venerdì 27 maggio 2011

Lettera a Nausicaa

 

GIOVANNI QUESSEP

LETTERA IMMAGINARIA

(Da Ulisse a Nausicaa)

Vivo in un regno millenario. Il cielo
passa sopra le torri come un'acqua
piena di canti. Posso vedere la luna
che avvolge gli uccelli, la pietra
dove qualcuno ha scritto che tutto è vano,
che il filo della tunica svanisce
per non trovarsi più. Tamarindi
c'erano che dalle foglie annunziavano
dolore e musica per le regine
che venivano dall'acqua più profonda.
E c'era la mattina, il mezzogiorno,
i giardini di pietra, il cacto nero.

Conservo ancora in mano un ramo
argentato dalla morte, e una storia
che parla di coloro che furono. Le mura
della città evocano ancora
una nave che a un'altra sponda
fu ancorata dal peso dei miei viaggi
tra ombre, lotofagi, e demoni.

Se tu sapessi, Nausicaa, come è stata
la mia vita da allora: non grata
per chi ha visto i fiori del melograno
sparsi sul proprio letto e nel ricordo,
mentre il cieco cantava e gli offrivano
una sedia di cedro e una favola.

Tu mi portasti nella città, nudo,
soltanto coperto dal mare di sabbia
e da foglie di luce del folto del bosco
per dire la mia gloria, la mia pena.
Io ti seguii credendomi un dio, quindi
sognando la mia isola felice
dove avevo lasciato tre colori
e un patio e una vigna e i miei amici.
Ma la regina non attese la mia nave,
la sognò in fondo alle agognate acque,
e sognò il mio scheletro abbagliato
da mezze luci e pesci e madreperla
dove la sera arriva a un tratto e il legno
non è altro che ponte di un giardino in ombre.

Nel suo sogno mi vidi, re abbattuto
dalla spada che tengo ancora occulta
per il re foraneo. Ho sognato allora
che sarei morto lontano dalla patria,
che non avrei rivisto negli specchi
le strade della mia Itaca né il volo
che propizia il mio arco nella gioia
perfetta dei marosi e delle pietre.

Vivo in un regno millenario, è vero,
un mare di gelsomini mi circonda,
entro nei boschi quando il cielo forma
la mezzanotte, solo e silenzioso
con la mia vita; il destino non mi lascia
lanciare la mia freccia, come vorrei,
dritta al cuore del cinghiale e della luna:
non colpisco il bersaglio e solo posso
pensare a te, Nausicaa. I feaci
non seppero vedere nel racconto
di Demodoco, il cieco, che avevano
nel salone di sandalo il più povero
e il più disincantato dei navigatori.

Io non ascoltai la storia dei miei viaggi,
perché nei tuoi occhi vedevo un'altra storia,
e quella notte sognai di un abito
che le tue mani adoravano, e di una spada.
Il resto, Nausicaa, non vorrei
ricordarlo: la nave fatta a pezzi,
i marinai morti e un fantasma
che vagava nel pineto dell'isola.
Dei pini che erano così belli
non mi rimane ormai nemmeno l'ombra.
Itaca era un giardino, ma oggi sento solo
il canto dei serpenti; rami duri,
prugnoli anziché mandorli e la pietra
dove qualcuno scrisse tutto è vano.

(da Lettera immaginaria, 1998 – Traduzione di Martha Canfield)

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Interviste immaginarie, lettere immaginarie: sono un genere in cui si sono cimentati molti scrittori. Qui ci prova il poeta colombiano di origini italiane Giovanni Quessep. La lettera immaginaria è nientedimeno che quella scritta da Ulisse a Nausicaa, la figlia di Alcinoo, re dei Feaci, che, invitata in sogno da Pallade a recarsi al fiume per lavare le sue vesti nuziali, lo trova e lo soccorre dopo il naufragio – eventi raccontati nel VI libro dell’Odissea, prima che Ulisse venga condotto a corte, dove inizia il lungo racconto delle sue peripezie. Quella che Quessep introduce è un’impensabile nostalgia che visita Ulisse nelle lunghe giornate di Itaca, dove ciò che aveva tanto agognato, ora che è suo, non appare più così bello e interessante: alla fine, i desideri realizzati diventano routine e nuove mete e nuove brame appaiono all’orizzonte dei nostri giorni. Ulisse si sente prigioniero ora a Itaca e sogna Nausicaa, innamorato di lei: il desiderio appagato si è trasformato in rimpianto.

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image

Michele Desubleo, “Ulisse e Nausicaa”

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LA FRASE DEL GIORNO   
Il mio sogno è nutrito d’abbandono, / di rimpianto. Non amo che le rose / che non colsi, le cose / che potevano essere e non sono / state. 
GUIDO GOZZANO, I colloqui, “Cocotte”




Giovanni Quessep Esguerra (San Onofre, 6 gennaio 1939), poeta colombiano discendente di nonni libanesi. La sua poesia appare come un potere che redime l'uomo dal mondo quotidiano e gli permette di penetrare l'invisibile e il misterioso.


2 commenti:

Vania ha detto...

...mi piace , traspaiono i vari stati d'animo di Ulisse ....senza ombra di dubbio, le scene (mare di gelsomini....nave fatta a pezzi...rami duri)... li amplificano.
ciao Vania

DR ha detto...

"Se tu sapessi, Nausicaa, come è stata / la mia vita da allora: non grata": la frustrazione del desiderio appagato. Quante volte anche a noi è capitato di desiderare qualcosa e poi di scoprire che alla fine non era proprio così.