CLEMENTE REBORA
IL CONSOLATORE
E qui, senza riparo né scampo,
senza inganno né fuga,
io vivo con voglia nel tempo;
e del sangue di tutti è il mio polso.
Come canto in melodia,
come nota in armonia,
nell’amor della gente mi paleso:
e vil mi sembra quando con tormento
la voce si smarrisce appena mia.
Come vena profonda alle radici,
come pioggia feconda,
rinascer tento negli altri felici:
e torvo asseto quando la rinuncia
chiuso mi rende dove aperto fui.
Come mamma nella fame
tutto ai bimbi dona il pane,
così m’è grato confortare altrui
mentre rotolo dentro.
(da Frammenti lirici, La Voce, 1913)
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Un costante desiderio di purezza spirituale percorre come un filo rosso tutta la poesia di Clemente Rebora, dagli anni in cui fu combattente come soldato di fanteria a quelli in cui fu insegnante e poi sacerdote dopo aver trascorso sette anni nel Convento rosminiano di Monte Calvario a Domodossola. Dal contrasto tra lo slancio immanentistico verso l’opera umana e il disgusto del mondo emerge infine a placare la crisi l’armonia ritrovata con l’apertura verso quanto lo circonda, verso la collettiva umanità.
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FRANCESCO HAYEZ, "AUTORITRATTO IN UN GRUPPO DI AMICI"
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LA FRASE DEL GIORNO
Sono un cane da fiuto del divino nell'umano.
CLEMENTE REBORA, Lettere
Clemente Luigi Antonio Rèbora (Milano, 6 gennaio 1885 – Stresa, 1º novembre 1957) poeta italiano. Dopo una giovinezza inquieta alla ricerca di una dimensione trascendente, prese parte alla Prima guerra mondiale rimanendo ferito sul Podgora. Nel 1928 una crisi religiosa lo avvicinò alla fede cattolica: nel 1936 fu ordinato sacerdote.
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