OCTAVIO PAZ
LA STRADA
È una strada lunga e silenziosa.
Cammino nelle tenebre e inciampo e cado
e mi rialzo e calpesto con passi ciechi
le pietre mute e le foglie secche
e qualcuno dietro di me cammina:
se mi fermo, si ferma;
se corro, corre. Mi volto: nessuno.
Tutto è oscuro e senza scampo,
e svolto e risvolto angoli
che conducono sempre alla strada
dove nessuno mi aspetta né mi segue,
dove io seguo un uomo che inciampa
e si rialza e dice vedendomi: nessuno.
(da Libertà sulla parola, 1949)
.
La città, nei versi del Nobel messicano Octavio Paz, è nauseante, con l'artificiosità dei paesaggi urbani. È un dedalo ostile alla poesia con la sua sterilità, simboleggia la consapevolezza razionale, contrapposta alla creatività dell'atto poetico. E in essa ci si perde, inseguiti dal fantasma dell'alienazione. La poesia di Paz ne ricorda un’altra, Rivelazione, un'intuizione simile di Giorgio Caproni: "Mi sono risolto. / Mi sono voltato indietro. / Ho scorto / uno per uno negli occhi / i miei assassini. / Hanno / - tutti quanti - il mio volto".
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THOMAS VANOOST, "PIÙ VELOCE"
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LA FRASE DEL GIORNO
Parlo della città immensa, realtà quotidiana fatta di due parole: gli altri, / e in ognuno di essi c'è un io separato da un noi, un io alla deriva.
OCTAVIO PAZ, Il labirinto della solitudine
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Octavio Irineo Paz Lozano (Città del Messico, 31 marzo 1914 – 20 aprile 1998), poeta, scrittore, saggista e diplomatico messicano, premio Nobel per la letteratura nel 1990. La sua poesia è fatta di sperimentazione e anticonformismo, un continuo mettersi in discussione del linguaggio, “lotta continua contro la significazione”.

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