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domenica 9 ottobre 2016

Quello che fui a vent’anni

 

JOSÉ EMILIO PACHECO

ALTERITÀ. ALTRA ETÀ

Che cosa penserebbe di me se entrasse in questo momento
e mi incontrasse dove sono, come sono,
quello che fui a vent’anni?

(da Secolo scorso, 2000)

 

Il gioco di parole del titolo è il corollario di questa brevissima poesia del poeta messicano José Emilio Pacheco. L’alterità, essere un’altra persona a distanza di molti anni: rendersi conto di quello che il tempo ha fatto di noi e di quello che noi abbiamo fatto del tempo, un po’ come nella poesia in cui Wisława Szymborska immagina di incontrare se stessa adolescente: “Siamo così dissimili / che forse solo le ossa sono le stesse, / la calotta cranica, le orbite oculari. / (…) /Siamo così diverse, / i nostri pensieri e parole così differenti”. La risposta che dà Pacheco, in un’altra poesia, Commiato, è questa: “Ho fallito. È stata colpa mia. Lo riconosco. / Ma ad ogni modo perdono o indulgenza: / È successo perché ho tentato l’impossibile”.

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EGON SCHIELE, “DOPPIO RITRATTO BENESCH”

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LA FRASE DEL GIORNO
Cresciamo, invecchiamo ma diventiamo mai veramente adulti?
MARK WILDING, Grey’s Anatomy, stagione 4 ,episodio 8




José Emilio Pacheco Berny (Città del Messico, 30 giugno 1939 - 26 gennaio 2014), scrittore, poeta, saggista e traduttore messicano. Fu parte integrante della Generazione dei ‘50. La sua poesia concentra l’attenzione sulla storia, sulla ciclicità del tempo, sull’universo dell’infanzia e sulla vita nel mondo moderno.


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