JULES SUPERVIELLE
PREGHIERA ALL’IGNOTO
Ecco che mi sorprendo a rivolgerti la parola,
Mio Dio, io che ancora non so se esisti
E non comprendo la lingua delle tue chiese bisbiglianti.
Guardo gli altari, la volta della tua dimora,
Come chi dica semplicemente: ecco il legno, la pietra,
Ecco le colonne romane.
A questo santo manca il naso.
E dentro come fuori, c’è l’angoscia umana.
Abbasso gli occhi senza potermi inginocchiare durante la messa,
Come se lasciassi passare il temporale sulla mia testa.
E non posso impedirmi di pensare a tutt’altra cosa.
Ahimè! Avrò passato la mia vita a pensare a un’altra cosa.
Quest’altra cosa, sono sempre io.
È forse il mio vero io.
È là che mi rifugio.
È la che forse tu sei.
Non avrei vissuto che in queste lontananze attraenti.
Il momento presente è un regalo del quale non ho saputo approfittare.
Non ne conosco bene l’uso.
Lo giro in ogni senso,
Senza saper avviare il suo complicato meccanismo.
(da La favola del mondo, 1937)
.(1937Z
Un uomo che cerca se stesso, che si pone domande, che pensa alla sua incapacità di vivere – che cos’altro è non sapere approfittare del presente, se è in esso che siamo costantemente immersi? Siamo nel 1937, in piena guerra di Spagna. Jules Supervielle, poeta che ha fatto dello stupore cosmico uno dei suoi temi preferiti, entra in una chiesa e si sorprende a pregare, a rivolgere la parola a ciò in cui non crede o in cui dubita. Ma non riesce a cogliere che la materialità del tempio di Dio: il legno delle travature, la pietra degli altari, il gesso delle statue. Quello cui riesce a pensare è che tutto il mondo vive la stessa angoscia, ignorando che la fede è forse un modo per vincere quel malessere. Quello cui riesce a pensare è la sua presenza nel mondo e lì, in quella chiesa dove la messa procede apparendogli come un linguaggio straniero. Dio è il suo io, la vita continua ad apparirgli una macchina dal funzionamento complicato, un oggetto di cui non è in grado di capire i meccanismi. Vuota, se gli altari restano pietre e la chiesa un ammasso di travi e colonne. La risposta sarà in una poesia successiva, intitolata “Tristezza di Dio”. Se Dio è l’io, allora la tristezza di Dio è quella del poeta…
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Città del Vaticano, interno della Basilica di San Pietro © Daniele Riva
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LA FRASE DEL GIORNO
Chi dice di no a se stesso non può dire sì a Dio.
HERMANN HESSE, Vagabondaggio
1 commento:
Rivolgersi a qualcuno che non esiste non e'gia'di per se'un'ammissione implicita della sua esistenza, una tensione, uno spasmo, un grido sofferto che attende risposta? Mi ricorda una poesia di Machado
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