GIORGIO CAPRONI
SU UN VECCHIO APPUNTO
“Ora, sazio della città ― delle sue tentazioni e
dei suoi crimini ― mi sono ritirato al limitare
del bosco. Ad appagarmi la vista, poco mi basta:
lo scintillio del fiume nel sole del mattino, giù a
fondo valle. Un albero…”
Un albero…
Com’è leggero
un albero, tutto ali
di foglie ― tutto voli
verdi di luci azzurre nel celeste
dell’aria…
E com’è forte,
un albero, com’è saldo
e fermo, “abbarbicato
al suo macigno”…
Viene
l’autunno, e come
la Fenice s’accende
nel rosso del suo rogo.
Viene
primavera, e splende
d’altro suo verde…
Ma noi,
noi, al paragone,
che cosa e chi siamo, noi,
senza radici e senza
speranza ― senza
alito di rigenerazione?
1977
(da Il franco cacciatore, Garzanti, 1982)
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"Abbarbicato al suo macigno": la citazione ungarettiana dal Sentimento del tempo è incastonata in questa poesia di Giorgio Caproni, ispirata da un vecchio appunto ritrovato. Ed è un elogio del mondo naturale, sempre in movimento sul ritmo delle stagioni, in contrasto con quello degli uomini, incapaci di autorigenerarsi.
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FOTOGRAFIA © SUSNPICS/PIXABAY
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LA FRASE DEL GIORNO
Io sono dei vostri, alberi, sono dei vostri / animali eleganti, io sono dei vostri. Credetelo. / Sono dei vostri. Ci separa soltanto un fiato infantile, / ma lo so, lo so, sono io tutto quel / manto, sono io il tronco e lo storno e il / falco. Ci separa un niente, colore, capello, / piccolo piccolo nome: l'impianto del / respiro è solo apparente diverso.
MARIANGELA GUALTIERI, Fuoco centrale e altre poesie per il teatro
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Giorgio Caproni (Livorno, 7 gennaio 1912 – Roma, 22 gennaio 1990), poeta, critico letterario e traduttore italiano. Partito come preermetico attirato da uno scabro espressionismo, approdò a un ermetismo rivestito di un impressionismo idillico. Nella sua poesia canta soprattutto temi ricorrenti (Genova, la madre e Livorno, il viaggio, il linguaggio), unendo raffinata perizia metrico-stilistica a immediatezza e chiarezza di sentimento.
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