GIOVANNI GIUDICI
ALLA BEATRICE
Beatrice sui tuoi seni io ci sto alla finestra
arrampicato su una scala di corda
affacciato dal fuori in posizione precaria
dentro i tuoi occhi celeste vetro
dentro i tuoi vizi capitali
dentro i tuoi tremori e mali
Beatrice sui tuoi seni io ci sto a spiare
ciò che fanno seduti intorno a un tavolo
i tuoi pensieri su sedie di paglia
ospiti appena arrivati o sul punto di partire
raccolti sotto la lampada gialla
uno che ride uno che ascolta e uno che parla
Beatrice dai tuoi seni io guardo dentro la casa
dalla notte esteriore superstite luce
nella selva selvaggia che a te conduce
dalla padella alla brace
estrema escursione termica che mi resta
più fuoco per me tua minestra
Beatrice – costruttrice
della mia beatitudine infelice
Beatrice dai tuoi seni io vengo a esplorare com’è
la stanza dove abitare
se convenienti vi siano i servizi
e sufficiente l’ordine prima di entrare
se il letto sia di giusta misura
per l’amore secondo natura
Beatrice dunque di essi non devi andare superba
più che dell’erba il prato su cui ci sdraiamo
potrebbero essere stracci non ostentarli
per tesori da schiudere a viste meravigliate
i tuoi semplici beni di utilità strumentale
mi servono da davanzale
Beatrice – dal verbo beare
nome comune singolare
(da O beatrice, Mondadori, 1972)
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Giovanni Giudici ha sempre amato contaminare alto e basso, lingua di ogni giorno e voce letteraria impastando in tal modo le sue visioni tra mondo reale e mondo onirico, i famosi “effetti ottenuti lavorando sulla lingua, sui sentimenti, sul nulla, per cui una poesia si dice poesia”. Così, anche in questo omaggio al seno femminile travestito da filastrocca intellettuale, Giudici disegna una favola in cui la bellezza viene abitata come una stanza, assunta come punto di vista su luoghi e sensazioni. L’io narrante si affaccia a quella finestra di carne per osservare l’esistere, per incarnare l’essere nel grigiore della vita quotidiana: e l’ossimoro “beatitudine infelice” esprime al meglio quel senso di refrattarietà che talora si prova davanti alle cose.
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PIERRE-AUGUSTE RENOIR, “PORTRAIT DE SUZANNE VALADON”
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LA FRASE DEL GIORNO
Ma non dimenticare che vedere non è / sapere, né potere, bensì ridicolo / un altro voler essere che te.
GIOVANNI GIUDICI, La vita in versi
Giovanni Giudici (Porto Venere, 26 giugno 1924 – La Spezia, 24 maggio 2011), poeta e giornalista italiano. Della sua formazione cattolica e del suo lavoro nell'industria ha fatto i poli di una tensione che lo trascende e caratterizza il suo impegno civile. Numerose le sue traduzioni: Frost, Sylvia Plath, Orten, Pound, Ransom e Puškin.
3 commenti:
...è simpatica... e per me "nuova"...e il finale mi ha fatto moltissimo sorridere.:)
ciaoooo Vania
P.s....
...originale/azzeccata la nuova intestazione.
ho voluto usare una grafica un po' diversa...
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