CARLO CHIAVES
VISIONE D’AUTUNNO
Un esteta elegante,
fra gli altri complimenti,
ti ha detto, non rammenti?
che sembri una baccante.
Ci ho ripensato ieri,
mentre avida e gioconda
spiccavi dalla fronda
i bei grappoli neri.
Tu li premevi un poco:
sprizzava a gocce giù
il mosto, or meno or più.
Tu indugiavi al gioco,
Lieta ridente ardita:
lunge la consueta
eleganza che vieta
di macchiarsi le dita!
Ti ho immaginata, avvolta
nei pampini acri e folti
lungo il viso disciolti
e per le braccia: e molta
uva, fra i tuoi capelli,
sulle spalle, sul bianco
seno, ed attorno al fianco
a gorgheggiar stornelli
liberi, a squarciagola:
e per le gambe lisce
colasse il mosto, a strisce
di rosso e di viola.
E un sole ardente, come
il sol che ti arse ieri,
luccicasse sui neri
grappoli, in su le chiome.
Ti illuminasse l'anca
procace e il niveo dorso,
e tu levassi il torso,
come una macchia bianca,
Contro la siepe oscura
de' bei vigneti uguali,
dove l'oblio dei mali
lento, nel sol, matura.
(da Sogno e ironia, Lattes, 1910)
.
Carlo Chiaves, crepuscolare poco noto il cui nome è associato a quelli di Gozzano, Corazzini, Moretti e Martini, morì trentaseienne a Torino nel 1919. La sua è una poesia che con i suoi languori talora venati d’amarezza, come abbiamo già visto nel caso di “Nel secolo Duemila Trecento”, incarna in pieno il gusto Liberty del crepuscolarismo.
A quelle foglie di vite, a quei tralci che possiamo ancora ritrovare sulle vecchie ville di fine Ottocento e inizio Novecento, nelle decorazioni che bordano le facciate, mi fa pensare questa “Visione d’autunno” che inscena una sensuale fantasia del poeta. Chiaves parte dal complimento fatto da un raffinato dandy a una donna – amica o amata? magari la ragazza di “L’impeto vano” – e costruisce tutto un sogno ad occhi aperti: “Lei assomiglia a una baccante” può aver detto l’esteta e lì è scattata la molla, alimentata dagli studi classici. Le baccanti – o “menadi” - sono le donne che nell’antica Grecia partecipavano ai riti orgiastici in favore del dio Dioniso (Bacco per i Latini), immortalate da Euripide nell’omonima tragedia: indossando pelli di cerbiatto o di pantera, con il tirso in pugno, danzavano con ritmi sfrenati per i monti, in stato d’ebbrezza, accompagnandosi con il fragore assordante di cembali, timpani, flauti e altri strumenti; portavano con sé l’animale sacro – solitamente un cerbiatto - e, al culmine dell’esaltazione, coincidente con l’estasi, lo dilaniavano e lo divoravano crudo. Probabilmente Chiaves più che a queste donne invasate e folli, colte da una specie di trance religiosa, pensava a una donna preda della passione amorosa, scarmigliata e scomposta. E così immagina l’amica, nella campagna piemontese, intenta tra i vigneti a cingersi di tralci e foglie di viti e a gustare senza freni i dolci grappoli…
.
Immagine © MITOLiberty
.
* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
LA FRASE DEL GIORNO
La fantasia è una forza della natura. Non basta questo a riempire un uomo di estasi? Fantasia, fantasia, fantasia.
SAUL BELLOW, Il re della pioggia
Nessun commento:
Posta un commento