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lunedì 31 ottobre 2016

Cupo fiume errante

 

GIOVANNI PASCOLI

TRE VERSI DELL'ASCREO

«Non di perenni fiumi passar l’onda,
che tu non preghi volto alla corrente
pura, e le mani tuffi nella monda
                            acqua lucente»

dice il poeta. E così guarda, o saggio,
tu nel dolore, cupo fiume errante:
passa, e le mani reca dal passaggio
                           sempre più sante...

(da Myricae, 1891)

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La poesia che apre “Pensieri”, la sezione più meditativa di Myricae, prende spunto da tre versi (737-739) dalle Opere e i giorni del poeta greco Esiodo, nato ad Ascra in Beozia sul finire dell’VIII secolo avanti Cristo: “Né traversare a guado mai l’acqua dei fiumi perenni, / se tu prima non preghi, rivolto a la bella corrente, / prima le mani non mondi nell’acque piacevoli e pure”, qui tradotti da Ettore Romagnoli: purificazione rituale che prefigura una purificazione dell’anima. Giovanni Pascoli ne ricava tre endecasillabi e un emistichio per commentarli sulla base di uno dei suoi temi principali: il dolore che purifica, permettendo così di santificare l’uomo.

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Adda

FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
Sai quando le persone diventano forti? Quando imparano ad accettare il dolore.
ROMANO BATTAGLIA, Ho incontrato la vita in un filo d’erba




Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912), poeta e accademico italiano, eccelso latinista, figura emblematica della letteratura di fine Ottocento. Nonostante la sua formazione eminentemente positivistica, è il maggiore esponente del Decadentismo.

domenica 30 ottobre 2016

Tutte le sue porte

 

MARIO BENEDETTI

QUESTA È LA MIA CASA

Non c’è dubbio. Questa è la mia casa
qui avvengo, qui
mi inganno immensamente.
Questa è la mia casa ferma nel tempo.

Arriva l’autunno e mi difende,
la primavera e mi condanna.
Ho milioni di ospiti
che ridono e che mangiano,
s’accoppiano e dormono,
giocano e pensano,
milioni di ospiti che si annoiano,
che hanno incubi e attacchi di nervi.

Non c’è dubbio. Questa è la mia casa.
Tutti i cani e i campanili
ci passano davanti.
Ma la mia casa è sferzata dai fulmini
e un giorno si spaccherà in due.

E io non saprò dove ripararmi
perché tutte le sue porte danno fuori dal mondo.

(Ésta es mi casa, da Sólo mientras tanto, 1950 – Traduzione di Martha L.Canfield)

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È la casa fisica quella che il poeta uruguaiano Mario Benedetti descrive in questa sua poesia giovanile. Ma naturalmente cela in filigrana altre letture: è anche un’altra casa, quella esistenziale, minacciata dalla solitudine e dall’ansia per lo scorrere del tempo; è poi la patria, l’amato Uruguay che dovrà abbandonare dopo il colpo di stato militare del 1973 – e premonitori sono quei versi “sferzata dai fulmini / un giorno si spaccherà in due”: dieci lunghi anni in Argentina, Perù, Spagna e Cuba lo terranno lontano dalla casa e dalla moglie, rimasta ad accudire la madre.

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Benedetti

FOTOGRAFIA © AHORA TOCA VIAJAR

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LA FRASE DEL GIORNO
Ma adesso non ci sono più scuse perché ritorno qui, si torna sempre. La nostalgia filtra dai libri, viene inserita sotto la pelle e questa città senza palpebre, questo paese che non sogna, improvvisamente diventa l'unico luogo in cui l'aria è la mia aria e la colpa è la mia colpa.
MARIO BENEDETTI




Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano. Figlio di immigrati italiani, fece parte della Generazione del’45. Nel 1973 fu costretto all’esilio dal golpe militare. Rientrò nel 1983.


sabato 29 ottobre 2016

Oggetti scompagnati

 

 

GHIANNIS RITSOS

PRESSAPPOCO

Prende in mano oggetti scompagnati – una pietra,
una tegola rotta, due fiammiferi bruciati,
il chiodo arrugginito del muro di fronte,
la foglia entrata dalla finestra, le gocce
che cadono dai vasi annaffiati, quel filo di paglia
che ieri il vento portò sui tuoi capelli, – li prende
e là nel suo cortile costruisce pressappoco un albero.
In questo “pressappoco” sta la poesia. La vedi?

(da Testimonianze, seconda serie, 1964-1965 – Traduzione di Nicola Crocetti)

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La poesia di Ghiannis Ritsos è sovente la ricerca di una verità sotto le forme, una scoperta di tracce del mito e del divino nei volti e nelle cose di ogni giorno. L’opera del poeta è dunque una sorta di ricostruzione per tentativi: “Ci sono versi – a volte poesie intere – / che neanch’io so cosa voglion dire”. Eppure proprio in quel continuo ricercare – Ritsos scriveva poesie ogni giorno – sta la poesia: il superamento del reale, l’udire la voce segreta delle cose e del mondo.

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Schiller

FOTOGRAFIA © CARL SCHILLER

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LA FRASE DEL GIORNO
A volte s’inginocchia anche la poesia davanti al suo foglio bianco / o si nasconde dietro il foglio e guarda il mondo.
GHIANNIS RITSOS




Ghiannis Ritsos (Monemvasia, 1º maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990), poeta greco tra i maggiori del XX secolo. Fu candidato nove volte al Premio Nobel. La sua vita fu animata da un'incrollabile fede negli ideali marxisti e nelle virtù catartiche della poesia.


venerdì 28 ottobre 2016

Sospesi sulla spuma

 

WILLIAM BUTLER YEATS

GLI UCCELLI BIANCHI

Io vorrei che noi fossimo, amore, uccelli bianchi su spuma di mare!
Di fiamma di meteora ci stanchiamo avanti che ci sfugga o che svanisca;
Fiamma di stella azzurra di crepuscolo, al margine del cielo in basso appesa,
Nei nostri cuori ha suscitato, amore, una tristezza che non può morire.
Viene stanchezza da questi sognatori, gravati di rugiada, giglio e rosa;
Non sognare di loro, amata mia, la fiamma di meteora che scorre,
Fiamma di stella azzurra che s'indugia al calar di rugiada in basso appesa;
Io vorrei che noi fossimo mutati in bianchi uccelli su vagante spuma!Isole innumerevoli mi turbano, e le rive fatate dove il tempo
Ci scorderebbe, dove il dolore non ci raggiungerebbe mai;
Presto lontani dalla rosa e il giglio, corrosi dalle fiamme non saremmo,
Fossimo solo bianchi uccelli, amore, sospesi sulla spuma a navigare!

(da The Countess Kathleen and Various Legends and Lyrics, 1893)

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William Butler Yeats, poeta irlandese, Premio Nobel 1923, conobbe Maude Gonne, ereditiera legata all’ambiente nazionalista, nel 1889. Tre anni più tardi le propose una prima volta il fidanzamento durante una passeggiata lungo le scogliere di Howth, località balneare a sud di Dublino. Maude rifiutò. Tre giorni più tardi Yeats le inviò questi versi, ispirati da una frase di Maude, che quel giorno gli aveva detto che avrebbe preferito essere un gabbiano piuttosto che qualsiasi altro uccello. Così le chiede di rivalutare la proposta e di non concentrarsi sulle cose effimere – le stelle cadenti, le meteore, i fiori – ma di considerare il suo amore come il volo in libertà dei gabbiani. Tutto inutile: Maude respingerà ogni sua proposta, ben quattro nell’arco di 18 anni. Il poeta, ormai giunto a 52 anni, si metterà il cuore in pace e sposerà Georgie Hyde-Lees.

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Criste

DIPINTO DI MIHAI CRISTE

 

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LA FRASE DEL GIORNO
L’uomo ama, e ama ciò che svanisce. / Che altro c’è da dire?
WILLIAM BUTLER YEATS, La torre




Yeats_BoughtonWilliam Butler Yeats (Dublino, 13 giugno 1865 – Roquebrune-Cap-Martin, 28 gennaio 1939), poeta, drammaturgo, scrittore e mistico irlandese. Spesso indicato come W. B. Yeats, fu anche senatore dello Stato Libero d'Irlanda negli anni venti.Fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1923 “per la sua poetica sempre ispirata, che con alta forma artistica ha dato espressione allo spirito di un'intera nazione”.


giovedì 27 ottobre 2016

Come barche di carta

 

CHARLES WRIGHT

RITRATTO D’ARTISTA CON LI PO

Il “sommo prete celeste del Lago Bianco” è ora
un monticello in una valle d’erba infinita,
i suoi pendagli tintinnano, le perle fanno ombra ai suoi occhi.
Non disse mai nulla della vita dopo la morte,
il suo corpo è avvolto in ruggine blu e fumo di rugiada.

Amava soprattutto fiori e acqua.
Tutti sanno la storia vera che scriveva versi e li affidava
alla corrente
come barche di carta,
per vederli scivolare via.
Nella sue poesie non entrò mai la morte, ma remò, capelli
sciolti, lontano sul lago,
ridendo e guardando al cielo.

Oltre 1000 anni dopo, scrivo un suo verso su
un taccuino,
il fiore di pesco segue l’acqua che si muove,
e guardo l’oscurità d’ottobre addensarsi alle colline.
Tutta la notte il fiume dei cieli scorrerà verso ovest e nessuno
lo noterà.
La distanza tra i morti e i vivi
è più d’un battito di cuore e d’un respiro.

(da La Croce dei Sud, 1981 - Traduzione di Antonella Francini)

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Il poeta statunitense Charles Wright rende omaggio a un altro poeta, il cinese Li Po, vissuto al tempo della dinastia T’ang nella prima metà dell’VIII secolo: Wright è ammirato dalla spensieratezza di Li Po, dalla leggerezza dei suoi versi, dall’attenzione per la bellezza delle piccole cose terrene, quali i fiori di pesco o i riflessi della luna nell’acqua. Copiare sul taccuino un verso di Li Po è più di un omaggio, è una comunanza, un’empatia con l’antico poeta.

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FOTOGRAFIA © MR WALLPAPER

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LA FRASE DEL GIORNO
Ogni parola, come qualcuno una volta ha scritto, contiene l’universo / Il visibile porta tutto l’invisibile sul dorso.
CHARLES WRIGHT




Charles Wright (Pickwick Dam, Tennessee, 25 agosto 1935), poeta, accademico e traduttore statunitense, vincitore del Premio Pulitzer per la poesia nel 1998. Professore presso l'Università della Virginia, ha creato uno stile poetico che genera una sensazione di immediatezza e concretezza enfatizzando gli oggetti e la prospettiva personale.


mercoledì 26 ottobre 2016

Povero militare

 

ALDO PALAZZESCHI

LE DUE ROSE

Povero militare,
che ti stringi forte alle tempie
la rosa bianca del guanciale
per acchetar l’ardore
di quella rossa nascosta
che ti fa bruciare,
chi t’ha fatto male?

(da Poesie, 1930)

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15 gennaio 1915, l’Italia non è ancora entrata in guerra e nel paese divampa il dibattito tra interventisti e non interventisti. Aldo Palazzeschi, futurista ormai lanciato al recupero di una certa essenzialità lirica che richiama toni ungarettiani, pubblica su La Voce questa poesia in cui piange il dolore di un soldato ferito al fronte sottolineando in questo modo l’umanità della sofferenza, che non ha divise o bandiere: quello che giace a letto, con una dolorosa ferita in qualche parte del corpo non è più l’ardito soldato che si lancia contro la trincea nemica, ma semplicemente un uomo.

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ILLUSTRAZIONE © BBC

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LA FRASE DEL GIORNO
Fuoco tambureggiante, fuoco d'interdizione, cortina di fuoco, bombarde, tanks, mitragliatrici, bombe a mano: son parole, parole, ma abbracciano tutto l'orrore del mondo.
ERICH MARIA REMARQUE, Niente di nuovo sul fronte occidentale




Aldo Palazzeschi, pseudonimo di Aldo Pietro Vincenzo Giurlani (Firenze, 2 febbraio 1885 – Roma, 17 agosto 1974), scrittore e poeta italiano, uno dei padri delle avanguardie storiche. Dall'esordio come crepuscolare e dalla breve adesione al Futurismo, attraversò il «ritorno all'ordine» degli anni Venti e la ripresa sperimentale delle avanguardie degli anni Sessanta con inconfondibile giocondità, enigmatica e inafferrabile.


martedì 25 ottobre 2016

Come se avessi una casa


OLAV H. HAUGE

CAPANNE DI FOGLIE E CASE DI NEVE


Non sono gran che
questi versi, solo
qualche parola, messa insieme
a caso.
Tuttavia
mi piace moltissimo
comporli, allora
è come se avessi una casa
per qualche breve attimo.
Ricordo le capanne di foglie
che costruivamo
quando eravamo piccoli:
infilarcisi dentro, sedersi
e ascoltare la pioggia,
sapersi soli nella natura,
sentire le gocce sul naso
e tra i capelli –
oppure le case di neve a Natale,
infilarcisi dentro e
chiudere con un sacco,
accendere una candela, starsene lì
nelle sere fredde.


(da La terra azzurra, Crocetti, 2008 – Traduzione di Fulvio Ferrari)
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Mi capita spesso di sentire criticare le poesie come se il lettore fosse il depositario assoluto della verità. In realtà ogni poesia è una fotografia del momento ed è un posto dove il poeta si rintana per santificare le sue emozioni, per fermarle sulla carta o sullo schermo di un apparecchio elettronico. Ogni poesia dunque – come dice il poeta norvegese Olav H. Hauge – è una capanna di foglie, è una casa di neve, un rifugio sicuro dove rimanere con se stessi.

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DIPINTO DI JACEK YERKA
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LA FRASE DEL GIORNO
Una buona poesia / deve odorare di tè. / O di terra umida e legna appena tagliata.
OLAV H. HAUGE




Olav Håkonson Hauge (Ulvik, 18 agosto 1908 – 23 maggio 1994), traduttore e poeta norvegese. Giardiniere, uomo di grande cultura, tradusse in lingua nynorsk Blake, Brecht, Celan, Hölderlin e Sylvia Plath. La sua è poesia modernista, che invade il territorio della poesia concreta.




lunedì 24 ottobre 2016

Una cosa dimenticata

 

ALAÍDE FOPPA

LEI SI SENTE A VOLTE

Lei si sente a volte
come una cosa dimenticata
nell’angolo più buio della
casa
come un frutto divorato
dagli uccelli rapaci,
come un’ombra senza volto
e senza peso.
La sua presenza è a stento
una leggera vibrazione
nell’aria immobile.
Sente che la attraversano
gli sguardi
e che diventa nebbia
tra le braccia goffe
che provano a circondarla.

Vorrebbe essere piuttosto
un’arancia succosa
nella mano di un bimbo
- non vuota scorza -
un’immagine che brilla
nello specchio
- non un’ombra che sfuma -
e una voce distinta
- non un gravoso silenzio -
mai ascoltata.

(Ella se siente a veces, da La sin ventura, 1955)

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Questa della poetessa guatemalteca Alaíde Foppa è la voce di una donna ferita dalla solitudine e dal disinganno amoroso, prigioniera di quel disagio esistenziale dal quale non riesce a evadere: “Dammi, Signore, / un silenzio profondo / e un velo spesso / sugli occhi. / Così sarei un mondo / chiuso,  / un’isola buia; / scaverei dentro me dolorosamente / come in terra dura”.

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IMMAGINE DAL WEB

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LA FRASE DEL GIORNO
Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri
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CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere




Alaíde Foppa Falla (Barcellona, Spagna, 22 marzo 1914 – Città del Guatemala, 19 dicembre 1980),  poetessa, scrittrice e traduttrice guatemalteca. Esule in Messico, vi fondò la rivista femminista Fem. Tornata in Guatemala per rinnovare il passaporto dopo l’assassinio del figlio, guerrigliero nella EGP, fu rapita in pieno giorno dai corpi paramilitari e presumibilmente assassinata.


domenica 23 ottobre 2016

Dono d’amore

 

SYLVIA PLATH

PAPAVERI IN OTTOBRE

Nemmeno le nubi assolate possono fare stamane
Gonne così. Né la donna in ambulanza,
Il cui rosso cuore sboccia prodigioso dal mantello -
 
Dono, dono d'amore
Del tutto non sollecitato
Da un cielo
 
Che in un pallore di fiamma accende i suoi
Ossidi di carbonio, da occhi
Sbigottiti e sbarrati sotto cappelli a bombetta.
 
O Dio, chi sono mai
Io da far spalancare in un grido queste tarde bocche
In una foresta di gelo, in un'alba di fiordalisi.

27 ottobre 1962

(Poppies in October, da Ariel, 1965 – Traduzione di Giovanni Giudici)

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Papaveri in ottobre? Sono quelli artificiali esibiti all’occhiello per alcune settimane nei paesi anglosassoni in occasione del Remembrance Day, il giorno che ricorda i caduti della Prima guerra mondiale. Quei papaveri ricordano alla poetessa statunitense Sylvia Plath un’altra sua poesia, Papaveri in luglio: “Piccoli papaveri, piccole fiamme d’inferno, / Non fate male? / (…) Ci sono fumi che non posso toccare. / Dove sono le vostre schifose capsule oppiate? / Ah se potessi sanguinare, o dormire! –” / Potesse la mia bocca sposarsi a una ferita così!”. La Plath scrisse questi versi il giorno del suo trentesimo compleanno, il 27 ottobre del 1962, nella sua casa londinese, sola con i figli, abbandonata dal marito Ted Hughes, in preda alla depressione e alle domande sulla sua esistenza sopravvissuta alla bella stagione: il suo desiderio autodistruttivo non riuscirà a reggere più a lungo alla sua alienazione. La poetessa non arriverà al compleanno successivo: l’11 febbraio porrà fine alla sua vita avvelenandosi con il gas.

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Remembrance

FOTOGRAFIA © ALAMY

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LA FRASE DEL GIORNO
Come deve essere fragile il cuore umano – una pozza dove si specchiano i pensieri.
SYLVIA PLATH, Lettere




Sylvia Plath (Boston, Massachusetts, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963),  poetessa e scrittrice statunitense. Moglie del poeta Ted Hughes, clinicamente depressa, morì suicida a trent’anni. La sua è poesia “confessionale”, ispirata al vissuto e ai traumi personali.  Tra le sue opere, oltre alle raccolte Il colossoPapaveri a luglio e Ariel anche il romanzo La campana di vetro.

sabato 22 ottobre 2016

Dove nulla è detto

 

JUAN GELMAN

IL QUADERNO

a Juan Bañuelos

Coloro che dicono di scrivere versi
meglio degli dei, non saranno
castigati come Niobe, che tesseva
meglio delle dee e osò
dirlo e le uccisero
i figli e la
tramutarono in pietra. No. Oggi
a quei poeti daranno
onorificenze, posti di prestigio, li
nomineranno ambasciatori e
pietrificheranno il loro respiro.
La parola è stufa marcia di bugie
e approva la decisione. Ne
ha abbastanza di se stessa, e di
domandarsi cos'è, chi è,
di non sapere se parla fra
l'essere e la finzione di esserci, mentre
scrive su un quaderno
dove nulla è detto.

(da Valer la pena, Parma: Guanda, 2007)

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Niobe, figura della mitologia classica, aveva sette figlie e sette figli ed era così orgogliosa di loro da prendersi gioco della dea Latona, che aveva “soltanto” i suoi due, Artemide e Apollo. Latona ordinò ad Apollo di uccidere i sette maschi e ad Artemide di uccidere le sette femmine. Questa hybris dell’antichità classica non ci sarà, dice il poeta argentino Juan Gelman, per i poeti superbi – di solito cattivi poeti – anzi, saranno bellamente premiati e onorati e anche la poesia stessa si arrenderà a questa sua fine, frutto di una società sempre più ignorante e sempre meno acculturata.

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Quaderno

FOTOGRAFIA DA TWITTER

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LA FRASE DEL GIORNO
Cosa può / mai fare la poesia, se non / accontentarsi di quel che le danno?
JUAN GELMAN, Valer la pena




Juan Gelman (Buenos Aires, 3 maggio 1930 – Città del Messico, 14 gennaio 2014), poeta, scrittore e giornalista argentino. Vincitore del Premio Cervantes nel 2007, è autore di una poesia esistenziale con accenti lirici e intimisti, divenuta più sociale con l’avvento della dittatura militare (il figlio e la nuora furono sequestrati e uccisi dal regime, la nipote data in adozione) e l’esilio.


venerdì 21 ottobre 2016

I proletari celesti

 

ZBIGNIEW HERBERT

RESOCONTO DAL PARADISO

In paradiso la settimana lavorativa è di trenta ore
gli stipendi sono più alti i prezzi in continuo calo
il lavoro manuale non affatica (per la minore forza di gravità)
tagliare la legna è come lo scrivere a macchina
il sistema sociale è stabile e i governi ragionevoli
davvero in paradiso si sta meglio che in qualsiasi altro paese

All’inizio le cose dovevano essere diverse –
cerchi luminosi cori e gradi di astrazione -
ma non si è riusciti a separare esattamente
il corpo dall’anima e questa veniva qui
con una stilla di grasso e filo di muscolo
se ne dovettero trarre le conclusioni
mescolare un granello d’assoluto a un granello d’argilla
ancora una deviazione dalla dottrina l’ultima deviazione
solo Giovanni l’aveva previsto: risorgerete col corpo

sono in pochi a vedere Dio
c’è solo per quelli fatti di puro pneuma
gli altri ascoltano i bollettini su miracoli e diluvi
col tempo tutti vedranno Dio
quando ciò avverrà non lo sa nessuno

Per ora il sabato a mezzogiorno
le sirene ululano dolcemente
e dalle fabbriche escono i proletari celesti
sotto il braccio portano goffamente le loro ali come violini.

(da Rapporto dalla città assediata, 1983 – Traduzione di Pietro Marchesani)

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Zbigniew Herbert pubblicò Rapporto dalla città assediata a Parigi: poté liberamente esprimere la sua opposizione al regime antidemocratico che vigeva allora in Polonia e al quale si oppose duramente. Nelle poesie uomini lottano contro la barbarie dello stalinismo e l’apatia di una società che sopporta questo modello totalitario senza apparentemente più reagire. Ne è una trasfigurazione anche il Paradiso, dove “le cose dovevano essere diverse” e invece appaiono le stesse differenze sociali e le stesse abitudini dei lavoratori. Qualcosa però si era mosso nella Polonia del 1981: Solidarnosc aveva iniziato una battaglia che il regime del generale Jaruzelski provò a reprimere senza riuscirvi e che portò alla liberazione del paese e alla fine del dominio comunista.

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Lunch

CHARLES EBBETS, “LUNCH ATOP A SKYSCRAPER, NYC, 1932”

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LA FRASE DEL GIORNO
E se la Città cadrà e se ne salva uno / lui porterà in sé la Città lungo le vie dell’esilio / lui sarà la Città.
ZBIGNIEW HERBERT, Rapporto dalla città assediata




Zbigniew Herbert (Leopoli, Ucraina, 29 ottobre 1924 – Varsavia, 28 giugno 1998), poeta, saggista e drammaturgo polacco. Discendente del poeta inglese George Herbert, durante la Seconda guerra mondiale prese parte alla Resistenza contro i nazisti. Esordì nel 1950 e la sua opera più nota è Il signor Cogito. Esule a Parigi dal 1986 al 1992 , tornò in Polonia dopo il trionfo di Solidarność.


giovedì 20 ottobre 2016

Ora l’autunno

 

EDNA ST. VINCENT MILLAY

CANTO D’AUTUNNO

Ora l’autunno ha brividi
nel gambo della rosa.
Alte e lontane scale
s’appoggiano tra i frutti.

L’autunno ora s’arrampica
sull’intrecciata trama
e la rosa ricorda la polvere
da cui fu generata.

Più lucente del fiore
sul cespuglio di rosa
è la bacca arancione,
ora avvizzita, amara;

in ozio la bellezza non sa stare;
tutto accade in suo nome;
ma la rosa ricorda la polvere
da cui fu generata.

(Autumn Chant, da The Harp Weaver and Others Poems, 1923 – Trad. di Silvio Raffo)

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Come nota la poetessa statunitense Edna St. Vincent Millay, l’autunno è un tempo di passaggio: la decadenza dell’anno conduce verso l’inverno, verso il riposo vegetativo. È il momento della raccolta degli ultimi frutti, ma non una celebrazione della fine: la rosa che avvizzisce e muore sa che il suo essere è ancora nella radice e che a primavera risorgerà.

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Rosa

FOTOGRAFIA © WALLPAPERS HOME

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LA FRASE DEL GIORNO
I tuoi alberi, in questo giorno d’autunno, dolenti e piegati, / che gridano di colore.
EDNA ST. VINCENT MILLAY, Il mondo di Dio




Edna St. Vincent Millay (Rockland, 22 febbraio 1892 – Austerlitz, 19 ottobre 1950), poetessa e attivista femminista statunitense. Fu insignita del Premio Pulitzer per la Poesia nel 1923. Il poeta Richard Wilbur scrisse di lei che “ha scritto alcuni dei più bei sonetti del secolo”.


mercoledì 19 ottobre 2016

Come con l’amore

 

ERICH FRIED

POESIA D’AMORE PER LA LIBERTÀ

E POESIA DI LIBERTÀ PER L’AMORE

Con la libertà
è come con l'amore

Se quella che chiamiamo la felicità
dopo anni mi strappasse dal chiuso armadio

e mi dicesse: "Ecco ora lo puoi di nuovo!
Mostra quel che sai fare!"

Respirerò allora a fondo e allargherò le braccia,
mi sentirò giovane, pieno di ardore per la vita

oppure manderò solo odore di canfora
e le mie ossa scricchioleranno al ritmo di un estraneo
battito cardiaco?

Con la libertà è
come con l'amore

e con l'amore è
come con la libertà

(Liebesgedicht für die Freiheit und Freiheitsgedicht für die Liebe – Tr. Gio Batta Bucciol)

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Oppure. Non c’è risposta alla domanda che si pone il poeta austriaco naturalizzato britannico Erich Fried (1921-1988). È un dilemma esistenziale la cui risposta può essere data solo in quel preciso momento, quando la libertà (o l’amore, è simile il concetto) dopo anni di dittatura o di aridità sentimentale rifiorisce all’improvviso come una nuova primavera. Secondo me, vale la prima ipotesi di Fried…

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Olbinski

RAFAL OLBINSKI, “ASPETTO OGGETTIVO DEI CONTENUTI”

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LA FRASE DEL GIORNO
Vi è solo / un unico / contrappeso / contro l'infelicità: / bisogna / cercarlo / e trovarlo / e questo è felicità.
ERICH FRIED




Erich Fried (Vienna, 6 maggio 1921 – Baden-Baden, 22 novembre 1988), poeta austriaco naturalizzato britannico. Ebreo, fu costretto ad abbandonare il suo paese nel 1938 dopo l'occupazione nazista. Emigrato a Londra, fu giornalista e commentatore del programma in lingua tedesca della BBC.


martedì 18 ottobre 2016

Che succede di te?

 

UMBERTO SABA

L’AUTUNNO

Che succede di te, della tua vita,
mio solo amico, mia pallida sposa?
La tua bellezza si fa dolorosa,
e più non assomigli a Carmencita.
Dici: "È l’autunno, è la stagione in vista
sì ridente che fa male al mio cuore".
Dici - e ad un noto incanto mi conquista
la tua voce –: "Non vedi là in giardino
quell'albero che tutto ancor non muore,
dove ogni foglia che resta è un rubino?
Per una donna, amico mio, che schianto
l'autunno! Ad ogni suo ritorno sai
che sempre, fin da bambina, ho pianto".
Altro non dici a chi ti vive accanto,
a chi vive di te, del tuo dolore
Che gli ascondi; e si chiede se più mai,
anima, a dove e a che, rifiorirai.

(da Trieste e una donna. 1910-1912, Mondadori, 1950)

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L’autunno non è solo quello meteorologico, in questo caso: sì, influisce sull’umore di Lina, moglie del poeta Umberto Saba, la rende triste e malinconica, ma è soprattutto un autunno dell’amore, è un momento di grave crisi coniugale in cui lei si lamenta dei mutismi di lui, del suo essere chiuso in sé e dedito solo al lavoro, e lui non riconosce più in Lina la donna che ha sposato tre anni prima: “Noi che rechiamo in cuore / i nostri due avversi destini / d’arte e d’amore”. L’autunno non sfocerà in inverno, non finirà nel gelo, ma dopo una breve separazione si aprirà in una nuova primavera con il trasferimento della famiglia da Trieste a Bologna e poi a Milano negli anni successivi: “ Ti dico: «Lina, col nostro passato, / amarci... adesso... quali oblii domanda!» / Tu mi rispondi: «Al cuor non si comanda; / e quel ch'è stato è stato». / Dico: «Chi sa se saprò perdonarmi; /  se più mai ti vedrò quella di prima?» / Dici: «In alto mi vuoi nella tua stima? / Questo tu devi: amarmi»”.

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Mas

SERIGRAFIA DI FELIX MAS

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LA FRASE DEL GIORNO
È bene ritrovare in noi gli amori / perduti, conciliare in noi l’offesa; / ma se la vita all’interno ti pesa / tu la porti al di fuori
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UMBERTO SABA, La serena disperazione




Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957), poeta italiano tra i massimi del ‘900. Di famiglia ebraica, fu avviato agli studî commerciali, e fu per lunghi anni direttore e proprietario di una libreria antiquaria a Trieste. La sua poesia, quasi intimo diario e confessione, indaga le cose ultime, la donna, l’amore, il senso atavico del dolore. La sua opera è raccolta nel Canzoniere.

lunedì 17 ottobre 2016

Riposo di barche

 

JOSÉ GOROSTIZA

DISEGNI SU DI UN PORTO

1. L’alba

La marina
si mostra a colori scuri.
Dormono le cose. Quando giunge, l’alba
sembra una bolla sul mare.
E la vita è soltanto
un miracoloso riposo di barche
sulla soffice quiete della sabbia.


2. La sera

Rotolano le fragili onde
dei tramonti
come chiari canti di donne
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3. Notturno

Nessuno rompe il silenzio,
e nessuno si rammarica.
Si canta soltanto
al cadere del sole, dall’aurora.
Ma la luna, con il suo essere
luce al nostro semplice sguardo,
ci sembra sonora
quando le sue mani leggere versano
le agili ombre dei palmizi.


4. Elegia

A volte ho voglia di piangere,
ma mi consola il mare.


5. Canzonetta

Le barche escono all’alba.
Non si lasciano amare
perché spesso non tornano
o tornano solo per riposare.


6. Il faro

Rosso pastore delle barche da pesca.


7. Preghiera

La barca scura di un pescatore
stanca di remare
sulla spiaggia ha cominciato a pregare:
Preparami, Signore,
un porto nelle spiagge di questo mare!

(da Canzoni da cantare in barca, 1925)

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Una lirica delicatissima caratterizzata dalla stessa purezza del tema trattato: la semplicità è ciò che caratterizza lo stile del poeta e diplomatico messicano José Gorostiza, come si può apprezzare da questa descrizione in varie scene, cui sono associati altrettanti disegni, dello scorrere del tempo in un porto.

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Afremov

LEONID AFREMOV, “BARCHE DA PESCA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Dopo l’istante magico in cui i miei occhi si sono aperti nel mare, non mi è stato più possibile vedere, pensare, vivere come prima.
JACQUES-YVES COUSTEAU




José Gorostiza Alcalá (San Juan Bautista, oggi Villahermosa, 10 novembre 1901 – Città del Messico, 16 marzo 1973), poeta e diplomatico messicano. Pubblicò solo due libri: Canzoni da cantare in barca (1925) e Poesie (1964) in cui cercò la purezza e la semplicità con uno spirito sottile e profondo.


domenica 16 ottobre 2016

Dove ho amato

 

PIERO BIGONGIARI

PISPIGLIA LA QUAGLIA

Un sole mézzo, arato sul declivio
dove arsero
l’altr’ieri
come un segno del fuoco
primevo
le stoppie,
e dove ondeggiò il grano
a
piè di queste dune,
or è un anno, di luce, ora
un canneto
cela il pispiglio della quaglia

che attende il primo nato,
sferza e avvelena
il buio
la scolopendra,
la tua nuca lampeggia
dove ho amato.

(da Le mura di Pistoia, Mondadori, 1958)

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“Lo sguardo è dentro le cose, a cercarvi la buccia tra la polpa” scriveva nel primissimo dopoguerra il poeta pisano Piero Bigongiari, il più ermetico e raffinato nell’ordine del verso tra gli ermetici. È un paesaggio di inizio autunno, con le stoppie bruciate e le quaglie pronte alla migrazione. Improvviso, oscuro nel paesaggio oscuro, in chiusura appare il lampo di un amoroso ricordo.

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Carl Schaefer

CARL SCHAEFER, “CAMPICON STOPPIE”, 1937

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LA FRASE DEL GIORNO
Dove passasti ritornare è come / non più pensare d’essere, ma esistere.
PIERO BIGONGIARI, Il corvo bianco




Piero Bigongiari (Navacchio, 15 ottobre 1914 – Firenze, 7 ottobre 1997), poeta e critico letterario italiano. Insegnò storia della letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Firenze. È considerato esponente di un ermetismo purista in cui dominano metafisicamente il tema dell’assenza, un forte anelito religioso e la trasfigurazione simbolica della realtà.

sabato 15 ottobre 2016

Un fruscio solo

 

VITTORIO SERENI

IN ME IL TUO RICORDO

In me il tuo ricordo è un fruscìo
solo di velocipedi che vanno
quietamente là dove l’altezza
del meriggio discende
al più fiammante vespero
tra cancelli e case
e sospirosi declivi
di finestre riaperte sull’estate.
Solo, di me, distante
dura un lamento di treni,
d’anime che se ne vanno.

E là leggera te ne vai sul vento,
ti perdi nella sera.

(da Frontiera, 1941)

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Le poesie di Frontiera sono le prime di Vittorio Sereni: in esse il poeta luinese fotografa in versi le impressioni di un uomo che osserva le cose e analizza le sue emozioni. Questo paesaggio di lago ha in sé il languido idillio di un’ultima estate: la gioventù sta scorrendo, la situazione politica prefigura l’imminente tempesta della guerra. Quella ragazza che va in bicicletta e si perde all’orizzonte, è già entrata nel domani, è già ricordo.

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Zaitsev

DIPINTO DI ALEXI ZAITSEV

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LA FRASE DEL GIORNO
Colgo il tuo cuore / se nell’alto silenzio mi commuove / un bisbiglio di gente per le strade
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VITTORIO SERENI, Frontiera




Vittorio Sereni (Luino, 27 luglio 1913 – Milano, 10 febbraio 1983), poeta italiano, è il capostipite della variante lombarda del novecentismo poetico, detto “Linea lombarda”. Ufficiale di fanteria, viene fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943. Nel dopoguerra è direttore letterario di Mondadori e cura la prima edizione dei Meridiani.


venerdì 14 ottobre 2016

Le nostre azioni cristalline

 

TOMAS TRANSTRÖMER

LE PIETRE

Sento cadere le pietre che abbiamo gettato,
Cristalline negli anni. Nella valle
Volano le azioni confuse dall’attimo
Gridando da cima a cima degli alberi, tacciono
Nell’aria più leggera del presente, planano
Come rondini da cima
A cima dei monti finché
Raggiungono l’altopiano più remoto
Lungo la frontiera con l’aldilà.
Là cadono
Le nostre azioni cristalline
Su nessun fondo,
Tranne noi stessi.

(da Per i vivi e per i morti, 1989 – Traduzione di Franco Buffoni)

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Sorvoliamo tristemente sull’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, che con la Letteratura c’entra come i cavoli a merenda e proseguiamo con la vera poesia. C’è un bellissimo racconto di DIno Buzzati in cui un uomo vede un fattorino in camion portare via una cassa dalla sua casa: lo segue e riesce a raggiungerlo quando la sta scaricando in un vallone dove giacciono migliaia di casse simili. “Sono i giorni” gli dice il fattorino, da lui interrogato, “I tuoi giorni perduti. I giorni che hai perso. Come quelle casse di Buzzati, così sono le pietre del Premio Nobel svedese Tomas Tranströmer, questo sì poeta!

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Pietre

FOTOGRAFIA © WALLPAPER CAVE

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LA FRASE DEL GIORNO
Mi porto dentro i miei volti precedenti, come un albero contiene i suoi anelli. Io sono la loro somma
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TOMAS TRANSTRÖMER, Per i vivi e per i morti




Tomas Tranströmer (Stoccolma, 15 aprile 1931 – 26 marzo 2015), scrittore, poeta e traduttore svedese, Nel 2011 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: "perché attraverso le sue immagini condensate e traslucide, ci ha dato nuovo accesso alla realtà". La sua opera è posta tra Modernismo, Espressionismo e Surrealismo.


giovedì 13 ottobre 2016

Il fiore

 

DOLORS MIQUEL

IL PARADISO

Se un uomo in sogno attraversasse il paradiso e gli
dessero un fiore come prova di esserci stato e al
risveglio si trovasse con quel fiore in mano… e allora?
Coleridge

Ho attraversato il paradiso in sogno
e mi diedero un fiore.
Il fiore era lì quando mi svegliai,
sulle lenzuola. Era bellissimo.
Lo mostrai a mia madre
che viveva chiusa nel cuore di un carciofo,
filando la seta dei suoi occhi, intessendola
in meravigliosi sudari di mille colori.
Sono stata in paradiso, mamma – le dissi.
E lei prese dalla tasca
un fiore secco, uguale, identico.
E allora seppi
che non bastava
essere stati in paradiso.

(da Il fiore invisibile, 2011)

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Questa frase di Coleridge in epigrafe colpì Jorge Luis Borges: “Nell’ambito della letteratura come negli altri, non c’è atto che non sia coronamento di una infinita serie di cause e sorgente di un’infinita serie di effetti. Dietro l'invenzione di Coleridge c’è la generale e antica invenzione di generazioni di amanti che chiesero come pegno un fiore”. La poetessa catalana Dolors Miquel imbastisce i suoi versi su questa trama dove sogno e logica si intrecciano ma restano infine mondi incompatibili, se neppure il miracolo è sufficiente.

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Peonia

FOTOGRAFIA © SPRINGBACK

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia, come l’arte, è uno stato di libertà senza coscienza, è come la natura. È magia. È come l’amore.
DOLORS MIQUEL




Dolors Miquel Abellà (Lleida, 18 luglio 1960), poetessa spagnola.​ Dopo alcune incursioni da giovane, la sua apparizione sulla scena pubblica catalana è avvenuta nella seconda metà degli anni 90. Da allora, e con periodi in cui si è volontariamente ritirata, ha pubblicato libri, e proposto recital e conferenze.



mercoledì 12 ottobre 2016

Baia sperduta

 

IOSIF BRODSKIJ

PROCIDA

Baia sperduta; non più di venti barche a vela.
Reti, parenti dei lenzuoli, stese ad asciugare.
Tramonto. I vecchi guardano la partita al bar.
La cala azzurra prova a farsi turchina.

Un gabbiano artiglia l’orizzonte prima
che si rapprenda. Dopo le otto è deserto
il lungomare. Il blu irrompe nel confine
oltre il quale prende fuoco una stella.

(da Poesie italiane, Adelphi, 1996 – Traduzione di Giovanni Buttafava)

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Una sera che cade sui colori di Procida, meravigliosa isola delle Flegree, nel Golfo di Napoli: il premio Nobel russo Iosif Brodskij la racconta in otto scene quasi cinematografiche che rendono tutta l’emozione del divenire del tramonto.

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Procida

FOTOGRAFIA © LAVORO ORIGINALE DI GMG61

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LA FRASE DEL GIORNO
Ciò che la memoria ha in comune con l'arte è la tendenza a selezionare, è il gusto per il dettaglio.
JOSIF BRODSKIJ




Iosif Aleksandrovič Brodskij (Leningrado, 24 maggio 1940 – New York, 28 gennaio 1996), poeta, saggista e drammaturgo russo naturalizzato statunitense, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1987 e nel 1991 fu nominato poeta laureato degli Stati Uniti. Arrestato dal regime sovietico nel 1964 per “parassitismo”, fu costretto ai lavori forzati e successivamente all’esilio negli Stati Uniti. È sepolto nel cimitero di Venezia.

martedì 11 ottobre 2016

Se tu sorridi

 

PAUL ÉLUARD

CERTEZZA

Se ti parlo è per sentirti meglio
Se ti sento sono sicuro di capire
Se tu sorridi è per colmarmi di te
Se tu sorridi io vedo il mondo intero
Se ti stringo è per perpetuarmi
Se viviamo sarà tutto a piacere
Se ti lascio ci ricorderemo
Nel lasciarci noi ci ritroveremo.

(da La fenice, 1951)

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Nella concezione poetica di Paul Éluard la connessione tra il poeta e il mondo passa attraverso l’altro – la donna amata, in effetti, che fa da tramite tra il reale e il trascendente. Questa quindi è la certezza, quella che attraverso i sensi il poeta instaura con l’amata.

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WILLY RONIS, “LES AMOUREUX DE LA COLONNE BASTILLE, 1957”

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LA FRASE DEL GIORNO
Sei tu stessa a riflettermi, io mi vedo così poco. Senza di te non vedo che un deserto.
PAUL ÉLUARD




Paul ÉluardPaul Éluard, pseudonimo di Eugène Émile Paul Grindel (Saint-Denis, 14 dicembre 1895 – Charenton-le-Pont, 18 novembre 1952), poeta francese, è stato tra i maggiori esponenti del movimento surrealista. La sua poesia evolve da tematiche individualiste, di lirismo amoroso, a contenuti di forte ispirazione sociale.


lunedì 10 ottobre 2016

Centenario di David Gascoyne

 

David Gascoyne, nato il 10 ottobre del 1916 e morto nel 2001, fu giovanissimo segretario di Salvador Dalí a Parigi nel 1933. Nella cerchia del pittore scoprì il Surrealismo, cui aderì con giovanile entusiasmo pubblicando due anni dopo il Manifesto inglese del movimento. Ma lentamente Gascoyne si staccò dai surrealisti, tanto da venire escluso dal gruppo già nel 1947. Quello fu il tempo delle poesie influenzate dalla II guerra mondiale e dalla lettura di Hölderlin, conosciuto in lingua francese: una visione più metafisica e religiosa del mondo, tesa alla continua ricerca dell'incontro tra il sé e l'Altro, tra lo stesso e il diverso, tra la verità e la poesia. La terza fase della sua vita cominciò nel 1964 con un’intossicazione da amfetamine e problemi mentali. È la svolta: dopo essere rimasto sei mesi in una clinica della periferia parigina, venne trasferito al Whitecroft Hospital, sull’Isola di Wight, dove si riprese e conobbe Judy, la donna che in seguito sposò e che fu la compagna della sua vita. Ritiratosi sull’isola, a Northwood, si dedicò principalmente a traduzioni e alla critica letteraria.

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Gascoyne

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LA GABBIA

Nella notte che si sveglia
Le foreste smettono di crescere
I gusci sono in ascolto
Le ombre negli stagni diventano grigie
Le perle si dissolvono nell’ombra
E io ritorno da te

Il tuo volto sul quadrante dell’orologio
Le mie mani sotto i tuoi capelli
E se il tempo che segni libera gli uccelli
E se loro volano verso la foresta
L’ora non sarà più nostra

Nostra è la gabbia decorata
La tazza d’acqua traboccante
La prefazione al libro
E il ticchettio di tutti gli orologi
E il movimento di tutte le stanze buie
Tutti i nervi dell’aria sono scoperti

Una volta volata via
L’ora piumata non tornerà
E io sarò scomparso.

(The Cage, da Man’s Life in This Meat, 1936 - Traduzione di Francesca Spinelli)

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PRIMAVERA 1940

Il ponte di Londra, cade, Roma fu arsa e Babilonia
la Grande non è che polvere; pure, la Primavera
ritorna nel perenne arco del tempo alla terra.
Sebbene ogni paese sia un nero campo, concimato
di morti ed irrigato dal sangue dei morenti,
una dea puntuale ancora si sveglia ed ascende
per le scale di roccia nell'aria fredda del mondo,
e compie il suo cammino fra queste file di carogne,
un varco aprendosi nel labirinto di macerie
perché vi nasca al suo passo la corta erba fuligginosa;
mentre di nuovo si accendono e divampano
vani come trucioli gli imperi degli uomini,
che nel fumo fissano con occhi iniettati di sangue
la visione traslucida avvolta d'un tremulo nascente verde
che ancora riconoscono, ma stentano a comprendere.

(Spring MCMLX, da Poems 1937-1942)

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LA FRASE DEL GIORNO
Non da un ostensorio d’argento / Ma dall’albero del dolore umano / Redimi la nostra sterile miseria / Cristo della Rivoluzione e della Poesia.

DAVID GASCOYNE, Miserere




David Gascoyne (Harrow, 10 ottobre 1916 – Isola di Wight, 25 novembre 2001),  poeta inglese associato al movimento surrealista, in particolare al gruppo surrealista britannico. Tradusse opere di poeti surrealisti francesi. Sembrò straordinariamente rassegnato a non aver realizzato del tutto in poesia ciò che si era proposto di fare da giovane, e a non mantenere una notevole promessa iniziale.


domenica 9 ottobre 2016

Quello che fui a vent’anni

 

JOSÉ EMILIO PACHECO

ALTERITÀ. ALTRA ETÀ

Che cosa penserebbe di me se entrasse in questo momento
e mi incontrasse dove sono, come sono,
quello che fui a vent’anni?

(da Secolo scorso, 2000)

 

Il gioco di parole del titolo è il corollario di questa brevissima poesia del poeta messicano José Emilio Pacheco. L’alterità, essere un’altra persona a distanza di molti anni: rendersi conto di quello che il tempo ha fatto di noi e di quello che noi abbiamo fatto del tempo, un po’ come nella poesia in cui Wisława Szymborska immagina di incontrare se stessa adolescente: “Siamo così dissimili / che forse solo le ossa sono le stesse, / la calotta cranica, le orbite oculari. / (…) /Siamo così diverse, / i nostri pensieri e parole così differenti”. La risposta che dà Pacheco, in un’altra poesia, Commiato, è questa: “Ho fallito. È stata colpa mia. Lo riconosco. / Ma ad ogni modo perdono o indulgenza: / È successo perché ho tentato l’impossibile”.

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EGON SCHIELE, “DOPPIO RITRATTO BENESCH”

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LA FRASE DEL GIORNO
Cresciamo, invecchiamo ma diventiamo mai veramente adulti?
MARK WILDING, Grey’s Anatomy, stagione 4 ,episodio 8




José Emilio Pacheco Berny (Città del Messico, 30 giugno 1939 - 26 gennaio 2014), scrittore, poeta, saggista e traduttore messicano. Fu parte integrante della Generazione dei ‘50. La sua poesia concentra l’attenzione sulla storia, sulla ciclicità del tempo, sull’universo dell’infanzia e sulla vita nel mondo moderno.