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domenica 30 novembre 2014

Mark Strand


Il poeta americano di origini canadesi Mark Strand è morto ieri nella casa della figlia a Brooklyn, a causa di una rara forma di cancro. Era nato a Summerside nel 1934 e aveva vinto il Premio Pulitzer nel 1999 con Blizzard of One.

Poeta dalle capacità meditative al limite dell’ossessivo, aveva un’ammirazione per il Surrealismo di Max Ernst e Giorgio De Chirico, ma scriveva con uno stile sobrio ed evocativo, dalla dizione semplice e comunque sempre incisiva, parlando di alienazione, di sradicamento, di nostalgia dei luoghi natii sull’Isola del Principe Edoardo, andando alla ricerca della lettura metafisica, delle deformazioni della realtà per trovare l’appiglio cui aggrapparsi per salvarci: il sogno, la memoria…

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TENENDO LE COSE ASSIEME


In un campo
io sono l'assenza
di campo.
Questo è
sempre opportuno.
Dovunque sono
io sono ciò che manca.

Quando cammino
divido l'aria
e sempre
l'aria si fa avanti
per riempire gli spazi
che il mio corpo occupava.

Tutti abbiamo delle ragioni
per muoverci
io mi muovo
per tenere assieme le cose.


(Keeping things whole - da Sleeping with One Eye Open, 1964)

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CIÒ CHE RESTA


Mi svuoto del nome degli altri. Mi svuoto le tasche.
Mi svuoto le scarpe e le lascio sul ciglio della strada.
Di notte metto indietro gli orologi;
apro l’album di famiglia e mi guardo bambino.

A che giova? Le ore hanno fatto il loro dovere.
Dico il mio nome. Dico addio.
Le parole si inseguono nel vento.
Amo mia moglie ma la caccio.

I miei genitori si alzano dai troni
nelle stanze delle nuvole. Come posso cantare?
Il tempo mi dice ciò che sono. Cambio e resto lo stesso.
Mi svuoto della mia vita e rimane la mia vita.


(The Remains – da Darker, 1970)
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COS'ERA


I
Era impossibile da immaginare, impossibile
da non immaginare; il suo azzurro, l’ombra che proiettava,
che cadeva a riempire l’oscurità del proprio freddo,
il suo freddo che cadeva fuori di sé, fuori di qualsiasi idea
di sé descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia,
una macchia, un punto, un punto entro un punto, un abisso infinito
di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che
affoga in sé, qualcosa che va, un’alluvione di suono, ma meno
di un suono; la sua fine, il suo vuoto,
il suo vuoto tenero, piccolo che colma la sua eco, e cade,
e si alza, inavvertito, e cade ancora, e così sempre,
e sempre perché, e solo perché, una volta essendo stato, era…

II
Era l’inizio di una sedia;
era il divano grigio; era i muri,
il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui
i ruderi di luna le crollavano sui capelli.
Era quello, ed era più di quello; era il vento che sbranava
gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava
di stelle sulla riva. Era l’ora che pareva dire
che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti
mai più chiesto nulla. Era quello. Senz’altro era quello.
Era anche l’evento mai avvenuto – un momento tanto pieno
che quando se ne andò, come doveva, nessun dolore era tanto grande
da contenerlo. Era la stanza che sembrava immutata
dopo così tanti anni. Era quello. Era il cappello
che s’era dimenticata, la penna lasciata sul tavolo da lei.
Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come
sedevo, come attendevo per ore, giorni. Era quello. Solo quello.
(da Blizzard of one, 1998)
 
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LA FRASE DEL GIORNO
Se un uomo finisce una poesia, / si immergerà nella scia bianca della propria passione / e verrà baciato dalla pagina bianca
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MARK STRAND, Darker




Mark Strand (Summerside, Canada, 11 aprile 1934 – Brooklyn, 29 novembre 2014), poeta statunitense di origini canadesi, fu saggista e traduttore, professore di Letteratura inglese e comparata alla Columbia University. Nel 1990 fu insignito della carica di Poeta Laureato della Biblioteca del Congresso.


sabato 29 novembre 2014

Rigoglio di malinconia

 

KARMELO C. IRIBARREN

MOMENTI

Che cosa fai?
Niente. Guardo
soltanto piovere
sulla piazza.
E si sedette
al suo fianco.
E si aggiunse,
in silenzio,
a quella celebrazione
della nostalgia,
a quel
rigoglio
di malinconia.

(Momentos, da Seguros que esta historia te suena, 2012)

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Abelardo Linares scrive nell’introduzione a questa antologia di Karmelo C. Iribarren, poeta basco: “Nulla nei suoi versi risponde a un programma, ma solo alla vita, la sua vita, vissuta o malvissuta”. Così come lo è sedersi all’improvviso accanto a qualcuno che su una panchina non fa altro che guardare la pioggia cadere su una piazza, abbandonare tutto e stare lì a condividere la nostalgia e la malinconia.

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LEONID AFREMOV, “DATE ON THE BENCH”

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LA FRASE DEL GIORNO
La malinconia mi sembra una sorta di cura per mantenere l'equilibrio spirituale. Tra i sentimenti umani è quello che a me sembra più sottile, inafferrabile, e senza dubbio più prezioso.
JIRŌ TANIGUCHI, La montagna magica




Karmelo C. Iribarren (San Sebastián,  19 settembre 1959), è un poeta spagnolo, autodidatta. Associata al “realismo sporco” di Bukowski e Carver, in realtà la sua è una poesia più minimale, molto spesso frutto di osservazione della strada e dei bar, che l’ha fatta definire “realismo pulito” e “poesia di esperienza”.


venerdì 28 novembre 2014

Ubriaco di questo crepuscolo

 

JUAN GELMAN

TI DICO, MARA

Cancellato dal mondo reale, ubriaco
di questo crepuscolo che canta
altrove e l’angelus passa
a cavallo di una campana.
Il cielo muore insanguinato e
non vedo nessuno, niente, solo
il fuoco ardente di quando
un airone cinerino
si levò nel tuo bianco sguardo.
Bruciava gli ieri,
la spazzatura che il tempo deposita.

(Te digo, Mara, da Valer la pena, Guanda, 2007 – Traduzione di Laura Branchini)

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La sera che cade, il tramonto che, per dirla con Milan Kundera “illumina ogni cosa con il fascino della nostalgia”, ammalia anche il poeta argentino Juan Gelman: è l’ora in cui quel rossore del giorno dà un’ebbrezza simile a quella che dà il vino ed evoca memorie sepolte, costringendo a interrogarsi sul tempo e sul suo divenire.

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CLAUDE MONET, “SAINT-GEORGES MAJEUR AU CRÉPUSCULE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Essere uno è non avere niente. / Cade il tramonto sopra / la parola che galleggia sul visibile / come una luna.
JUAN GELMAN, Valer la pena




Juan Gelman (Buenos Aires, 3 maggio 1930 – Città del Messico, 14 gennaio 2014), poeta, scrittore e giornalista argentino. Vincitore del Premio Cervantes nel 2007, è autore di una poesia esistenziale con accenti lirici e intimisti, divenuta più sociale con l’avvento della dittatura militare (il figlio e la nuora furono sequestrati e uccisi dal regime, la nipote data in adozione) e l’esilio.


giovedì 27 novembre 2014

Tremito del tempo

 

PABLO NERUDA

È OGGI: TUTTO L’IERI ANDÒ CADENDO

È oggi: tutto l'ieri andò cadendo
entro dita di luce e occhi di sogno,
domani arriverà con passi verdi:
nessuno arresta il fiume dell'aurora.

Nessuno arresta il fiume delle tue mani,
gli occhi dei tuoi sogni, beneamata,
sei tremito del tempo che trascorre
tra luce verticale e sole cupo,

e il cielo chiude su te le sue ali
portandoti, traendoti alle mie braccia
con puntuale, misteriosa cortesia.

Per questo canto il giorno e la luna,
il mare, il tempo, tutti i pianeti,
la tua voce diurna e la tua pelle notturna.

(XLIX.Es hoy: todo el ayer se fue cayendo, da Cento sonetti d’amore, 1959)

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Confesso che le immagini che il poeta cileno Pablo Neruda usa nelle sue poesie mi danno un po’ alla testa, mi inebriano come il profumo forte di un fiore. Come questa analogia attraverso la quale la donna amata diventa inesorabile come il flusso del tempo e lo scorrere del giorno, un fiume inarrestabile che impregna di sé ogni cosa diventando infine l’universo che il poeta canta continuamente.

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DIPINTO DI ERIC ZENER

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LA FRASE DEL GIORNO
Bella, /come nella pietra fresca / della sorgente, l'acqua / apre un ampio lampo di spuma, / così è il sorriso del tuo volto, / bella.
PABLO NERUDA, I versi del capitano




Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto (Parral, 12 luglio 1904 – Santiago del Cile, 23 settembre 1973), poeta, diplomatico e politico cileno, è considerato una delle più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento. Fu insignito del Premio Nobel nel 1971.

mercoledì 26 novembre 2014

La vita è una mela

 

SOHRAB SEPEHRI

NAÏF

Il cielo - più azzurro.
L’acqua - più azzurra.
Io sotto il portico, Ra’na vicino alla fontana.
Ra’na lava i panni.
Cadono le foglie.
A mia madre che dice: “come è triste questo tempo”,
rispondo che la vita è una mela da mordere tutta intera,
con la buccia.

La vicina siede alla finestra con l’uncinetto e canta.
Io leggo i Veda e ogni tanto abbozzo un uccello, una nuvola, un sasso.
Sole senza macchie,
sono ritornati gli storni.
I nasturzi stan fiorendo.
Spacco una melagrana e ne libero i chicchi.
Penso che sarebbe bello se anche i semi del cuore degli uomini si vedessero!
Una goccia di succo di melagrana nell’occhio mi fa piangere:
ride mia madre e Ra’na pure.

(Traduzione di Chiara Riccarand)

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Naïf, ovvero ingenuo, come la corrente artistica dalla pittura spontanea e dai colori vivaci: il poeta iraniano Sohrab Sepehri suggerisce sin dal titolo la chiave di lettura di questi versi che rappresentano una scena autunnale in cui si muovono pochi personaggi. Il titolo assume su di sé la funzione di dare alla realtà un’interpretazione favolistica.

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Ranevska

YANA RANEVSKA, “STILL LIFE WITH POMEGRANATE”

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LA FRASE DEL GIORNO
I poeti sono gli eredi dell’Acqua, della Saggezza e della Luce.
SOHRAB SEPEHRI




Sohrab Sepehri  (Kashan, 7 ottobre 1928 – Teheran, 21 aprile 1980), poeta e pittore iraniano. Nella sua poesia, risaltano temi ricorrenti: la natura e Dio, la vita e la morte, il viaggio e la solitudine, la donna e l'amore. Il suo stile risulta molto ermetico, carico di mitologia e misticismo.


martedì 25 novembre 2014

Come tutti i fantasmi

 

AMALIA BAUTISTA

UN’OMBRA

Giocava a scacchi e gli piaceva
mangiare nei ristoranti orientali,
i classici, le gambe delle ragazze,
il succo di pomodoro, la dolcezza,
il ciclismo, il coraggio e i cavalli.
Odiava gli  oscuri intriganti,
l’usura, la meccanica e il Basic,
e non ha mai negoziato con i commercianti
e con gli "ismi" inventati dai mediocri.
Io lo amavo pazzamente, ma un giorno
si stancò di immaginarmi diversa
e se ne andò. Come tutti i fantasmi.

(Una sombra, da Carcere d'amore, 1988)

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La poetessa spagnola Amalia Bautista traccia il ritratto di un ex, elencando la lista di ciò che amava e di ciò che detestava. La storia è finita, come finiscono tante storie, per l’incomprensione sul fatto che le persone possano essere diverse da come sono, che si possano forgiare per aderire al nostro modello. Resta solo il ricordo, resta solo l’ombra di quel ragazzo che amava giocare a scacchi e detestava programmare in Basic, un fantasma che per qualche tempo ha condiviso l’amore con Amalia.

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Chess

JEREMY SUTTON, “THE CHESS PLAYER”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ognuno porta in fondo a se stesso come un piccolo cimitero di coloro che ha amato.
ROMAIN ROLLAND, Gian Cristoforo




Amalia Bautista (Madrid, 1962) è una poetessa spagnola. Laureata in Scienze dell’Informazione. Con un linguaggio colloquiale esprime una profonda ansia di assoluto, intesa come amore, soprattutto su temi erotici, dove indaga la passione e l’emozione.


lunedì 24 novembre 2014

Felice della pioggia

 

FRANCO FORTINI

AGLI DÈI DELLA MATTINATA

Il vento scuote allori e pini. Ai vetri, giù acqua.
Tra fumi e luci la costa la vedi a tratti, poi nulla.
La mattinata si affina nella stanza tranquilla.
Un filo di musica rock, le matite, le carte.
Sono felice della pioggia. O dèi inesistenti,
proteggete I’idillio, vi prego. E che altro potete,
o dèi dell'autunno indulgenti dormenti,
meste di frasche le tempie? Come maestosi quei vostri
luminosi cumuli! Quante ansiose formiche nell'ombra!

(da Questo muro, Mondadori, 1973)

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Le poesie di Questo muro, opera del 1973 di Franco Fortini, secondo Pier Luigi Mengaldo tendono a “proiettare i fatti come ombre cinesi sul telone”. Lo fa anche questa sorta di preghiera laica agli dei dell’universo, un’invocazione a prolungare quel momento estetico composto da tante piccole cose: la pioggia che cade sulle foglie dell’autunno, la musica che riempie la stanza, la luce all’interno, il calore della solita scrivania…

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Pioggia

FOTOGRAFIA © MICHAEL KENT

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LA FRASE DEL GIORNO
Oggi piove, tutti gli alberi sono felici.
ALEKSANDR BLOK, La fidanzata di lillà. Lettere a Ljuba




Franco Fortini, nato Franco Lattes (Firenze, 10 settembre 1917 – Milano, 28 novembre 1994), poeta, critico letterario, saggista e intellettuale italiano. La sua poesia è testimonianza anche ideologica delle lotte di classe del primo dopoguerra, voce progressista e coscienza critica del fallimento degli ideali.



domenica 23 novembre 2014

Giorno indecifrato

 

TOMAS TRANSTRÖMER

MATTINA E INGRESSO

Percorre il suo cammino
Il grande gabbiano dal dorso nero,
Timoniere del sole.
Sotto di lui, l’acqua.
Adesso il mondo sonnecchia ancora
Come nell’acqua una pietra variopinta.
Giorno indecifrato. Giorni -
Come caratteri aztechi!

Musica. E io resto imprigionato
In questo arazzo.
Le braccia sollevate – come una figura
D’arte rurale

(da 17 dikter, 1954 – Traduzione di Franco Buffoni)

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È vero, come testimonia la motivazione di assegnazione del Premio Nobel 2011, che il poeta svedese Tomas Tranströmer “attraverso le sue immagini condensate e traslucide, ci ha dato nuovo accesso alla realtà”: lo si apprezza anche in questa poesia dall’aspetto gotico, velatamente medioevale, dove quasi nulla accade – il primo mattino, l’arazzo dell’ingresso colpito dalla luce del giorno – ma si fa strada la consapevolezza dell’incerto scorrere dei giorni, ognuno uguale, ognuno diverso e a suo modo indecifrabile.

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Seagull

IMMAGINE © HEIDI BAINVILLE

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LA FRASE DEL GIORNO
Ci sentiamo sempre più giovani di quel che siamo. Mi porto dentro i miei volti precedenti, come un albero contiene i suoi anelli. Io sono la loro somma. Lo specchio vede solo il mio ultimo volto, ma io so anche tutti quelli precedenti.
TOMAS TRANSTRÖMER




Tomas Tranströmer (Stoccolma, 15 aprile 1931, scrittore, poeta e traduttore svedese, Nel 2011 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: "perché attraverso le sue immagini condensate e traslucide, ci ha dato nuovo accesso alla realtà". La sua opera è posta tra Modernismo, Espressionismo e Surrealismo.


sabato 22 novembre 2014

Pietra o ancora

 

ADAM ZAGAJEWSKI

CIÒ CHE

Ciò che pesa troppo
e trascina in basso
che fa male come il dolore
e brucia come uno schiaffo,
può essere pietra
o àncora.

(To, da Dalla vita degli oggetti, Adelphi, 2012)

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Pietra o àncora? Questo può essere il nostro dolore, la nostra sofferenza. Così dice il poeta polacco Adam Zagajewski. Spetta a noi far sì che quello che ci abbatte, che ci trascina a fondo nell’abisso del nostro oceano personale non sia la zavorra che ci abbandona sul fondo come un peso morto ma un’àncora a cui aggrapparci per potere finalmente fare il punto sulla situazione e un giorno ripartire.

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FOTOGRAFIA © FAN PULLS AND FINIALS

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LA FRASE DEL GIORNO
Solo negli altri vi è salvezza, / anche se la solitudine avesse sapore / d’oppio.
ADAM ZAGAJEWSKI, Dalla vita degli oggetti




Adam Zagajewski (Leopoli, Ucraina, 21 giugno 1945), poeta, scrittore e saggista polacco. Esordì nel 1972 con Komunikat. Esponente della New Wave polacca, nel 1976 aderì al Comitato per la Difesa degli Operai e la dittatura comunista gli impedì di pubblicare. Cominciò allora il suo esilio a Houston e Parigi. Tornò a risiedere a Cracovia nel 2002.


venerdì 21 novembre 2014

Anche la poesia

 

RABINDRANATH TAGORE

L’EDERA SI ESPANDE

L’edera si espande:
non sa contenere
la bellezza delle foglie.
Così anche la poesia,
quasi avesse rubato al cielo
le lettere per scrivere.

(da Scintille, Tea, 1995 - Traduzione di Marino Rigon)

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Il poeta indiano Rabindranath Tagore, Premio Nobel 1913, considerava la bellezza come espressione principale della divina beatitudine: non deve meravigliare l’analogia tra l’esuberante manifestazione della bellezza e l’urgenza della poesia di prorompere, non è altro che la voce di quella beatitudine che si manifesta.

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Ivy

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LA FRASE DEL GIORNO
Dio dispone di pochi di noi a cui sussurrare nell’orecchio / Gli altri possono ragionare e salutare;  i musicisti sanno.
ROBERT BROWNING, Abt Vogler




Rabindranath Tagore, nome anglicizzato di Rabíndranáth Thákhur (Calcutta, 7 maggio 1861 – Santiniketan, 7 agosto 1941), poeta, drammaturgo, scrittore e filosofo bengalese. Insignito del Nobel nel 1913 “per la profonda sensibilità, la freschezza e la bellezza dei versi con i quali, con consumata capacità, ha reso il proprio pensiero poetico, espresso in inglese con parole proprie, parte della letteratura occidentale”.


giovedì 20 novembre 2014

Nuda di emozioni

 

LUCÍA RIVADENEYRA

OFFERTA

Perché mi lasciasti
bruciata da carezze
in un letto senza domani
nuda di emozioni
vestita della tua assenza
ti offro il mio silenzio
pugno di vento
che sibila il tuo nome.

(Ofrenda, da Rescoldos, 1987- Traduzione di Emilio Coco)

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I versi della poetessa messicana Lucía Rivadeneyra coniugano sovente memoria, assenza e desiderio in un erotismo talora onirico, talora carnale: “L’attaccapanni soffre con me / se stacchi i tuoi indumenti per andartene” o ancora “Una donna di mare ama i naufraghi / del sogno”. Qui siamo nella fase di un’assenza dolorosa che però ancora non si rassegna, vorrebbe condannare la storia al silenzio, ma continua a sentire l’amato su di sé, a sperare che risponda ancora alla sua invocazione.

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NELINA TRUBACH-MOSHNIKOVA, “SENZA TITOLO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Solo si tratta delle tue mani / che sogno, per cui vivo e mi struggo / nonostante l’anestesia del tempo.
LUCÍA RIVADENEYRA




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Lucía Rivadeneyra (Morelia, 26 agosto 1957), poetessa messicana. Insegnante di giornalismo e letteratura all’UNAM, ha pubblicato numerose raccolte dove protagonisti sono l’amore appassionato, l’erotismo e la solitudine.


mercoledì 19 novembre 2014

I baci più fitti

 

ATTILIO BERTOLUCCI

QUESTO È IL CARO AUTUNNO

Questo è il caro autunno.
Una stradetta conosciamo
Da alberi alti nel fondo
Limitata.
A una svolta un’acqua limpida
Fa chinare gli occhi,
Scorre tra folta erba
Invita al riposo.
Così, seduti in silenzio, si stava.
Veniva la sera
Con una sua tonda lucerna
Ad ammonirci di tornare a casa.
Ora la stradetta era più buia
E i baci più fitti,
Fitti e dolci come grappoli d’uva.

(da Il fuoco e la cenere, Diabasis, 2014)

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Due giovani innamorati nella dolcezza del primo autunno per le strade di campagna, sostano su uno spiazzo erboso, si gustano il momento e solo quando è ora di ritornare scoprono che ad essere più dolci sono gli ultimi baci, quelli che già sanno di rimpianto. È una poesia del giovane Attilio Bertolucci (1911-2000) rimasta finora tra gli inediti dell’Archivio di Stato di Parma e ora in pubblicazione - con testi mai editi degli Anni Trenta e Quaranta, capitoli esclusi dalla Camera da letto e brani in prosa - da Diabasis, in una raccolta intitolata Il fuoco e la cenere, curata da Paolo Lagazzi e Gabriella Palli Baroni.

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FOTOGRAFIA © PAUL GRANT

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LA FRASE DEL GIORNO
Questa passione [la poesia], per la grande sua forza, ha di continuo impresso al mio modo di vivere una singolare fisionomia, direi singolarissima; mi ha condotto per vie traverse, quando potevo prender le più dritte.
ATTILIO BERTOLUCCI, Il fuoco e la cenere




Attilio Bertolucci (San Prospero Parmense, 18 novembre 1911 – Roma, 14 giugno 2000), poeta italiano. Le sue opere poetiche sono il risultato di una felice contaminazione tra eredità ermetica e capacità di tradurre ogni astratta eleganza in un discorso poetico naturale.


martedì 18 novembre 2014

L’oro dell’autunno romano

 

MARTÍN LÓPEZ-VEGA

CAFFÈ GOTICO

Via della Stelletta

Sono un animale propenso all’elegia. Deve esistere
qualche tassonomia che mi classifichi. Ecco qui
il mantra del Pantheon silenzioso da secoli,
ecco le palme felici del Gianicolo,
ecco l’oro dell’autunno romano. Ho ancora nel corpo
lo sguardo della donna di ieri al Caffè Gotico
come un invito a scambiarci
le generalità animali. Il tempo è un coltello
e taglia l’aria del giorno, ne ricava un’altra città:
io e te nello stesso posto. L’elegia comincia.
Venivamo da Via dei Portoghesi,
il cuore aperto senza anestesia.
Tante cose sono cambiate da allora.
Si è congelata l’acqua nelle fontane,
si è scongelata e ha ripreso a sgorgare, sporca.
Ora ho tutto quello che voglio. Ma anche
qualcosa che non voglio e che mi insegue:
trattengo in me tutto quel che non ho più.
Sono solo quello che non sarò mai più.

(da Gajos, 2007)

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Martín López-Vega, poeta asturiano, ha tra i suoi modelli il Nobel russo Iosif Brodskij, e un po’ dell’atmosfera delle sue Elegie romane appare anche in questi versi che raccontano un incontro fortuito al Caffè Gotico e poi divagano sul ricordo e su considerazioni sullo scorrere del tempo. Ma come in Brodskij la protagonista finisce con l’essere la città, che risalta dallo sfondo come in quelle cartoline a rilievo che esistevano un tempo.

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TONY BELOBRAJDIC, “ROME CAFÉ”

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LA FRASE DEL GIORNO
Solo a Roma ci si può preparare a comprendere Roma.
JOHANN WOLFGANG GOETHE, Viaggio in Italia




Martín López-Vega (Poo de Llanes, 1975), poeta e traduttore spagnolo. Scrive in asturiano e spagnolo, principalmente poesie e diari di viaggio. Ha anche pubblicato due antologie di letteratura asturiana contemporanea. Ha lavorato come redattore per il supplemento El Cultural del quotidiano El Mundo , dove cura il blog di critica letteraria "Rima interna".


lunedì 17 novembre 2014

Perché non vendi sale?

 

RAINER BRAMBACH

CI VORREBBE PRUDENZA

Cosa ti spinge a scrivere versi?
Perché non vendi sale,
case, fucili o tabacco?

Ci vorrebbe prudenza, sai, perché presto
caleranno di nuovo i corvi – neri predicatori
dalla stridente voce – per gridare ai quattro venti
la tua miseria, mentre sereno in giro te ne vai.

Quando il ghiaccio penderà dalle fontane,
non avrai altra dimora che una sala d'attesa,
dove echeggiando in molte lingue
un’unica cosa sono arrivare e dirsi addio.

(da Cento anni di poesia nella Svizzera tedesca, Crocetti, 2013 – Traduzione di Annarosa Zweifel Azzone)

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Rainer Brambach, giardiniere-poeta svizzero di lingua tedesca, si domanda con malinconico lirismo se la poesia sia un’attività che valga la pena di intraprendere. Derisa, attaccata, messa in un angolo, travisata… eppure è sempre un’arte che eleva, che sa rendere ricchi di conoscenza.

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CARL SPITZWEG, “IL POVERO POETA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Scrivere poesie non è difficile; difficile è viverle.
CHARLES BUKOWSKI, Lettere




Reinhard Brambach detto Rainer (Basilea, 22 gennaio 1917 - 14 agosto 1983), poeta e scrittore svizzero-tedesco. La sua opera consiste essenzialmente di poesie e racconti. Nella sua poesia quieta e malinconica, che prende forma dall'esperienza della natura del giardiniere, mantenne uno stile semplice e riservato, lontano dalle mode letterarie.


domenica 16 novembre 2014

Riflesso nei suoi occhi

 

KARMELO C. IRIBARREN

VIVERE È QUESTO

Siamo così vicini
l’uno all’altra
che mi vedo riflesso nei suoi occhi.
Ma dura poco.
Già è seduta sull’autobus.
Già si allontana.
La vita fa in modo che queste cose
siano opportunamente
poche.
Affinché noi ci alziamo
ogni mattina
a cercarne altre.

(Vivir es eso, da Las luces interiores, 2013)

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Vivere è questo, dice il poeta basco Karmelo C. Iribarren, dall’alto del realismo minimalista che lo contraddistingue: inseguire di continuo l’emozione, lanciarsi alla ricerca della sua adrenalina – non il bungee jumping o il lancio con la tuta alare, ma il contatto umano.

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JOSÉ ROLDAN RENDON, “CARLA TRAVELING”

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LA FRASE DEL GIORNO
C'è una strada che va dagli occhi al cuore senza passare per l'intelletto.
GILBERT KEITH CHESTERTON, L’imputato




Karmelo C. Iribarren (San Sebastián,  19 settembre 1959), è un poeta spagnolo, autodidatta. Associata al “realismo sporco” di Bukowski e Carver, in realtà la sua è una poesia più minimale, molto spesso frutto di osservazione della strada e dei bar, che l’ha fatta definire “realismo pulito” e “poesia di esperienza”.


sabato 15 novembre 2014

La vita immaginata

 

VIVIAN LAMARQUE

IL SIGNORE SOGNATO

Splendidissima era la vita accanto a lui sognata.
Nel sogno tra tutte prediletta la chiamava.
E nella realtà?
La realtà non c’era, era abdicata.
Splendidissima regnava la vita immaginata
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(da Il signore d’oro, Crocetti, 1986)

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Vivian Lamarque è stata etichettata spesso come la “poetessa-bambina” per quello stile personalissimo che fa della semplicità la sua cifra, imitando la grazia e la tenerezza della pronuncia infantile e talora addentrandosi nel gusto della filastrocca, affidandosi allo stupore incantato, alla dolcezza fiabesca. Ma, al di sotto della patina stilistica, c’è ben altro, c’è la profondità dell’analisi junghiana, c’è la necessità di dire il dolore, l’amore, i sentimenti o, come in questo caso, il sogno, l’immaginazione che infine non si rivela altro che un mezzo per colmare la solitudine, l’assenza. 

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JACK VETTRIANO, THE SINGING BUTLER

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LA FRASE DEL GIORNO
La notte scende, / siamo lontani / di cuscini / ma di anime / siamo vicini.
VIVIAN LAMARQUE




LamarqueVivian Comba Provera Pellegrinelli Lamarque (Tesero, 19 aprile 1946) è una scrittrice, poetessa e traduttrice italiana dal francese. Di origini valdesi, ha insegnato italiano agli stranieri e nei licei. Ha ottenuto il Premio Viareggio, il Premio Montale, il Pen Club e, per le fiabe, il Premio Rodari e il Premio Andersen.


venerdì 14 novembre 2014

Ci si deve pure amare

 

FRIEDRICH NIETZSCHE

LA STREGA

Pensammo male l’uno dell’altra?...
eravamo troppo lontani.
Ma ora in questa capanna piccolissima,
attaccati al piuolo di un unico destino,
come potremmo ancora esser nemici?
Ci si deve pure amare,
quando non ci si può sfuggire.

(Die Hexe, da Ditirambi di Dioniso e poesie postume, 1888 - Traduzione di Giorgio Colli)

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La poesia è certamente una parte collaterale dell’opera di Friedrich Nietzsche, il filosofo tedesco che teorizzò il “superuomo” e “l’eterno ritorno”. Assume spesso i contorni del mito, tanto da essere inserita anche nella prosa di Così parlò Zarathustra, e si ammanta di toni ironici e sognanti. Inutile girarci intorno: ho scelto questi versi per il distico finale, che piomba come una delle tante sentenze di Nietzsche: fa il paio con il “Non ci si deve prima odiare, se ci si vuole amare?” dei Ditirambi di Dioniso ed è un lampo sull’ineluttabilità del destino e dell’amore.

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Conversation Controle c

DIPINTO DI RAFAL OLBINSKI

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LA FRASE DEL GIORNO
L’amore perdona all’essere amato perfino il desiderio.
FRIEDRICH NIETZSCHE, La gaia scienza




Friedrich Wilhelm Nietzsche (Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900),  filosofo, filologo e saggista tedesco. Nella sua opera convivono una violenta critica distruttiva verso il passato e un appassionato appello al futuro, alla creazione di un uomo nuovo capace di affrontare la tragicità della vita senza bisogno di certezze filosofiche o religiose.  


giovedì 13 novembre 2014

A lume di tè

 

NINA CASSIAN

INTIMITÀ

Posso stare da sola.
So stare da sola.

C’è un tacito accordo
tra le mie matite
e gli alberi là fuori,
tra la pioggia
e i miei capelli diafani.

Bolle il tè,
spazio mio dorato,
mia ambra pura e ardente...

Posso stare da sola.
So stare da sola.
Scrivo a lume di tè.

(Intimitate, da Sărbătorile zilnice, 1961 - Traduzione di Ottavio Fatica)

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Molti non sanno sopportare la solitudine, la vivono come una prigione. Altri la cercano, trovano in essa un bene prezioso. La poetessa romena Nina Cassian sembra appartenere alla prima categoria, ma riesce a trasformare la solitudine in intimità, mettendosi a proprio agio e praticando l’idea postulata da Thomas Mann: “La solitudine mette in mostra l’originale, il bello rischioso e sorprendente, la poesia”.

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La Rochelle

FRANCINE VAN HOVE, “LES DIMANCHES DE LA ROCHELLE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Vado alle mie solitudini, / dalle mie solitudini vengo, / perché per star con me / mi bastano i miei pensieri.
LOPE DE VEGA, Poesie




Nina Cassian, pseudonimo di Renée Annie Cassian-Mătăsaru (Galați, 27 novembre 1924 – New York, 15 aprile 2014), poetessa, scrittrice e traduttrice rumena. Esponente del Modernismo, nel 1985 si rifugiò negli Stati Uniti per sfuggire alla repressione del regime di Ceausescu, e lì rimase non solo a vivere, ma anche a scrivere poesie nella lingua del suo nuovo paese.


mercoledì 12 novembre 2014

Profumo di tiepido sole

 

CESARE PAVESE

ESTATE DI SAN MARTINO

Le colline e le rive del Po sono un giallo bruciato
e noi siamo quassù a maturarci nel sole.
Mi racconta costei - come fossi un amico.
«Da domani abbandono Torino e non torno mai più.
Sono stanca di vivere tutta la vita in prigione».
Si respira un sentore di terra e, di là dalle piante,
a Torino, a quest’ora lavorano tutti in prigione.

Il quartiere, il paese, la città, la strada
«Torno a casa dei miei dove almeno potrò stare sola
senza piangere e senza pensare alla gente che vive.
Là mi caccio  un grembiale e mi sfogo in cattive risposte
ai parenti e per tutto l'inverno non esco mai più».

Nei paesi novembre è un bel mese dell’anno:
c’è le foglie colore di terra e le nebbie al mattino,
poi c'è il sole che rompe  le nebbie. Lo dico tra me
e respiro l’odore di freddo che ha il sole al mattino.

«Me ne vado perché è troppo bella Torino a quest’ora:
a me piace girarci e vedere la gente
e mi tocca star chiusa finch’è tutto buio
e la sera soffrire da sola»! Mi vuole vicino
come fossi un amico: quest’oggi ha saltato l’ufficio
per trovare un amico. «Ma posso star sola cosi?

Giorno e notte – l’ufficio - le scale - la stanza da letto
se alla sera esco a fare due passi non so dove andare
e ritorno cattiva e al mattino non voglio più alzarmi.
Tanto bella sarebbe Torino - poterla godere
solamente poter respirare». Le piazze e le strade
han lo stesso profumo di tiepido sole
che c’è qui tra le piante. Ritorni al paese.
Ma Torino è il più bello di tutti i paesi.

«Se trovassi un amico quest'oggi, starei sempre qui».

(da Lavorare stanca, Einaudi, 1943)

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Una delle donne sradicate e tormentate di Cesare Pavese è il personaggio principale di questa poesia-racconto del 1932 dello scrittore torinese. E Torino è protagonista in tutta la sua bellezza, nei giorni di sole che l’autunno sa ancora regalare, l’estate di San Martino del titolo: la donna si sente intrappolata nella routine ufficio-casa che diventa infine soltanto solitudine, non riesce a godersi la città, medita di ritornare al paese, incerta e combattuta, in una prefigurazione di quella che sarà l’alienazione del boom economico degli Anni Sessanta.

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Torino

FOTOGRAFIA © LAPOLLON84/FLICKR

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LA FRASE DEL GIORNO
Perché questo è l'ostacolo, la crosta da rompere: la solitudine dell'uomo – di noi e degli altri.
CESARE PAVESE, La  letteratura americana e altri saggi




Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908 – Torino, 27 agosto 1950), scrittore, poeta, traduttore, saggista e critico letterario italiano. Nato poeta con Lavorare stanca, si è poi dedicato alla narrativa scrivendo romanzi famosissimi: Paesi tuoiLa luna e i falòLa casa in collina. I suoi temi principali sono il mito e la terra.


martedì 11 novembre 2014

Al popolo del futuro


BILLY COLLINS
IL FUTURO


Quando alla fine ci arriverò –
e ci vorranno molto giorni e molte notti –
mi piace pensare che ci saranno altri in attesa
e che vorranno perfino sapere com’era.

E così mi abbandonerò al ricordo di un cielo particolare
o di una donna con un accappatoio bianco
o della volta in cui ho visto uno stretto molto angusto
dove si era svolta una famosa battaglia navale.

Poi squadernerò su un tavolo
una grande mappa del mio mondo
e spiegherò al popolo del futuro
dagli abiti sbiaditi com’era –

come le montagne si alzavano tra le valli
e questa era detta geografia,
come le navi cariche di merci percorrevano i fiumi
e questo era detto commercio,

come il popolo di questa zona rosa
si spostava in questa zona verde chiaro
e come incendiava e uccideva chiunque trovasse
e questa era detta storia –

e loro ascolteranno, con lo sguardo gentile e in silenzio,
mentre altri arriveranno a unirsi al cerchio,
come onde che non si allontanano,
ma si muovono verso un sasso lanciato in uno stagno.


(The Future, da Balistica, Fazi, 2011 – Traduzione di Franco Nasi)

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È una poesia sul futuro questa di Billy Collins – quasi una scena fantascientifica in cui un visitatore con la macchina del tempo arriva in un ignoto domani -ma tratta in realtà della conoscenza e della memoria storica, della diffusione del sapere umano e della sua conservazione. E la poesia, come considera Collins, è uno strumento principe della conoscenza, visto che “gli scrittori di romanzi sbirciano dentro le finestre altrui, il poeta guarda fuori dalla propria finestra e registra come vede il mondo”.
 
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kiln-people
IMMAGINE © AYAY
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LA FRASE DEL GIORNO
Non si legge poesia per scoprire qualcosa dell’autore, ma si legge poesia per scoprire qualcosa di se stessi.
BILLY COLLINS




William Collins, detto Billy (New York, 22 marzo 1941), è un poeta statunitense. Dopo aver insegnato letteratura inglese al Lehman College nel Bronx per oltre 50 anni, ora è in pensione. Le sue poesie raccontano con ironia la vita dell’America borghese e suburbana.


lunedì 10 novembre 2014

Guardarti negli occhi

 

ANTONIO RIGO

PASSO IL GIORNO

Passo
il giorno
a guardarti
negli
occhi.

Sono mesi
che
non ti vedo.

(Me paso el día, da Álbum Blanco, Baile del Sol, 2014)

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Ecco l’amore: portare gli occhi dell’amata dentro il proprio sguardo anche se lei è lontana da tempo. È un esercizio di fede, l’incrollabile fiducia dell’innamorato capace di rimuovere tutti gli ostacoli. È una graziosa poesia dello spagnolo Antonio Rigo, che altrove in questo Álbum Blanco aggiungerà: “Ti bacio mercoledì / come se fosse /sempre”.

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Occhi

DIPINTO DI MATTEO ARFANOTTI, PART.

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LA FRASE DEL GIORNO
Ci sono cose che non puoi vedere con gli occhi: devi vederle con il cuore e questo non è facile.
SERGIO BAMBARÉN, Il delfino




Antonio Rigo (Palma di Maiorca, 1957), poeta spagnolo. Autodidatta, ha lavorato per diversi anni in un'officina meccanica di proprietà della sua famiglia, attività che ha saputo coniugare con la coltivazione della poesia e che, inoltre, ha lasciato un importante segno tematico sulle sue opere.


domenica 9 novembre 2014

Se la sete deve bruciarmi

 

JORGE LUIS BORGES

IL DESERTO

Prima di entrare nel deserto
i soldati bevvero a lungo l’acqua della cisterna.
Ierocle gettò per terra
l’acqua della sua brocca e disse:
Se dobbiamo entrare nel deserto,
io sono già nel deserto.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è una parabola.
Prima di sprofondarmi nell’inferno
i littori del dio mi permisero di guardare una rosa.
Quella rosa ora è il mio tormento
nell’oscuro regno.
Un uomo fu abbandonato da una donna.
Stabilirono di fingere un ultimo incontro.
L’uomo disse:
Se devo entrare nella solitudine
sono già solo.
Se la sete deve bruciarmi,
che già mi bruci.
Questa è un’altra parabola.
Nessuno sulla terra
ha il coraggio di essere quell’uomo.

(El desierto, da La cifra, 1981 - Traduzione di Domenico Porzio)

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La poesia intellettuale dello scrittore argentino Jorge Luis Borges (1899-1986) spazia attraverso sogni e astrazioni, mescolando immagini e metafore a miti e eventi storici. Così, da questi versi che propongono due “parabole”, il soldato Ierocle che rifiuta di satollarsi d’acqua prima di intraprendere la marcia nel deserto e l’uomo abbandonato dall’amata che si tuffa nella sua solitudine emerge la sete ardente del desiderio, provata dal poeta stesso che in una sorta di cerniera tra le due “parabole” ritaglia la sua immagine, la ricerca di quella rosa vista una sola volta e inseguita per tutta la vita.

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Lovell

TOM LOVELL, “ALEXANDER THE GREAT REFUSING WATER IN THE DESERT”

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LA FRASE DEL GIORNO
Sì, sete, sete, sete orribile! / ...Ma... lasciami il bicchiere / vuoto...!
JUAN RAMÓN JIMÉNEZ, Eternità




Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo (Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986), scrittore, poeta, saggista, traduttore e accademico argentino. Creatore di un genere oggi designato “borgesiano”, a definire una concezione della vita come storia, come finzione, come opera contraffatta spacciata per veritiera, come fantasia o come reinvenzione della realtà.


sabato 8 novembre 2014

Questa stagione pallida

 

PIERRE REVERDY

COLUI CHE ATTENDE

È davvero l'autunno che ritorna
e si inizia a cantare
Ma nessuno
ci tiene
più di me
io sarò l’ultimo

Ma non è così triste
come avevano detto
questa stagione pallida
Un po' più di malinconia
Per darvi ragione

Il fumo interroga
Sarà lui oppure tu
a tesserne l'elogio
prima che arrivi il freddo

E aspetto
L’ultima luce
che sale nella notte
Ma la terra discende
E non tutto è finito

Un’ala la sostiene
Per tutto questo tempo
In fin dei conti io verrò con te
A chiudere la porta
Se tira troppo vento

(Celui qui attend, da Grande nature, 1925 - Traduzione di Valerio Magrelli)

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Nell’orbita del Cubismo e del Surrealismo ruotano le poesie di Pierre Reverdy – “scrive come un pittore” disse di lui Picasso: si può capire perché da questi versi che evocano l’autunno, creando una suggestione della realtà attraverso le immagini, cercando di penetrare nel profondo “la sublime semplicità del reale”.

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Malinconia

IMMAGINE © PINTEREST

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LA FRASE DEL GIORNO
Ah, sono sere di una indifferenza così triste che l’autunno, prima di cominciare nelle cose, inizia dentro di noi.
FERNANDO PESSOA, Il libro dell’inquietudine




Pierre Reverdy (Narbona, 11 settembre 1889 – Solesmes, 17 giugno 1960), poeta e aforista francese. Legato al cubismo e al dadaismo, fu uno dei precursori del surrealismo. Le sue opere tendono a privilegiare la verità poetica sulla realtà, a ridurre, in un linguaggio semplice e rigoroso, il divario fra sentimento ed espressione.


venerdì 7 novembre 2014

Quell’istante

 

TITOS PATRIKIOS

METRÒ

Gli anni poi passeranno
masse di monti e pietra si frapporranno
tutto sarà dimenticato
come si dimentica il cibo quotidiano
che ci tiene in piedi.
Tutto, tranne quell'istante
in cui sul metrò affollato
ti aggrappasti al mio braccio.

(Υπόγειο τρένο, da La resistenza dei fatti, Crocetti, 2007 - Traduzione di Nicola Crocetti)

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La poesia è la capacità di cogliere l’attimo, di congelare l’istante – un po’ come fa la fotografia, ma aggiungendovi l’emozione delle parole. Quest’istante immortalato dal poeta greco Titos Patrikios – l’attimo in cui la donna su un metrò affollato a uno scossone si aggrappa al braccio del poeta – perde la sua consistenza temporale, diventa ricordo, allargando la sua estensione, assumendo un’importanza che sa andare al di là del tempo, al di là degli eventi che verranno a frapporsi.

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Coulson

FOTOGRAFIA © TIM COULSON

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LA FRASE DEL GIORNO
Per meschina e povera che sia, ogni vita possiede istanti degni di eternità.
NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, Tra poche parole




Títos Patríkios (Atene, 21 maggio 1928), scrittore e poeta greco. Confinato per tre anni dalla dittatura militare sull’isola di Makronissos e poi esule a Parigi e Roma, ha trasposto nei suoi versi l’esperienza di prigionia ed esilio. La sua opera è critica verso il mondo ma ritiene necessaria la lotta in difesa dei valori anche attraverso la poesia.