ROBERTO JUARROZ
SESTA POESIA VERTICALE, 40
Sbattezzare il mondo,
sacrificare il nome delle cose
per ottenere la loro presenza.
Il mondo è un nudo richiamo,
una voce e non un nome,
una voce con la sua eco al seguito.
E la parola dell'uomo è parte di quella voce,
non un dito puntato,
non un'etichetta di archivio,
non una definizione di dizionario,
non una carta d'identità sonora,
non una bandierina che indichi
la topografia dell'abisso.
L'arte della parola,
oltre la piccola miseria
e la piccola tenerezza di designare questo o quello,
È un atto d'amore: creare presenza.
L'arte della parola
È la possibilità che il mondo parli al mondo:
la possibilità che il mondo parli all'uomo.
La parola: quel corpo aperto verso tutto.
La parola: quegli occhi aperti.
(per Roger Munier)
(da Sesta poesia verticale, 1975)
.
Ritornare alla verginità delle cose, alla loro purezza non ancora toccata dal concetto o dallo stereotipo: l'arte della poesia, come dice il poeta argentino Roberto Juarroz, è -o almeno dovrebbe essere - la capacità di rinominare il mondo, liberarlo dalle zavorre delle parole che lo hanno fossilizzato, cristallizzato in un'eco continua di sé. La parola deve dunque essere trasformata, divenire un'apertura, per consentire l'«esplosione dell'essere», che per Juarroz è lo scopo della poesia.
EMILIO ISGRÒ, “ODISSEA CANCELLATA”
LA FRASE DEL GIORNO
Avremmo dovuto fare dei nostri occhi / uno strumento musicale, / per concentrare in modo diverso / gli intervalli effimeri del nulla.
ROBERTO JUARROZ, Sesta poesia verticale
.
Roberto Juarroz (Coronel Dorrego, 5 ottobre 1925 – Buenos Aires, 31 marzo 1995), poeta, saggista e bibliotecario argentino. La sua opera, salvo le prime Sei poesie scelte del 1960 è riunita con il titolo unico di Poesia verticale. Varia solo il numero d'ordine, da raccolta a raccolta, fino alla quattordicesima, uscita postuma nel 1997.
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