (ad esempio "invida" nel settimo verso). Meno letterali, ma sicuramente più patetiche ed efficaci, a mio avviso, nel trasmettere il messaggio del carme (e non è forse questo il fine dell'arte?) sono le traduzioni di Pascoli e di Mandruzzato. In queste viene enfatizzata ancor di più la possibilità di ghermire il presente, evitando di rifugiarci in un futuro esistente solamente in potenza.

Unknown ha detto...

Come ha scritto precendentemente DR, non deve essere una mera traduzione scolastica, al contrario, "il vero poeta afferra il concetto e lo esplora" (come ben esplicita l'introduzione ai tre testi). Per questo, l'interpretazione che apprezzo di più è quella di Fortini. Sicuramente la sua non è una traduzione così vicina all'originale testo oraziano, ma nell'incalzare delle proposizioni riesco a cogliere con più efficacia il messaggio del poeta classico. Di Pascoli mi piace particolarmente la scelta di tradurre il nome di "Leuconoe" in Candida, rendendo l'idea della nostra umana incapacità di conoscere il futuro.

Unknown ha detto...

Le traduzioni qui proposte, tutte grammaticalmente corrette, si differenziano nell'interpretazione che danno alle parole del poeta Orazio.
Franco Fortini, ad esempio, coglie nell'opera un senso di gioia, traducendo "Carpe diem" con "Ridi al giorno", a parer mio distaccandosi troppo dal senso di rinuncia che invece sottointendeva Orazio.
Pascoli invece sottolinea i concetti e rende viva e sicura la poesia.
La traduzione più fedele credo sia quella di Sanguinetti poichè è l'autore che più si attiene al testo latino.

Unknown ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Unknown ha detto...
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Filippo DeZordi ha detto...

Dopo aver letto attentamente il testo latino ed aver analizato le varie proposte di traduzione presentatemi e’ difficile trovare una traduzione concisa che si adatti gelosamente alle parole latine ma probabilmente,
utilizzando la versione proposta da Latinitas di Roncoroni come metro di confronto,la traduzione che si avvicina di piu ad una traduzione letterale è quella proposta da Edoardo Sanguineti seppur con alcune variazioni.
In ogni caso la traduzine che più mi ha colpito è quella proposta da Giovanni Pascoli in quanto riesce a trasmettermi più profondamente il suo pensiero sul "carpe diem" per esempio è molto coinvolgente quando scrive "L’oggi lo sai: non il domani, oh! No.".

Unknown ha detto...

A mio parere, la traduzione offerta da Sanguinetti è più fedele al testo latino. Egli cerca sia di tradurre alla lettera vocaboli quali "debilitas" sia di fornire una propria interpretazione all'ode attraverso l'interpretazione più libera di "sapias" o " Babylonios numeros".
Tuttavia trovo più innovativa e personale la traduzione di Franco Fortini. Quest'ultimo ha fornito al testo ovidiano un carattere più moderno grazie all'interpretazione del testo latino con termini più comuni "la vita è breve, è lunga la speranza" e con l'elisione del vocativo "Leuconoe", per potersi rivolgere ad un pubblico più vasto e indefinito.
Tuttavia, in entrambe le traduzioni si può notare lo stato d'animo angoscioso verso la morte, che caratterizzava molto Ovidio.

Unknown ha detto...

Leggendo le tre traduzioni ho trovato più interessante quella di Giovanni Pascoli "Pensiamo a vivere" per la sua maggiore musicalità e poeticità.
Inoltre mi piace come Pascoli ha sostituito termini con altri di ugual significato (calcoli babilonesi/cifre caldee; leuconoe/Dio) mantenendo invariata la struttura del testo.
In più trovo che il verso finale, che è quello con il significato più forte, sia meglio reso degli altri due testi, poichè quello di Sanguinetti, anche se ben tradotto ed efficace manca di originalità e quello di Fortini è troppo sintetico e manca del termine chiave: "domani".

Unknown ha detto...

Sebbene la traduzione di Sanguineti sembri più fedele a mio parere le altre due versioni portano anche un messaggio che nella traduzione di S. manca, ovvero quella che si può esprimere come la voglia di vivere, vedi le traduzioni "prendi quel che viene, e via!" o "ridi al giorno".
Sembra quasi un approccio diverso alla poesia dove si vede l'interpretazione dello scorrere del tempo in un caso come erosione della vita e negli altri, sebbene vi sia questa componente, di nuove possibilità.

sweetkstew ha detto...
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Unknown ha detto...

Ogni traduzione può essere apprezzata per un suo segno particolare e una sua impronta stilistica. La traduzione di Fortini infatti risulta molto personale arrivando a modificare alcuni versi, omettendo parole e aggiungendone altre, come per esempio nel verso 4 in cui omette di citare Giove. Pascoli invece si concentra sul mantenimento della versificazione della poesia lasciando in secondo piano la coerenza della traduzione letterale per concentrarsi nella trasmissione del messaggio oraziano, infatti nell'ultimo verso egli traduce carpe diem con "l'oggi lo sai", discostandosi molto dalle altre traduzioni. Sanguineti mantiene una linea più semplice volta a mantenere intatta la traduzione nella sua originalità mantenendo una vicinanza alla traduzione letterale dei versi oraziani e risultando la più "corretta" e attinente alla poesia latina. A mio parere la traduzione che preferisco è quella di Pascoli che tenta di mantenere intatto il messaggio voluto trasmettere da Orazio.

Unknown ha detto...

La traduzione più fedele al testo originale anche secondo me risulta quella di Sanguineti. Viene rispettata, nei limiti possibili,la sintassi e il lessico utilizzato da Orazio riuscendo a trasmettere il messaggio testuale nella sua autenticità.Le altre due traduzioni (di G. Pascoli e di F.Fortini)sono più libere e poetiche. Basti vedere la traduzione ad esempio di "spem longam reseces" che nel testo di F.Fortini vengono addirittura a formarsi due frasi distinte facendo così assumere a"reseces" un significato più marcato.Un'altro esempio è quello della traduzione di "sapias" che nel testo di G. Pascoli viene praticamente omessa mentre negli altre due sta a significare sia colui che possiede conoscenze sia colui che sa agire con prudenza e saggezza. Ad ogni modo il messaggio di Orazio di cogliere l'attimo viene espresso in modo chiaro in tutte e tre le traduzioni.

Unknown ha detto...

Leggendo le traduzioni di F. Fortini e di G. Pascoli noto la diversa interpretazione che si può dare a questo testo. Mentre nella prima percepisco una visione quasi pessimistica (soprattutto dall'utilizzo del verbo "patire" o dall'utilizzo della frase "Altro non c'è." alla fine del brano), nella seconda invece il verso "Prenditi su quel che viene, e via!" mi dà sicurezza. E' per questo motivo che preferisco quella di Pascoli tra le traduzioni libere.
Resta il fatto che la traduzione di E. Sanguineti è quella che più si avvicina alla traduzione letterale del testo e quindi, a mio parere, più facile da comprendere.
Seppur in modo diverso il concetto "cogli l'attimo perchè il tempo avido fugge" è chiaro in tutte le versioni.

Unknown ha detto...

Oggettivamente e scolasticamente parlando, l'interpretazione più fedele all'originale è sicuramente quella di Sanguinetti. Tanto che si potrebbe identificare più come una traduzione che come un'interpretazione.
Orazio nei suoi versi cerca di dare un consiglio, un consiglio che dovrebbe aiutare il lettore a superare l'innata paura che l'uomo ha dell'ignoto e della morte, in piena ottica epicurea.
A mio parere, detto ciò, l'interpretazione di Fortini, più di tutte, è riuscita a trasmettermi questo
messaggio, questo senso di sicurezza che Orazio cercava di trasmettere nell'originale.

"Ridi al giorno. Altro non c'è."
perchè tutto ciò di cui puoi godere è oggi.

Unknown ha detto...

Leggendendo con attenzione e confrontando le traduzioni offerte dal blog, mi ritrovo ad apprezzare la versione di Sanguineti, fedele al testo e dunque ricca di immagini e figure da cogliere ed interpretare (ad esempio il filtraggio del vino, inteso come invito a godere dei momenti più degni e significativi della fuggevole vita).
Nonostante ciò apprezzo maggiormente la traduzione di Fortini, che riscrive il passo Oraziano in chiave "moderna", trasmettendo con immediatezza i suoi versi ad ogni lettore.
Dora

filippo tonel ha detto...

a mio parere è necessaria una distinzione nei metri di giudizio e di scelta di una traduzione,in quanto tutte e tre le traduzioni sono valide ma presentano caratteristiche diverse nell'interprettazione del testo,la prima di Sanguineti più attinente al testo latino è ottima per comprendere il messaggio di orazio,nonostante ciò preferisco le ultime due in particolare quella di Fortini, dove vengono oltrepassati i limiti della formale traduzione letterale,per una traduzione piu personale e licenziosa che rimane più impressa nel lettore

Unknown ha detto...

A mio parere la traduzione migliore è quella scritta da Edoardo Sanguineti, in quanto si attiene maggiormente al testo latino. Tra le tre traduzioni, infatti, è quella che realmente mi trasmette l'idea dell'attimo fuggente e mi fa cogliere l'esortazione di Orazio a vivere bene il presente, perchè non ci è dato conoscere il futuro. Le altre due traduzioni,invece,essendo state tradotte attenendosi maggiormente a uno stile poetico, non riescono a trasmettermi con la stessa intensità il messaggio oraziano. Anche l'ultilizzo di un linguaggio chiaro nella resa iatliana di Sanguineti, al contrario di Pascoli che usa termini arcaici e in disuso quali verno, mi aiuta a comprendere meglio ciò che l'autore vuole comunicarci, rendendo più efficace l'idea dello
"strappare la breve durata dell'oggi dall'insieme del tempo".

Rizzo Sara

Unknown ha detto...

Mettendo a confronto le tre traduzioni, trovo le traduzioni di Pascoli e Fortini le meno letterali, molto libere. Sanguinetti cerca invece di attenersi il più possibile all'originale testo latino e questo rende la sua "Imitazione Da Orazio" più chiara ed efficace.
E' comunque incredibile come tutti siano stati capaci di esprimere la stessa nozione in maniere completamente diverse, dandoci dunque la possibilità di cogliere il messaggio oraziano in vari modi.

Unknown ha detto...

Ritengo la traduzione di Edoardo Sanguineti più fedele al testo originale latino e più coerente con il messaggio di Orazio. Inoltre questa é meno rielaborata come può apparire quella di Pascoli che utilizza termini meno comuni come "verni". La traduzione di Fortini appare invece più fredda e concisa rispetto alle altre due che prestano maggiore attenzione alla scelta dei vocaboli.
Devo però precisare che la traduzione di ognuno di questi autori rispecchia la loro filosofia di vita e difficilmente coinciderà esattamente con il messaggio Oraziano. D'altra parte, però, ognuno di noi interpreta diversamente il "Carpe Diem",a seconda della propria morale etica e politica. Non sarebbe dunque giusto affermare che una traduzione sia più o meno corretta rispetto ad un'altra poiché l'arte per sua natura non è un qualcosa di oggettivo.

Greta Bressan

Unknown ha detto...

Rileggendo le traduzioni trovo a mio parere molto significativa quella di Fortini che non cerca di tradurre parola per parola ma di rendere il messaggio nella sua autenticità a partire dal titolo stesso "non domandare".Interessante è anche la traduzione di Pascoli che esprime molto bene il significato di vina liques come il compito dell'uomo di filtrare ciò che accade e tenere solo la parte migliore di noi stessi

Unknown ha detto...

Nonostante la traduzione di Sanguineti sia più fedele al testo latino, trovo che quella di Fortini sia più adatta ai nostri giorni. Difatti quest'ultima è d'impatto anche su un lettore che non abbia studiato Orazio e che può far proprio il messaggio che l'antico autore voleva dare.
SILVIA MORAO

Unknown ha detto...

Si potrebbe dire, fatta eccezione per la resa di un paio di espressioni, tra cui "vina liques" in "versati il vino", che la traduzione di Sanguineti permetta di rimanere molto vicini al testo originale e di non alterarne troppo il messaggio originario.
Tuttavia, se come suggerisce Terracini "tradurre è anzitutto comprendere, ma non è poi semplicemente riprodurre quanto si è compreso", per rendere al meglio l'espressività di Orazio è opportuno distaccarsi da una traduzione troppo letterale per fare proprie e passare le "callidae iuncturae" oraziane.

Marco Franzoia

Unknown ha detto...

A mio avviso ogni traduzione rispecchia l'interpretazione che ne fa del testo la persona ed è anche legata al contesto storico culturale in cui si trovano.
Nella lettura di queste tre traduzioni quella che mi ha colpito di più è quella di Pascoli per l'interpretazione personale anche nello stile. Il messaggio di Orazio è sempre lo stesso: cercare di riusire a trovare una soluzione al tempo che ci è ostile cogliendo i momenti migliori e sapendo vivere la vita intensamente ogni giorno. Questo concetto di separazione dei ricordi felici dal tempo che fugge è resa perfettamente anche nella traduzione di Pascoli da "spoglia il vino nel filtro".

Unknown ha detto...

Tra le tre traduzioni quella che preferisco è quella di Sanguineti, poiché, tradotta in maniera assolutamente fedele,ci trasmette in maniera chiara e distinta un concetto che per la sua intensità e per il suo impatto non necessita di altri artifici retorici per affascinare il lettore. Orazio ci parla di questo tema tanto classico quanto moderno facendoci intendere e stimolandoci a godere appieno questo arco di tempo assai limitato che ci ritroviamo a disposizione, senza quindi sciupare attimi di fuggente felicità indagando e temendo un domani incerto. Una traduzione efficace e dalla comprensione immediata per una filosofia del presente.

Unknown ha detto...

Personalmente trovo molto interessante la versione fornita da Pascoli, in quanto riesce a comunicare sensazioni simili a quelle presentate nella poesia oraziana.
Già con la frase "..e, s'è così breve la nostra via, lunga non la voler tu la speranza." si può apprezzare come metta in evidenza un tema che è fondante nel pensiero oraziano, ovvero quello dell'ineluttabilità della morte. Orazio, allora - da uomo, sconfortato anch'egli dalla venuta di questa - ci esorta a non pensare al futuro, che, in ogni caso non possiamo prevedere e provocherebbe solo inutili affanni.
Ripete poi con parole diverse lo stesso concetto: "L'oggi lo sai: non il domani!", traduzione di "carpe diem", enfatizzando ancora l'importanza del presente contrapposta al futuro.

msartorair ha detto...

Associandomi alla maggior parte dei commenti, la traduzione di Edoardo Sanguineti è quasi lessicale, al pari di quella di Roncoroni (non proposta in questa pagina). Quella di Pascoli, invece, presenta una vena più spiccatamente poetica con pregevoli soluzioni artistiche, ma non per questo meno fedele al messaggio oraziano. La soluzione di Fortini è anch'essa originale, anche se con delle perplessità in termini di fedeltà al messaggio originale.
Con riferimento a quest'ultima traduzione, si noti che il sapias del v. 6 diventa in Fortini "tu che sai". Il verbo utilizzato è dunque "sapere". In effetti il verbo sapio è indicato sia per indicare chi è fornito di conoscenze vaste (il sapiente, appunto), sia chi sa manifestare saggezza e prudenza. Con buona probabilità, in linea con la formazione epicurea di Orazio, l'accezione più fedele è la seconda che fa leva più sulla saggezza che sulla sapienza. E ancora, quel vina liques sempre del v. 6 non è tanto "versa altro vino" (come in Sanguineti e Fortini) ma "filtra altro vino" ossia estrai ciò che c'è di meglio separando il buono (quello che è da tenere) da ciò che costituisce lo scarto (ed è dunque da buttare). Per quest'espressione la traduzione più felice è sicuramente quella di Pascoli.
Restando sulla traduzione di Pascoli, è interessante vedere come Leuconoe (nome parlante, che vuol dire "fanciulla dalla candida mente") diventi nel suo testo "Candida", dando unitamente un'idea di purezza ma anche di incorruttibilità e ingenuità. E ancora, i numeri babilonesi sono le cifre Caldee e Giove diventa Dio. Degna di nota anche la traduzione del verso conclusivo, sicuramente molto libera ma non per questo poco fedele. Anzi, in quel verso "l'oggi lo sai: non il domani, oh! No" è condensato tutto il messaggio di Orazio: alla certezza del presente si contrappone l'incertezza del futuro ed è quest'ultima che si spinge a "cogliere l'attimo", carpe diem.
La callida iunctura è resa in Sanguineti come "vivi questo tuo giorno" e in Fortini come "ridi al giorno". Confrontando altre traduzioni si ha: "stringi ’l dì d’oggi" (Gargallo), "godi il presente" (Cetrangolo), "afferra l'oggi" (Canali), "così cogli la giornata" (Mandruzzato), "goditi il presente" (Ramous), "cogli ogni giorno che viene" (Traina) (per le traduzioni complete si veda il link http://www2.classics.unibo.it/Didattica/LatBC/HorC1_11.pdf). Sinteticamente, non risultano del tutto filologicamente corrette traduzioni come quelle di Cetrangolo, Ramous o Fortini che invitano a godere dei piaceri della vita. Tale visione è in aperto contrasto con i principi della dottrina epicurea ed è frutto di una successiva interpretazione del motto oraziano (in quest'ottica si veda anche la scena del film L'attimo fuggente di Peter Weir con Robin Williams). Invece il verbo carpo vuol dire propriamente "cogliere, staccare (fiori o erba) [e ha solo come] successiva accezione figurata di godere, gustare di qualche cosa" (Turolla): così carpe diem è propriamente "staccare una giornata dal tempo" come in Gargallo, Canali e Traina. È lo strappare una giornata al tempo, quell'invida aetas dei vv. 7-8, per vivere il presente senza pensare al domani che è l'incertezza del futuro ma la certezza della morte, così tanto angosciosa in Orazio (si vedano in proposito le Odi I 9, III 13, III 30).

Unknown ha detto...

Dal punto di vista della pura espressione, la traduzione (o forse dovremmo dire "versione") migliore, e anche la più attuale, è sicuramente quella di Franco Fortini, dal momento che la ritroviamo ripulita da riferimenti all'epoca oraziana. Per esempio, il termine “Leuconoe” è reso con il semplice utilizzo del pronome di seconda persona singolare, mentre “Iuppiter” è stato del tutto omesso. Quella del Fortini è forse anche la più essenziale, quasi a voler riprendere e mettere in evidenza lo stile utilizzato da Orazio stesso, ossia la tendenza a ricercare la concentrazione espressiva nel minor numero di parole, anche attraverso la studiata collocazione di ciascun termine. Bisogna però far notare che, sebbene il testo latino sia intessuto di divieti e proibizioni varie (ne quaesieris, v.1; nec... temptaris, vv. 2-3), sia Fortini che Sanguineti traducono l'espressione vina liques al verso 6 con, rispettivamente, “versa altro vino” e “versati il vino”, frasi che sembrano voler incoraggiare al godimento della vita dal momento che non si hanno certezze riguardo al futuro. Questa visione sembra travisare per certi aspetti le intenzioni originali di Orazio, intenzioni che, di fatto, sono oscure a tutti noi e sulle quali possiamo solo avanzare supposizioni.
Per quanto riguarda invece la fedeltà, direi che la più vicino ai termini latini è sicuramente la versione di Sanguineti, l'unica, tra l'altro, a riportare l'accenno a Giove, mentre gli altri due o lo omettono (Fortini, come dicevo), o lo rendono con “Dio” (Pascoli), attualizzando decisamente il significato del testo. Del resto, lo stesso Pascoli è quello che mantiene vivi i versi, rendendo il componimento in modo estremamente poetico: “spoglia il vino nel filtro” è una forma arricchita per “filtra il vino”. La sua traduzione è da apprezzare a mio parere anche per il fatto che tra i tre è l'unico a porre maggiormente l'accento sul fatto che non si hanno certezze sul domani e non incoraggia a godere del giorno presente.

Unknown ha detto...

La traduzione più fedele a quella di Roncoroni (traduzione proposta nel libro di testo "Latinitas" ) è sicuramente quella di Edoardo Sanguineti. Questo non significa che sia la migliore, a mio parere Franco Fortini rivoluzionando l' Ode di Orazio trasmette un messaggio più diretto e attuale rispetto alle altre due traduzioni prese in considerazione nel sito. Fortini nelle ultime righe scrive ' Ridi al giorno. Altro non c'è', in questo modo da una sfumatura particolare al testo traducendo 'carpe' con ridere. Quest' ultimo verbo rende meglio il messaggio di Orazio rispetto al misero 'vivere' di Sanguineti e al razionale 'sapere' di Pascoli, ma tutte e tre queste interpretazioni delle ultime due frasi del grande Orazio non riescono a superare la grande solennità che Roncoroni ci regala scrivendo ' cogli l'attimo, senza fidarti del domani'.

Baù Beatrice ha detto...

Non posso fare altro che accodarmi ai commenti altrui: sicuramente la traduzione di Edoardo Sanguineti è la più fedele a quella di Roncoroni riportata sul volume Latinitas, e anche la più chiara e pulita tra le tre proposte, dove si sacrifica però, a mio parere, la personalità e lo stile della traduzione. Il lavoro di Franco Fortini invece è l'opposto: originale e personale, favorisce il mantenimento della struttura dell'ode tralasciando le scelte lessicali e la completezza dei periodi. La terza via, quella di mediazione, è data da Giovanni Pascoli che inserisce nella sua traduzione vari elementi non presenti nel testo originale di Orazio, pur mantenendo una certa struttura e chiarezza necessarie alla comprensione dell'opera. Concludendo dunque, preferisco sicuramente la traduzione di Pascoli, immediata e creativa.

Aurora Mattiuzzo ha detto...
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Unknown ha detto...

Come descritto nei commenti precedenti le tre traduzioni che troviamo sono molto diverse. Quella più fedele al testo di Orazio è quella di Sanguineti che è molto simile a quella proposta nel libro Latintas 2; opposta alla prima troviamo quela di Franco Fortini che è molto personale e varia molto la struttura sintattica e lessicale del testo; infine troviamo quella di Giovannio Foscolo che si interpone tra le due precedenti e che risulta, secondo me, la migliore poichè l'autore riesce sia a rispettare la struttura del testo sia a porre una sua piccola visione.

Unknown ha detto...

A parer mio ognuno nel tradurre una opera ne ripropone una versione sempre nuova, semplicemente per il fatto che ognuno l'arte la interpreta a suo modo.Sicuramente vero è che la proposta del Sanguineti è quella che si attiene al testo originale oraziano in modo più rigoroso,e che quindi si potrebbe pensare: "cosa meglio di traduzione lessicale potrebbe rendere in maniera più diretta l'idea del vero messaggio (o invito) che il poeta stesso voleva rivolgerci?"
Ma se a coloro che vivono in un'altra epoca le parole utilizzate dal poeta non danno più lo stesso valore di un tempo, cosa meglio di un interpretazione propria ed attuale riesce a trasmetterci in modo diretto un invito rivolto a persone duemila anni fa?
Ecco perché L'interpretazione del 'Carpe diem' più affine al mio gusto, al mio tempo e alla mia realtà è quella di Franco Fortini, che traduce il famigerato 'carpe diem' con la frase 'Ridi alla vita' perché altro di meglio non c'é.

Giulia Tonello

Unknown ha detto...

La traduzione più fedele al testo latino è certamente, come già spiegato nei molti commenti precedenti, quella di Sanguinetti, la quale si avvicina ad una banale traduzione letterale di ciascun verso. Le rimanenti sono ambedue versioni personali dello scritto di Orazio. Fortini è molto sintetico nel riportare le parole del poeta e, dato che "tradurre è innanzitutto comprendere", a mio parere la sua è la traduzione migliore, quella che mostra il vero significato nei versi di Orazio senza fronzoli di alcun genere, quella che mantiene solo l'essenziale. Resta la versione di Pascoli che, dal punto di vista dell'espressione, è la mia preferita: egli rafforza il concetto della tristezza per la fugacità del tempo e della rassegnazione ad una vita breve, tutto ciò raggiunge il culmine all'ultimo verso dove l'incertezza sul domani è espressa con un tono di assoluto abbandono: "L'oggi lo sai: non il domani, oh! No.".

msartorair ha detto...

Ad integrazione del commento precedente, desidero sottolineare come la traduzione di Pascoli sia, a mio avviso, particolarmente lodevole ed efficace. Il suo testo non è una mera "traduzione" ma piuttosto una "versione", dal momento che il poeta riprende e incarna il messaggio oraziano rivisitandone la forma e i moduli espressivi senza travisare i concetti essenziali. Come già detto sopra, il poeta si concede delle libertà nella trasposizione di "Leuconoe" in "Candida", di "Babylonios numeros" in "cifree Caldee" e ancora, di "Iuppiter" in "Dio" al fine di rendere l'ode più espressiva e, per certi versi, più attuale. Tuttavia resta comunque fedele all'originale messaggio parenetico: il "finem" del v. 2 viene riproposto anche in Pascoli a inizio verso, mentre la "spem longam" del v. 7 viene riportata in iperbato sempre in posizione strategica, parte a inizio verso e parte prima della cesura dell'emistichio. L'ultimo periodo è sicuramente ripreso con maggiore libertà ed efficacia: il fidarsi meno possibile del domani è reso con una prima negazione (non) ripresa dal "no" a fine verso. E qui si vede il tocco del grande poeta che apre e chiude la sua traduzione con una negazione, che poi è anche la risposta alla domanda (non posta) di Leuconoe circa la possibilità di conoscere il futuro.

Unknown ha detto...

La traduzione che Sanguineti ci presenta è sicuramente meno personale delle altre due: infatti egli si limita ad usare le espressioni usate da Orazio senza cambiarle secondo il proprio modo di scrivere.
Il cambiamento che Fortini opera nel testo si percepisce nel suo modo di invadere e di "ordinare", in un certo senso, al noi lettori il giusto modo di comportarsi, secondo la sua visione, senza dimostrarla o farcela percepire. Egli usa una serie di frasi molto brevi e di punti fermi che garantiscono un senso di durezza. Inoltre la frase finale "Altro non c'è." non permette alcuna scelta; il testo sembra volerci dire "è così e basta, fidati di me".
Invece Pascoli, fa sì che il testo diventi più un consiglio personale: sembra quasi ci voglia convincere ad essere d'accordo con la sua visione, egli usa espressioni stimolanti come "e via!" oppure "oh! No". Ci dimostra che ciò che ci sta dicendo è vero usando l'espressione "Ecco, parliamo e un po' questa vita fuggì"; senza che ce ne accorgiamo, ci ha fatti rendere conto che, ecco, è successo veramente. Mentre invece Fortini diceva "ti parlo e l'ora va" il che non ci convince affatto che questo sia vero, sembra solamente una sua considerazione personale.
In conclusione la versione che preferisco è quella di Pascoli, la sento più calda e piena di desiderio che il lettore comprenda il suo pensiero.

Unknown ha detto...

Personalmente ho trovato molto convincente la versione data da Pascoli.
Rispetto a quella di Sanguinetti presenta una cosa fondamentale, ovvero l' adattamento all' epoca. Difatti, per quanto la versione di Sanguinetti sia fedele nel tradurre esattamente i termini de "L'Attimo che fugge", ha inevitabilmente mancato a esprimere il significato profondo , in quanto per fare ciò è necessario ( in questo caso) andare oltre alle semplici parole e afferrare i concetti, in modo da poterli rendere facilmente trasmissibili ( emotivamente ) ai lettori.
E di certo non si puo negare che questo fosse anche l'obbiettivo di Orazio: quello di esporre il proprio pensiero in modo elegante agli altri uomini, in modo che ne rimanessero colpiti.
Per quanto riguarda la trduzione di Fortini , quest' ultima mi è sembrata troppo concisa e percio non è riuscita a colpirmi molto.

Giulio Lazzeri ha detto...

Rileggendo con la dovuta calma le tre differenti traduzioni, sono rimasto colpito in particolare dalla traduzione di Fortini, il quale è riuscito, a mio parere, a rendere l'idea pura del "carpe diem" tramite varie frasi sintetiche ma concise. Ed è proprio questo ciò che permette di comprendere bene il significato di questo carmina, perchè il tempo passa ed è formato da tanti piccoli momenti che scorrono via velocemente proprio come le brevi frasi di Fortini. Questo a mio parere è il miglior modo di poter passare questo concetto, altrimenti difficile da rendere con una parola. Ottime comunque anche le altre due traduzioni di Pascoli e Sanguinetti, forse più letterali ma comunque in grado di rendere, anche se non a pieno, l'idea.

Unknown ha detto...

Nonostante la traduzione di Sanguineti sia quella più affidabile al testo originale e quindi trasmette il messaggio nella sua piena autenticità, le versioni degli altri due interpreti hanno un impatto più efficace con il lettore.
Tuttavia, tra le due, una sembra essere più coerente con quello che intendeva Orazio; infatti, mentre Fortini interpreta il "Carpe diem" con una sfumatura quasi allegra che dà l'idea di un invito più che suggerire un'etica della rinuncia, Pascoli rispetta il senso oraziano e quell'importanza dello staccare e riconoscere i momenti belli della vita. Inoltre nella traduzione di "vina liques" sembra venir ripresa l'idea del filtrare e del cogliere l'attimo gioioso (che implica quindi la limpidezza, simbolo della giovinezza).
In tutte le traduzioni è comunque ben evidente la contrapposizione dell'incertezza di ciò che avverrà e la certezza del tempo che fugge.

Unknown ha detto...

dopo aver letto le varie traduzioni, l'interpretazione di Fortini,è quella che mi piace di più,quella più libera, che con poche frasi, brevi e concise riesce, seppur "invadendo" il testo a esprimere meglio il messaggio che Orazio dà nella sua opera. quella più fedele all'originale è sicuramente quella di Sanguinetti,Tanto che sembra più una traduzione che un'interpretazione. se però tradurre significa prima comprendere, fortini è quello che mi è sembrato più azzeccato.

Unknown ha detto...

Mi ha particolarmente colpito la versione di Fortini, il quale a mio parere riesce a vederne il "lato positivo" del messaggio che Orazio vuole trasmettere. In particolare mi ha sorpreso il modo in cui traduce "carpe diem" con "ridi al giorno", spiegando ulteriormente il suo punto di vista. Riguardo la versione di Sanguineti non mi ha particolarmente colpito perchè era rimasta sulla traduzione letterale del canto, tuttavia ha lo stesso psiegato il concetto del "carpe diem". infine mi ha colpito il titolo della versione di Pascoli "pensiamo a vivere" il quale spiega perfettamente il pensiero che Orazio voleva trasmettere, ovvero quello di non preoccuparsi di ciò che viene dopo la morte, ma di goderci la vita finché ce l'abbiamo.

Aurora Mattiuzzo ha detto...

Le traduzioni più fedeli al testo oraziano sono quelle di Roncoroni (proposta nel libro di testo "Latinitas") e Sanguineti. Infatti questi, traducendo quasi letteralmente il testo latino, lo rendono più facile da comprendere. Leggendo le interpretazioni di Fontini e Pascoli ho notato un aspetto interessante: come ognuno di noi può esprimere un concetto utilizzando parole proprie, esattamente come da citazione di Attila Joszef. Ho trovato particolare la traduzione di Fontini, il quale, lavorando sul testo latino in chiave moderna, ha tradotto "carpe diem" con "ridi al giorno". Nonostante ciò, l'interpretazione a mio avviso migliore è quella di Pascoli, che rende più musicale e poetico il testo oraziano, sottolineandone i concetti e invitando il lettore a vivere la vita, perché
"L'oggi lo sai: non il domani, oh! No."

Bolzo ha detto...

Se devo essere sincero preferisco la traduzione di Fontini poichè è l'unica delle tre dove ho capito subito il messaggio che voleva darmi il critico rispetto alle altre due versioni, le quali le ho trovate complicate sia da capire sia da analizzare; questo,a mio avviso, è un altro punto a favore di Fontini perchè è una traduzione accessibile a sia agli esperti della materia sia a persone che si trovano davanti per la prima volta una versione. Sostengo molto questo modo di operare perchè credo che il difficile sia proprio prendere un qualcosa di complicato e renderlo semplice e facile da comprendere. Con questo non voglio sminuire le altre due versioni che sono di gran lunga più ricercate, ma ciò che mi ha fatto sviare verso la traduzione di Fontini è proprio il messaggio che ci vuole dare. La letteratura e il sapere non sono chiusi in una stanza blindata ma anzi sono in un edificio pubblico accessibile a tutti, dove ognuno a differenza delle sue conoscenze entra per porte differenti, dove all'interno però ci si ritrova tutti assieme, scambiandosi conoscenze, idee, opinioni e critiche.

Unknown ha detto...

Tra le varie interpretazioni preferisco quella di Franco Fontini, il quale non è rimasto fedele al testo di Orazio ma ha aggiunto un tocco di originalità. Mi ha colpito infatti la semplicità e la schiettezza con cui riesce a far capire il messaggio del poeta latino, trasformando il "carpe diem" con "ridi al giorno", ha reso il testo più attuale e quindi più vicino a noi.
Le traduzioni di Roncoroni (proposta nel libro di testo "Latinitas") ed Edoardo Sanguineti sono quelle più fedeli al testo di Orazio, ma non aggiungono nulla di più. Il testo di Pascoli invece è più elaborato e un po' più difficile da comprendere rispetto a quello di Fontini.

Unknown ha detto...

Quel verbo "tradurre" che usiamo correntemente in lingua italiana, è (guarda caso) di etimologia latina, da "trans" e "ducere", ovvero "trasportare". Il compito del traduttore, quindi, è proprio di farsi da tramite, in modo prevalentemente tecnico: deve innanzitutto mettersi in ascolto di ciò che l'autore vuole esprimere, e solo quando l'avrà compreso potrà procedere con la "versione" (nel senso originale del termine) verso un'altra lingua, rimanendo quanto più fedele al messaggio di partenza, nonché alle scelte linguistiche adottate da chi parla. Per questo ritengo che tra le tre la traduzione offerta da Sanguinati sia la più apprezzabile. D'altro canto credo che Fontini - seppur con ingenua originalità - abbia piuttosto "tradito" Orazio, arrogandosi l'illecito diritto di comportarsi da artista, e tradendo dunque anche il proprio stesso compito.

Unknown ha detto...

Penso che la traduzione migliore sia “Non domandare” di Franco Fortini.
Nonostante l'autore non rispetti fedelmente la traduzione letterale e non includa delle figure retoriche che esprimono in modo più poetico alcuni concetti (per esempio “Babilonius Numeros” per indicare i calcoli difficoltosi che corrispondono agli oroscopi o alla sorte), punta direttamente al vero significato del testo.
I periodi sono molto corti, ma netti e chiari, e ci lasciano intendere che in questo brano, Orazio vuole farci capire che nella vita non bisogna affannarsi troppo, in quanto è meglio sfruttare ogni attimo come se fosse l'ultimo.

Unknown ha detto...

Certamente la traduzione offerta da Sanguineti, insieme a quella del Fortini sono le più fedeli al testo di Orazio, ma personalmente sono anche quelle che più mi han fatto capire il messaggio di Orazio, perchè permette anche di entrare nell' epoca e nel personaggio. Le versioni di Fortini e Pascoli, sono più moderne e in quanto rivisitate, sono stati effettuati "tagli" al testo originale, come per esempio i calcoli babilonesi a cui Fortini non accenna.
Danno una comprensione più immediata e sono interessanti da leggere con lo scopo di avere altri punti di vista, ma dovendo fare una scelta il messaggio più coerente a Orazio l'ho trovato in Sanguineti.

4C Gruppo 1 ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
4C Gruppo 1 ha detto...

Le tre traduzioni dell'Ode I 11 "Carpe Diem", nonostante le differenze, esprimono sostanzialmente il punto di vista dei reciproci poeti sul motto oraziano senza fare una traduzione letterale. La traduzione che si affida di più al testo latino, evitando qualsiasi tipo di timbro personale è quella di Sanguineti. Pascoli al contrario si serve del testo originale solo per grandi linee, dando alla sua interpretazione un'impronta personale. Fortini , infine, compone una traduzione totalmente differente rispetto alle due precedenti, modifica alcuni versi, non cita il nome di "Leuconoe ", e il suo obiettivo consiste nel far rimanere impresso l'invito originale del "Carpe Diem " oraziano. Per noi la traduzione migliore è quella composta da Pascoli, in quanto più originale e sicuramente personale.

Unknown ha detto...

Ritengo la versione di Sanguineti la più fedele al testo originale, e
quella di più semplice comprensione
Junio rocchi

Unknown ha detto...

Dopo aver letto le tre traduzioni ritengo di poter affermare che la migliore e di più facile lettura e comprensione sia quella di Edoardo Sanguineti

Unknown ha detto...

Dopo aver letto le tre traduzioni ritengo di poter affermare che la migliore e di più facile lettura e comprensione sia quella di Edoardo Sanguineti

Psicocell22 ha detto...

Preferisco di gran lunga la traduzione di Sanguineti tra quello proposte poiché la ritengo una traduzione più diretta e più facilmente comprensibile da tutti. Leggendola si arriva subito a comprendere il significato Del Carpe Diem

Unknown ha detto...

Preferisco la traduzione di Franco Fortini perché, anche se a differenza degli altri autori non ha fatto una traduzione letterale, secondo me è riuscito a esprimere meglio il messaggio dell'autore rendendolo contemporaneo

Unknown ha detto...

Dal confronto delle diverse traduzioni dell'ode 11 di Orazio, fornite da vari autori, è emersa la presenza di sostanziali varianti nella resa di alcuni termini ed espressioni. Ad esempio, tra le più significative troviamo:
- "Nefas"che a seconda della sensibilità dell'autore è tradotto con "è male" (Fortini), "è illecito"(Sanguineti), "è peccato" (Traina) per evidenziare il significato del termine latino il quale contiene l'idea del compimento di un'azione sacrilega e contraria al valore degli dei. Pascoli, al contrario, da un lato depotenzia l'intensità del concetto, dall'altro ne sottolinea il carattere definitivo ed imperativo e traduce "non si può".
- Per quanto concerne il verbo "pati", in origine "sopportare", da alcuni viene enfatizzato il significato negativo di impotenza da parte dell'uomo (es. Sanguineti "subire", Fortini "patire"), mentre altri riportano il significato letterale (Traina), altri addirittura sottolineano il carattere di resistenza alle avversità e saggezza nel vivere (Mandruzzato "accettare").
- Con l'espressione "spatio brevi" alcuni intendono l'accezione connessa all'ablativo di separazione collegato a "reseces", altri la intendono come ablativo assoluto con valore causale e traducono "poichè la vita è breve". Il termine "spazio" è usato in maniera differente: "cammino" (Mandruzzato), "spazio", "cerchio" (Gargallo), "arco" (Ramous).
- Il verbo "fugerit" viene reso dalla maggior parte degli autori con il presente, mentre Sanguineti, Ramous e Pascoli evidenziano l'impossibilità di fermare il tempo rispettando il futuro anteriore latino e traducendo "è già fuggito" o "fuggì".
- Il verbo "carpere", infine, per alcuni indica un "processo traumatico" (Traina) che viene esplicitato con "cogliere", "afferrare" e "staccare" (Mandruzzato, Canali, Traina).
Un altro aspetto osservato riguarda la traduzione fornita dai poeti (Sanguineti, Pascoli), i quali offrono un testo più libero e maggiormente filtrato dalla propria sensibilità, mentre gli studiosi di letteratura latina si mantengono più vicini al significato letterale dei termini.
Pascoli riduce all'essenziale il messaggio di Orazio rendendolo maggiormente diretto e chiaro; Traina si attiene, forse più di tutti gli altri, al testo. Tuttavia la traduzione di Canali ha il pregio di avvicinarsi sufficientemente alla produzione di Orazio filtrandola però con interpretazione personale.

5L, Liceo Scientifico "Giovanni Marinelli", Udine

Unknown ha detto...

Senza ombra di dubbio, la traduzione di Sanguinetti è molto fedele al testo, al punto che mi sono sorpresa non fosse stata usata nel mio libro di letteratura latina.
Anche la traduzione di Pascoli è fedele al carme di Orazio, ma rispetto a Sanguinetti, si discosta un pochino di più. Ho molto apprezzato la sua variante "prendi e porta via":nonostante abbia usato parole molto diverse, si avvicina incredibilmente di più all'idea che il poeta latino aveva, secondo me, di "carpe diem"
Senza nulla togliere a queste due traduzione, ritengo che lo scritto di Fortini sia il migliore. In primis, perché personalmente mi colpisce molto di più un'interpretazione di una traduzione. In secundis, perché ho trovato geniale il voler rendere questo carme ermetico. Il suo essere crudo e conciso mi ha fatto sentire di fretta: sono sicura che era proprio questo lo stato d'animo che Leuconoe sentiva in quel momento.

le cose semplici ha detto...

sicuramente la traduzione più fedele è quella di Sanguinetti, ma personalmente preferisco la versione decisamente più poetica scritta da Fortini. Il testo è infatti essenziale ma deciso, arriva al lettore. l'arroganza di quelle brevi frasi porta l'attenzione sulle singole parole: ognuna di queste ha un ruolo fondamentale nell'opera.

Giorgia ha detto...

Se dovessi assegnare un premio alla traduzione migliore sceglierei quella di Edoardo Sanguineti, perché più fedele. Il messaggio arriva deciso e chiaro e il testo è di facile comprensione.
Le traduzioni di Franco Fortini e Giovanni Pascoli, invece, sono personali e rivisitate. Ho trovato la comprensione più difficile, e il messaggio che il testo vuole trasmettere non è arrivato subito e con impatto.

Unknown ha detto...

A mio parere se dovessi dare un premio lo affiderei allo scritto di Edoardo Sanguinetti il quale si rifà al testo scritto da Orazio traducendo ogni verso letteralmente.
La comprensione appare in questo modo semplice e chiara.
D'altra parte gli altri scritti
sono a mio parere più personali e ricchi di modifiche e appunto per questo motivo il significato tende a disperdersi tra le parole parendo piu complesso.

Gaetano Ruffo ha detto...

Delle tre traduzioni proposte, sicuramente emerge di più quella di Sanguineti come quella più fedele al testo originale e riprende quasi letteralmente le parole del testo originale, imbiancate sicuramente da una componente di originalità da parte dello scrittore. Però basandomi su quanto detto, e cioè che: “Tradurre è anzitutto comprendere, ma non è poi semplicemente riprodurre quanto si è compreso”, e conoscendo i miei gusti personali, preferisco una traduzione non molto letteraria ma che ti faccia entrare nel vivo della vicenda, quindi quella di Fortini la quale è molto espressiva e suscita emozioni più importanti rispetto alle altre come ad esempio: “Tu che sai” riferendosi a Leuconoe, o “la vita è breve, è lunga la speranza”, oppure
“l’ora va” riferendosi al tempo che ci fugge tra le mani in modo sintetico e impressivo.

Unknown ha detto...

Secondo la mia opinione la traduzione migliore è quella si Edoardo Sanguineti in quanto la trovo più legata alla traduzione del Carpe Diem di Orazio, questo ci porta ad una migliore comprensione del messaggio che vuole inviare al lettore. Nonostante trovi la traduzione di Sanguineti la più accurata e fedele le altre due versioni portano anche un messaggio e un'espressione come la voglia di vivere ad esempio "prendi quel che viene, e via! o "ridi al giorno".

Unknown ha detto...

Secondo la mia opinione la traduzione migliore è quella di Edoardo Sanguineti che considero la più legata alla traduzione originaria del testo latino del Carpe Diem di Orazio. questa sua traduzione "letterale" ci permette di cogliere pienamente il messaggio lanciato da Orazio ai lettori.
Sebbene la traduzione di Sanguineti sia forse la più fedele nelle altre due traduzioni portano un messaggio e l'espressione della voglio di vivere come "prendi quel che viene, e via! o "ridi al giorno".