GIOVANNI RABONI
L’APPARTAMENTO
1
Passa, dicono, le giornate
con addosso un pigiama, una vestaglia. A chi
gli consiglia d’uscire, di muoversi, altrimenti
i muscoli, alla sua età, si atrofizzano, le giunture
si bloccano, risponde
con un dolce, lento sorriso.
2
Caverna, bunker; mucosa,
spolverati libri che nessuno
leggerà né scompiglia,
grande schermo millimetrato della concentrazione,
dell’introiezione – e dovrebbe
spegnerlo, vestirsi, arrischiare le ossa
nell’aria confusa, piena di pòlline?
3
Va piano piano alla finestra
a vedere se nevica ancora, se continua
nel buio luminoso, là fuori
l’infantile disastro del mondo.
(da Nel grave sogno (1965-1982), Mondadori, 1982)
.
È di tanto tempo fa questa poesia metropolitana di Giovanni Raboni, poesia della solitudine dell’uomo moderno rinchiuso nel suo appartamento in una sorta di autocarcerazione agorafobica. Ma, se ci pensiamo bene, è attualissima: quella chiusura dell’individuo è la nostra, è quella di chi teme il mondo e si isola nello schermo del telefonino.
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EDWARD HOPPER, “OFFICE IN A SMALL CITY”
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LA FRASE DEL GIORNO
Nella solitudine il solitario divora se stesso, nella moltitudine lo divorano i molti. Ora scegli.
FRIEDRICH NIETZSCHE, Umano, troppo umano
Giovanni Raboni (Milano, 22 gennaio 1932 – Fontanellato, 16 settembre 2004), poeta, critico letterario, giornalista, traduttore e scrittore italiano appartenente alla "generazione degli anni Trenta. Nel solco della tradizione lombarda, elaborò sin dalla prima raccolta Le case della Vetra (1966) una poetica d'intonazione civile ma anche esistenziale con toni piani e sommessi.
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