GIORGIO VIGOLO
LA COLLINA
Uscire ai campi ancora mi consola
e solo andare in compagnia degli alberi
a toccare il cielo sulla collina.
Una capra legata
brucava in un pendio:
io mi fermai a parlare con la capra,
l'aiutai a districare la zampa:
essa mi ringraziò con voce umana.
Nulla è più bello al mondo
che quando si comunica,
e coi ciottoli, gli uccelli, i fili d'erba
si trova una comune lingua.
Ma è più facile parlare a una capra
che comunicare con l'uomo.
Perciò mi piace salire sulla collina
e vedere la città di lontano
coi suoi alveari di vespe stizzite.
Io ho litigato con loro.
(da Fantasmi di pietra, Mondadori, 1977)
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C’è una incomprensione alla base di questi tardi versi di Giorgio Vigolo, poeta romano: andare su uno dei colli della Capitale e guardare la città dall’alto è segno di estraniamento da quella società, dal convito umano, è un messaggio di non appartenenza a quel mondo che è venuto creandosi, a quel tessuto sociale formatosi nel corso del tempo. Solo la natura ha adesso “una comune lingua” con il poeta disincantato: sono le piante, gli uccelli, i prati, le pietre ormai i suoi interlocutori. E non deve sfuggire il paragone con “La capra” di Umberto Saba: lo stesso “belato fraterno” non è qui segno di un medesimo dolore ma di una contrapposizione alla genia umana, non sempre così riconoscente come la capra cui il poeta ha liberato una zampa prigioniera di un viluppo di rovi.
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FOTOGRAFIA © JOLIE JACOBS
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LA FRASE DEL GIORNO
O alberi salmisti, con pianete / di luce, il vostro salmo / rimormoro devoto nel mio cuore.
GIORGIO VIGOLO, La luce ricorda
2 commenti:
..interessante...un flash...di una "società".
ciaoo Vania
P.s....stamattina in auto....io e la Vale abbiamo visto un gregge di pecore...con il pastore....venuti in pianura a rifocillarsi.(naturalmente le pecore:))))
le poesie sanno anche fotografare la società
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