«Con la forza della poesia e la franchezza della prosa, descrive il panorama dei diseredati».
(Motivazione dell’Accademia Svedese, 8 ottobre 2009)
Il Nobel per la Letteratura è andato quest’anno ancora una volta a un’outsider, la scrittrice tedesca di origine romena Herta Müller. Nata nel 1953 a Nitzkydorf, nel Banato Svevo, in Romania, da una famiglia della minoranza germanofona, compì studi alla scuola tedesca e studiò Letteratura Romena all’Università di Timisoara. Divenuta traduttrice, nel 1979 rifiutò di cooperare con il regime comunista di Ceausescu e dovette arrangiarsi a dare lezioni private di tedesco e a insegnare alle elementari. La sua prima opera uscì in lingua tedesca in Romania nel 1982, con numerosi tagli censori, e nel 1984, completa, in Germania. La sua vita ormai era lì, all’estero: vi si trasferì con il marito Richard Wagner, nel 1987, due anni prima della caduta del regime, e iniziò a tenere letture nelle Università tedesche.
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A dimostrazione della pochezza della cultura italiana, va segnalato che di Herta Müller, esponente di quella che in tedesco è chiamata “Weltliteratur”, esiste una sola traduzione in italiano, quella di “Il paese delle prugne verdi”, edita dalla roveretana Keller. Va segnalato pure che la Müller, presente quest’anno a Festivaletteratura di Mantova, non è poi così conosciuta, visto che le voci di Wikipedia a lei dedicate nelle varie lingue hanno cominciato ad essere implementati solo dopo la vittoria del Nobel.
La vittoria della Müller è apparsa molto probabile alla vigilia, quando le quote di Ladbrokes sono salite dall’originario 50/1 a un più che certo 3/1.
Per rendersi conto del suo stile, ecco tre brevi stralci:
DA “IL PAESE DELLE PRUGNE VERDI” (Keller, 2009)
Tornai allo studentato a piedi, a notte fonda. Lungo il sentiero
incontrai tre guardie, non volevano nulla da me. Erano occupati
con se stessi, mangiavano prugne verdi come di giorno. Era così silenzioso in città, che li sentivo masticare. Avanzai piano, in modo da non disturbarli mentre mangiavano. Avrei preferito camminare in punta di piedi, ma se ne sarebbero accorti. Camminando, diventai leggera come un’ombra, non sarebbero mai riusciti ad afferrarmi. Le prugne verdi nelle mani delle guardie erano nere come il cielo.
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Nella paura avevamo scrutato l’uno nell’altro, più profondamente di quanto fosse lecito. In questa lunga confidenza avevamo bisogno di un’inversione, che arrivò inaspettata. L’odio poteva calpestare e annientare. In una maggiore vicinanza poteva falciare l’amore reciproco, perché cresceva come l’erba lunga. Le scuse ritirarono l’offesa in meno tempo di quanto si trattenga il respiro.
Lo scontro cercato era sempre intenzionale, solo ciò che provocava rimaneva un errore. Al termine della rabbia, veniva dichiarato ogni volta l’amore reciproco, senza inventare alcuna parola. Il nostro amore c’era sempre. Ma nello scontro l’amore aveva degli artigli.
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Scrivendo, non dimenticare la data e metti sempre un capello nella lettera, disse Edgar. Se dentro non c'è, vuol dire che la lettera è stata aperta. Singoli capelli, pensai tra me, sui treni, attraverso il paese. Un capello scuro di Edgar, uno chiaro, mio. Uno rosso di Kurt e Georg. Entrambi venivano soprannominati dagli studenti ragazzi d'oro. Per l'interrogatorio una frase con forbicine per unghie, disse Kurt, per la perquisizione una frase con scarpe, per il pedinamento una frase raffreddata. Dopo il titolo sempre un punto esclamativo, per una minaccia di morte solo una virgola.
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LA FRASE DEL GIORNO
I premi letterari sono una crudeltà. Soprattutto per chi non li vince.
UMBERTO SABA
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