NEMESIANO
SIESTA
Vieni, o mia bella Meroe, dove l'afa
invita, all'ombra. Ormai il bestiame entrò
nel bosco né più trilla l'uccello canterino,
né la serpe traccia in terra la curva delle squame.
Io solo canto, ogni bosco di me suona.
Alle cicale estive non cedo nella voce.
Canti ciascuno il suo amore, perché il canto
allevia il cuore.
(da Poeti latini della decadenza, Einaudi, 1988 – Traduzione di Carlo Carena)
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È una voce che viene da un tempo lontano quella di Marco Aurelio Olimpio Nemesiano, poeta cartaginese che visse a Roma verso la fine del III secolo, nel bel mezzo del lungo periodo di decadenza che portò dal mondo antico al mondo moderno. Ed è un inno alla poesia, alla parola intesa come salvagente, come ultima salvezza: la poesia bucolica – Nemesiano in realtà imita Calpurnio che a sua volta imitava il grande Virgilio – serve a inquadrare un campo d’amore scevro ormai dalla mitologia. Non ci sono più gli dèi ma solo i due innamorati, in un caldo giorno d’estate, all’ombra, dove risuona il canto poetico a riecheggiare i versi di un altro decadente del III secolo, Tucciano: “Cantate per amare e amate per cantare”.
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Cartolina © Eyedeal
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LA FRASE DEL GIORNO
Ami domani chi mai amò / e chi amò ami domani.
ANONIMO, Pervigilium Veneris
2 commenti:
..."piccola/grande" poesia.
Ciaoo Vania
ogni tanto vado in cerca di queste perle antiche: la mia formazione classica me lo impone :-)))
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