BILLY COLLINS
LO SFORZO
nel lanciare alcuni sassi verso
quegli insegnanti che amano porre la domanda:
“Che cosa sta cercando di dire il poeta?”
come se Thomas Hardy e Emily Dickinson
si fossero sforzati ma alla fine avessero fallito:
disgraziati incapaci di parlare, che altro non erano,
con la penna in bocca a guardare fuori dalla finestra in attesa d’un idea.
Sì, sembra che Whitman, Amy Lowell
e tutti gli altri potessero solo tentare e fallire,
ma noi nella classe di Inglese della terza ora della prof Parker
qui al Liceo di Springfield ce la faremo
con l’aiuto di questi questionari di comprensione
a dire quel che il povero poeta non riusciva a dire,
e faremo tutto questo prima
dell’orgia dell’insalata di uova e tonno nota come pranzo.
Stasera, tuttavia, io sono quello che cerca
di dire che cosa significa questa assenza,
noi due che dormiamo e ci svegliamo sotto due diversi tetti.
L’immagine di questo vaso di fiori recisi,
non del nostro giardino, non aiuta.
E lo stesso vale per quel piatto singolo,
la lampada solitaria, e il tempo là fuori che preme il volto
contro queste finestre nuove, la pioggia leggera e il gelo del mattino.
E allora lascerò che sia la prof Parker,
che sta picchiettando con un gesso la lavagna,
e i suoi studenti – alcuni con la mano alzata,
altri trasandati con i loro cappellini portati a rovescio –
a capire quel che sto cercando di dire
su questo posto in cui mi trovo
e di farlo prima che suoni la campanella di mezzogiorno
e sia sguinzagliato il tornado di polpette di carne.
(da Balistica, Fazi, 2011 – Traduzione di Franco Nasi)
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La scorsa settimana, presentando una poesia di Billy Collins che attaccava il modo dei critici di intendere le opere poetiche, ho promesso di parlare di un’altra sua poesia riservata agli insegnanti: eccola… Sottoscrivo ampiamente il punto di vista di Collins: infatti in questo blog le righe di presentazione che accompagnano le poesie vogliono essere soltanto uno spunto da cui partire, lasciando a chi legge la facoltà di “entrare” nella poesia, perché questo è leggere dei versi: infilarsi in essi e farli propri. È l’unico modo: “Il testo poetico è inspiegabile, non inintelligibile” scrisse Octavio Paz, Nobel messicano. Non si spiega una poesia, la si capisce.
.NORMAN ROCKWELL, “TEACHER’S BIRTHDAY”
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LA FRASE DEL GIORNO
Le parole entrano dall’orecchio, appaiono davanti agli occhi, spariscono nella contemplazione. Ogni lettura di una poesia tende a provocare il silenzio.
OCTAVIO PAZ, Corrente alterna
LA FRASE DEL GIORNO
Le parole entrano dall’orecchio, appaiono davanti agli occhi, spariscono nella contemplazione. Ogni lettura di una poesia tende a provocare il silenzio.
OCTAVIO PAZ, Corrente alterna
9 commenti:
Confesso: la aspettavo, ed eccola qua. Per fortuna, nonostante la scuola e i critici, la poesia resiste. c.
Le promesse sono promesse...
¡hasta la poesia siempre!
eheh. La poesia è rivoluzione. c.
..condivido il punto di vista e apprezzo la tua proposta....Stefyp.
grazie
..un bel leggere ...non c'è dubbio!!
ciaoo Vania:)
leggere dentro e leggersi dentro
Già, ogni prof. che sia tale dovrebbe chiedere a ciascun alunno di "spiegargliela" la poesia...
proprio così... dire non quello che "ha capito" ma quello che la poesia gli "ha detto"
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