EUGENIO MONTALE
XENIA, II, 14
L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili,
delle carte, dei quadri che stipavano
un sotterraneo chiuso a doppio lucchetto.
Forse hanno ciecamente lottato i marocchini
rossi, le sterminate dediche di Du Bos,
il timbro a ceralacca con la faccia di Ezra,
il Valèry di Alain, l’originale
dei Canti Orfici – e poi qualche pennello
da barba, mille cianfrusaglie e tutte
le musiche di tuo fratello Silvio.
Dieci, dodici giorni sotto un’atroce morsura
di nafta e sterco. Certo hanno sofferto
tanto prima di perdere la loro identità.
Anch’io sono incrostato fino al collo se il mio
stato civile fu dubbio fin dall’inizio.
Non torba m’ha assediato, ma gli eventi
di una realtà incredibile e mai creduta.
Di fronte ad essi il mio coraggio fu il primo
dei tuoi prestiti e forse non l’hai saputo.
(da Satura, 1971)
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È l’evento a farsi simbolo in questa poesia di Eugenio Montale: la terribile alluvione che il 4 novembre 1966 colpì Firenze e che commosse il mondo, accorso nel capoluogo toscano per tentare di porre in salvo quante più opere d’arte possibile. Nel mare di fango portato dall’Arno si perdono anche preziosi cimeli della collezione del poeta: libri rari, oggetti di poco conto, ricordi di una vita, gli spartiti del cognato Silvio – va ricordato che gli “Xenia” sono una dedica alla moglie Drusilla Tanzi, scomparsa tre anni prima.
Nella poesia, datata 27 novembre 1966, quell’evento tragico assurge a emblema della vita di Montale: l’onda dell’esistenza che è passata sui suoi giorni ha spazzato via, come quella piena del 1966, tutti i valori e i significati della vita. L’unica certezza, o per lo meno, l’unico barlume nell’oscurità della teologia negativa montaliana, era dato dal “coraggio” della moglie. Sparito anche quello, Montale non diventa nichilista, piuttosto un cinico disincantato…
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LA FRASE DEL GIORNO
Gli uomini che non hanno più nulla da chiedere alla vita le stanno di sopra ed è allora lei ad esser vile con loro.
JULES BARBEY D’AUREVILLY, Le diaboliche
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