L’italiano è una lingua molto facile da colonizzare, a differenza del francese e dello spagnolo: dev’essere un gene che abbiamo nel nostro DNA. Neppure il fascismo riuscì a estirpare questo brutto vizio, nonostante abbia provato con risultati talora ridicoli come per il cognac (arzente), l’alcool (alcole), la soubrette (brillante), il whisky (spirito d’avena) e soprattutto il pied-à-terre (fuggicasa), la garçonniere (giovanottiera) e i cotillons (cotiglioni). Ma molti dei vocaboli tradotti li usiamo ancora oggi: tramezzino per sandwich, rimessa per garage, cravattino per papillon.
Il fatto è che ci appropriamo dei tecnicismi o dei vocaboli appartenenti a un determinato gergo senza fare il minimo sforzo di tradurli, neppure quando è semplicissimo: forse perché così ci sembra di appartenere ad un’élite, come nel caso dei linguaggi giovanili – celebre è il vocabolario paninaro degli Anni ‘80, sebbene quello creasse neologismi spesso basati comunque sulla lingua italiana: “gallo”, “sfitinzia”, “appiovrare”, “tarocco”…
Penso invece ai termini del computer (i francesi lo hanno tradotto in “ordinateur”, più o meno come se noi lo chiamassimo “processore”): ecco allora il software, l’hardware, il browser, e qui ancora andiamo bene, essendo vocaboli inglesi. Dove davvero ci facciamo male è nei verbi: “crackare” per dire che si supera il codice di protezione, “downloadare” per significare il semplice scaricamento di dati, “uploadare” per l’operazione inversa.
O ancora il gergo del poker Texas Hold’em: foldare, raisare, collare, checkare, tribettare – solo perché a Las Vegas dicono fold, raise, call, check e tribet per significare che si rinuncia al gioco, si rilancia, si chiama, si continua e si triplica la scommessa. E “bluffare” già esiste da tanto tempo nella nostra lingua, tanto da avere assunto anche un’accezione figurata, fuori dall’ambito del tappeto verde.
Avevo parlato tempo fa del caso di “ringare”, verbo apparso in una pubblicità radiofonica nel senso di “telefonare”, di “chippare” relativamente all’operazione con cui si mette un microchip a un cane e di “filmato” come “avvolto in pellicola”; e ancora di aggettivi strani come “allettato” riferito a un paziente immobilizzato a letto, “carrellato” per un estintore su rotelle, “allarmata” nel caso di una porta con antifurto. Quello che mi fa più ridere è “ivato”, letto più volte nelle fatture: “IVA compresa” non usa più…
Quale sarà allora l’evoluzione della lingua? Non è difficile pensare male, anche perché l’italiano è divenuto solo da poco tempo l’idioma del paese per legge, neanche a quello avevamo pensato: già a Bruxelles l’Unione Europea ci discrimina usando solo francese, tedesco e inglese. Se va avanti così, nel corso di un paio di secoli dalle Alpi a Lampedusa quel che resterà dell’italiano, massacrato dalle abbreviazioni e dall’uso sempre meno frequente del congiuntivo, dall’importazione discriminata di termini esotici e dal disinteresse per la grammatica, non sarà altro che un dialetto locale.
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Fotografia © Ciro Fusco
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LA FRASE DEL GIORNO
Il linguaggio è la madre, non l’ancella del pensiero.
KARL KRAUS, Dell’artista
1 commento:
..molto interessante questo scritto e non Post ;)...sulla lingua italiana...è vero ...quello che dici...alle volte basterebbe molto poco...poi l'uso di sms...incrementa la capacità di non saper parlare...per carità...si riesce a sintetizzare...ma un bel discorso è sempre un bel sentire e un bel imparare.
ciao Vania
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