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giovedì 31 marzo 2011

Un’occasione eccezionale


WISŁAWA SZYMBORSKA

UN APPUNTO

La vita - è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;

essere un cane
o carezzarlo sul suo pelo caldo;

distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;

stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.

Un'occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;

e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l'erba;
e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;

e persistere nel non sapere
qualcosa d'importante.

(da Attimo, 2002 – Trad. di Pietro Marchesani)

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Lo stupore attraversa le poesie di Wisława Szymborska come un filo rosso: è probabilmente il filo che la poetessa polacca Premio Nobel 1996 utilizza per districarsi nel labirinto della vita. È lo stupore dell’esistenza: “nel frattempo accadono fatti” dice in un’altra lirica raccolta in Attimo. E in un’altra ancora: “Un miracolo, basta guardarsi intorno: / il mondo onnipresente”. Ecco la vita allora, con le sue piccole e grandi cose che ci stupiscono: le foglie che cadono d’autunno, una corsa sulla spiaggia, le carezze sul dorso di un cane, i discorsi fatti distesi a letto, la disavventura di perdere le chiavi, di bagnarsi sotto la pioggia. L’assoluto che piomba nel quotidiano.

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Edvard Munch, “Il ballo della vita”

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LA FRASE DEL GIORNO 
Non so agli altri – / per essere felice e infelice / a me basta e avanza questo: //una dimessa provincia / dove anche le stelle sonnecchiano / e ammiccano nella sua direzione / non significativamente.
WISŁAWA SZYMBORSKA, Attimo




Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923), poetessa e saggista polacca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”.


mercoledì 30 marzo 2011

Non solo d’amore


ALDA MERINI

L’IRA DI DIO

E quando noi ci amavamo
e pensavamo a T.S. Eliot
e alle belle parole.
Allora andiamo tu ed io
tenendoci per mano
come un paziente in preda alla narcosi.
Avremo narcotizzato il male
che ci ha sepolti
perché con questi morti
abbiamo scoperto che il mondo
non è fatto solo d’amore
e che noi ci siamo ingannati
dimenticando gli altri.
Quanto siamo stati superbi
nel pensare che le nostre tracce
non venissero cancellate dall’acqua.
Ma Dio che ci osservava
ha sentito intollerabili le nostre pretese.
Anche noi siamo morti
insieme a tanti innocenti.

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Il 2011 non ha ancora completato il suo quarto e già ne abbiamo viste parecchie: le rivolte nei paesi arabi, l’insurrezione della Cirenaica che Gheddafi ha tentato di reprimere, l’operazione Odissea all’alba con i bombardamenti sulla Libia divenuta ora sotto l’ombrello NATO Unified Protection, il violentissimo terremoto in Giappone con conseguente tsunami e l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima scatenato dal sisma. “Abbiamo scoperto che il mondo / non è fatto solo d’amore” per dirla con Alda Merini, di cui questa è una poesia di circostanza scritta sull’onda dell’emozione per un altro tsunami, quello enormemente più catastrofico in costo di vite umane del 26 dicembre 2004 nel Sud-est asiatico. Siamo piccoli davanti alla natura, infinitesimamente piccoli: siamo disorientati quando accadono tragedie di queste proporzioni - “Siamo oltre il suo limite” scrisse in quel frangente Mario Luzi, “non sopportiamo, subiamo”.

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Fotografia dal web

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LA FRASE DEL GIORNO  
Così l’ondata incalza / Achille senza sosta, benché corra / veloce: gli dèi sono più potenti / degli uomini.
OMERO, Iliade, XXI




Alda Giuseppina Angela Merini (Milano, 21 marzo 1931 - 1º novembre 2009),  poetessa, aforista e scrittrice italiana. Vide pubblicate le prime poesie a diciannove anni. L’amore agitato con Giorgio Manganelli riportò alla luce i disagi psichici: dal 1965 al 1972 fu internata in ospedale psichiatrico. Dimessa, visse nella sua casa sui Navigli, spesso in stato di emarginazione, circondandosi di artisti.


martedì 29 marzo 2011

Nere schiume

 

MIGUEL HERNÁNDEZ

GUERRA

Le madri del mondo il ventre
nascondono tremanti,
vorrebbero isolarsi
nel buio della verginità,
dell'origine solitaria
in un passato senza futuro.
Si vedono le vergini
pallide di terrore.
Ha sete il mare, ha sete
di farsi acqua la terra.
La fiamma dell'odio cresce
e l'amore spranga le porte.
Voci vibrano come lance,
voci punte di baionetta.
Farsi le bocche pugni,
i pugni farsi elmetti.
I cuori rauchi muri,
le gambe orride zampe.
Sconvolto, vorticante
il cuore scoppia. Agli occhi
scaglia schiume di colpo,
nere schiume.

(da Obra completa, Calpe, 1992 - Trad. Guido Ceronetti)

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Terribile è la guerra. Uomo contro uomo - o fratello contro fratello secondo l’accezione cristiana. Quando Miguel Hernández scrive questa durissima poesia, la guerra di Spagna è in corso, è al suo apice, nel 1938. Due anni prima il Fronte Popolare formato da repubblicani, comunisti, socialisti e anarchici, aveva vinto le elezioni e avviato riforme agrarie e anticlericali invise ai conservatori, scatenando la rivolta militare del generale Franco, appoggiata da Germania, Italia e Portogallo, che inviarono uomini e armi. E leggendo questi versi l’associazione con Guernica è inevitabile: il dipinto di Picasso per la città rasa al suolo dall’aviazione tedesca il 26 aprile del 1937 -  in origine una tauromachia, trasformato in scena di guerra - esprime l’identico orrore di Hernández. È un mondo rovesciato, dove l’odio trionfa sull’amore, dove è la morte a vincere la vita, e anche terra e mare sono sconvolti.

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Pablo Picasso, “Guernica”

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LA FRASE DEL GIORNO  
Chi fu  colui che per primo inventò le orribili spade? / Quanto fu spietato, quanto davvero inumano!
ALBIO TIBULLO, Elegie, I, 10




Miguel Hernández Gilabert (Orihuela, 30 ottobre 1910 - Alicante, 28 marzo 1942), poeta e drammaturgo spagnolo. Pastore, lasciò il gregge per dedicarsi alle lettere. Partigiano repubblicano durante la guerra civile, fu arrestato nel 1937: in carcere morì di tisi. Sebbene tradizionalmente lo si inquadri nella generazione del ‘36, è più vicino alla generazione precedente, quella del ‘27.


lunedì 28 marzo 2011

Dunque ora baciamoci


EDWIN ESTLIN CUMMINGS

TRA MONTAGNE…

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ra
mon
tagn
e che v
anno sv
anendo v
agano cri
stiane soa
vissime cam
pane e noi ci
saremo, tu
ci sarai,
io ci sar
ò?? Dun
que or
a bac
iam
oc
i

(da Che cos’è per me la tua bocca)

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Abbiamo incontrato E.E.Cummings con la sensuale Mi piace il mio corpo quand’è col tuo corpo e abbiamo parlato dello sperimentalismo grafico del poeta americano. Questa sua poesia d’amore porta ancora un passo in là la bizzarria: il gioco di Cummings sconfina nella poesia visiva, di cui già furono maestri Corrado Govoni e i Futuristi e Guillaume Apollinaire. Una poesia fatta a fettine, disposta matematicamente a formare un disegno la cui essenza però è e resta l’amore.

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Henri Matisse, “Jeune femme le visage enfoui dans les bras”

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LA FRASE DEL GIORNO 
Che cosa è per me la tua bocca? / Un calice di incenso desolato, / un albero di foglie smaniose, / un alto vascello impaziente, / una faretra di splendide frecce.
EDWARD ESTLIN CUMMINGS, Che cos’è per me la tua bocca




Edward Estlin Cummings,  noto anche come e.e. cummings (Cambridge, 14 ottobre 1894 – North Conway, 3 settembre 1962),  poeta, drammaturgo, scrittore e saggista statunitense. È celebre per il suo uso poco ortodosso delle maiuscole e delle regole della punteggiatura, e per il fatto di servirsi delle convenzioni sintattiche in modo avanguardista e innovativo.


domenica 27 marzo 2011

Una gomma per cancellare

 

GIORGIO ORELLI

GINOCCHI

Ma tu che sol per cancellare scrivi
Dante, Par. XVIII 130

Io sono uno studente e studio su una terrazza contro prati in pendio
dove errano galline su cui possono piombare falchetti detti
sciss.
Il fucile è qui, accanto a me.
Da un pezzo una ragazza bruna di fuorivia va in altalena, ogni poco
mi vengono incontro i suoi ginocchi lucenti.
Fingo di scrivere qualcosa e ad un tratto, nell'attimo che giunge alla mia altezza, le chiedo una gomma per cancellare.
Lei subito salta giù, corre in casa, torna fuori e mi dà sorridendo una gomma biancicante.
Cancello il bianco e poi col lapis scrivo sulla gomma, in stampatello: T'AMO.
La dichiarazione è così netta che arrossisco, l'attenuo fregandovi il pollice.
Adesso forse va bene, posso restituire la gomma.
La ragazza scappa in casa, non si fa più vedere.

(da Sinopie, Mondadori, 1977)

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Pier Vincenzo Mengaldo, a proposito di questa poesia del ticinese Giorgio Orelli, dice che “fa proprio pensare a uno squisito raccontino di Cechov, del genere di Uno scherzetto, ridotto in miniatura”. In effetti la descrittività è quella, impressione probabilmente dettata dall’uso del verso lungo, dalla metrica informale che sconfina nella prosa: si legge tutto d’un fiato per arrivare a vedere come finirà questa storia tra due ragazzi, e intanto immaginiamo un giardino d’estate, quella terrazza, quell’altalena, entriamo nella favola, parteggiamo per l’uno o per l’altra, magari per l’amore. Ma non è che uno spezzone cinematografico, un momento fermo nel tempo, una poesia…

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Fotografia © Ray of Moon

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LA FRASE DEL GIORNO 
Forse sarà per questo il dir d'amore / più dolce dell'amore che ci stanca.
CARLO BETOCCHI, Poesie, “All’amata”




Giorgio Orelli (Airolo, 25 maggio 1921), scrittore, poeta e traduttore svizzero di lingua italiana. La sua poesia, in parte appartenente al filone post-ermetico, a tratti avvicinata a quella Linea Lombarda, è ricca di grazia musicale e si caratterizza per una sua ironica ambiguità.


sabato 26 marzo 2011

Donna di sogno


MARIO BENEDETTI

DONNA OSTAGGIO


La donna di quel sogno era un ostaggio
era sua almeno finché lui
non l'avesse venduta al suo risveglio
cosa che mai avrebbe fatto mai

la donna di quel sogno era di sogno
e i suoi seni sognati erano
insopportabili da quanto erano belli
il suo pube da brama era sognato
e sognate le labbra a custodire
la dolcissima lingua anche sognata

La donna di quel sogno era un ostaggio
era sua almeno finché lui
non l'avesse venduta al suo risveglio
cosa che mai avrebbe fatto mai

ma all'improvviso il mai ebbe una fine
e quando aprì gli occhi lei non c'era


(da La vita una parentesi, 1998 – Trad. Martha Canfield)

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È un viaggio nei territori magici del sogno quello che compie Mario Benedetti, uno dei massimi poeti dell’Uruguay, del quale fu anche voce sociale per le denunce contro il regime militare tra il 1973 e il 1986. Questa poesia sembra il perfetto assioma di un paio di versi di un sonetto di Shakespeare: “Io ti ho avuta come un sogno lusinghiero, / nel sonno un re, un niente da sveglio”. Il sogno ingannevole sembra non avere mai fine, realizza tutti i nostri desideri, la bellezza è tanto grande da risultare insopportabile, la donna di questa meravigliosa fantasia è una dea di perfezione e di passione. Poi, come una bolla di sapone che scoppi, il sogno inesorabilmente ha fine e il risveglio ci fa piombare di nuovo nel reale, ci ritrasforma da re in mendicanti.

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Immagine © Cute Wallpaper

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LA FRASE DEL GIORNO 
La poesia dice / profondità che a volte / la prosa tace.
MARIO BENEDETTI




Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano. Figlio di immigrati italiani, fece parte della Generazione del’45. Nel 1973 fu costretto all’esilio dal golpe militare. Rientrò nel 1983.


venerdì 25 marzo 2011

L’Isola-Non-Trovata


GUIDO GOZZANO

LA PIÙ BELLA


I.

Ma bella più di tutte l'Isola Non-Trovata:
quella che il Re di Spagna s'ebbe da suo cugino
il Re di Portogallo con firma sugellata
e bulla del Pontefice in gotico latino.

L'Infante fece vela pel regno favoloso,
vide le fortunate: Iunonia, Gorgo, Hera
e il Mare di Sargasso e il Mare Tenebroso
quell'isola cercando... Ma l'isola non c'era.

Invano le galee panciute a vele tonde,
le caravelle invano armarono la prora:
con pace del Pontefice l'isola si nasconde,
e Portogallo e Spagna la cercano tuttora.


II.

L'isola esiste. Appare talora di lontano
tra Teneriffe e Palma, soffusa di mistero:
«...l'Isola Non-Trovata!» Il buon Canarïano
dal Picco alto di Teyde l'addita al forestiero.

La segnano le carte antiche dei corsari.
...Hifola da - trovarfi? ...Hifola pellegrina?...
È l'isola fatata che scivola sui mari;
talora i naviganti la vedono vicina...

Radono con le prore quella beata riva:
tra fiori mai veduti svettano palme somme,
odora la divina foresta spessa e viva,
lacrima il cardamomo, trasudano le gomme...

S'annuncia col profumo, come una cortigiana,
l'Isola Non-Trovata... Ma, se il pilota avanza,
rapida si dilegua come parvenza vana,
si tinge dell'azzurro color di lontananza...


(da Poesie sparse)

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“Il mio sogno è nutrito d'abbandono, / di rimpianto. Non amo che le rose / che non colsi. Non amo che le cose / che potevano essere e non sono / state…”: la poetica di Guido Gozzano (1883-1916) ruota tutta attorno a questi versi tratti da Cocotte. Questa Isola Non-Trovata che ispirò a Francesco Guccini l’omonimo album del 1970 è quel senso di nostalgia e di vana ricerca dell’illusione che permea gran parte dell’opera gozzaniana, è l’inseguimento di una felicità cui si aspira ma che non si riuscirà mai a raggiungere, è il miraggio di quelle terre remote dove il poeta cercò invano di sfuggire alla tubercolosi che lo avrebbe ucciso ancora prima di compiere i 33 anni. Quasi… Come la fiabesca Isola che non c'è di Peter Pan, celebre anche per la bella canzone di Edoardo Bennato, come l’isola televisiva di Lost, che alla fine si rivelerà essere un luogo onirico o un limbo, questa Isola-Non-Trovata  attinge alle sfere del sogno, del misterioso desiderio. È un territorio che non si può comprare con il denaro, che non si può ottenere con la potenza, con la forza imposta dalla legge. Non si palesa ai re e ai principi, ai conquistadores, ma al popolo, al pescatore delle Canarie che la vede da lontano.

Una storia che ricorda l’Isola Ferdinandea, apparsa al largo di Sciacca l’11 luglio del 1831 e  così battezzata in onore di Ferdinando II di Borbone e che quasi stava per scatenare una guerra tra il Regno delle Due Sicilie, gli inglesi e i francesi, che ne rivendicavano la sovranità. Una notte del gennaio 1832, all’improvviso, però l’Isola Ferdinandea pensò bene di scomparire, risolvendo la questione. Rimasero i nomi che ogni stato le aveva dato: Ferdinandea, Graham e Iulia.



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LA FRASE DEL GIORNO 
Nulla bramiamo tanto quanto ciò che non ci è consentito.
PUBLILIO SIRO, Sentenze




Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – 9 agosto 1916),   poeta italiano, fu il capostipite della corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Inizialmente si dedicò alla poesia nell'emulazione di D'Annunzio e del suo mito del dandy. Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti, accomunati dall'attenzione per "le buone cose di pessimo gusto". Morì di tisi a 32 anni.


giovedì 24 marzo 2011

Come foglie verdi bagnate

  

LAWRENCE FERLINGHETTI

UN LUNA PARK DEL CUORE, 23

Gli innamorati sotto il porticato
(prima pioggia primaverile)
Si tenevano per cuore
Come foglie verdi bagnate
l’una all’altra appiccicate
che nemmeno in tropicale calore

Si sarebbero staccate

(da Un luna park del cuore, 2000)

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L’analogia è il pezzo forte di questa breve poesia di Lawrence Ferlinghetti, una delle voci più importanti della Beat Generation e del movimento noto come San Francisco Renaissance. La poesia è tutta lì, è in quell’avvinghiarsi di due innamorati sotto il portico, nel rigoglio dell’inizio della primavera, mentre scende la pioggia: restano allacciati come foglie nuove bagnate, impossibili da staccare, e replicano in quel loro bacio il risveglio della nuova stagione, l’amore che avvolge la terra.

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Fotografia © Hdqwalls

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LA FRASE DEL GIORNO 
L'amore, come il fuoco, una volta acceso diventa ben presto una fiamma.
HENRY FIELDING




Lawrence Ferlinghetti (Yonkers, New York, 24 marzo 1919), poeta ed editore statunitense. Nel 1955 fondò la City lights rocket bookshop a San Francisco che divenne il centro culturale del movimento beat. Parte della sua poesia è di protesta politica e si pone in opposizione alla violenza. La sua opera, pur lirica, è caratterizzata da un vivo senso dello humour e della satira.


mercoledì 23 marzo 2011

L’orchidea e la lucciola

 

LUCÍA RIVADENEYRA

SEI UNA LUCCIOLA

Ho deciso di strapparmi la memoria a pugni
e dimenticarti come il giornale di ieri
anche se resto senza oroscopo     mordendomi le unghie

perché mentre io
spruzzo i cimiteri con cannella
cammino con Truffaut sul bordo dei marciapiedi
e sono un'orchidea che sa scegliere le sue albe
tu
mi offri l'amore col coprifuoco
adorni il mio letto con lattughe
tessi angoli retti con parole
e crei favole senza pane

e poi
che peccato
non sai baciarmi dentro
non hai guardato mai le palme delle mie mani
e non comprendi il mio modo di sequestrare la luna

sei una lucciola nei miei giorni
e un poco di mercurio nella mia estate.

(da Rumor de tiempos. Antología, 2006)

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Dopo “Dicono”, "Suonando i tuoi silenzi” e “Solidarietà”, ecco un’altra poesia della poetessa messicana Lucía Rivadeneyra, giornalista e docente all’Università Autonoma del Messico: ancora versi d’amore dove l’eros rimane però più sfumato rispetto alle altre composizioni.

Due universi che non collimano quelli di Lucía e del suo innamorato: come l’alba e il tramonto non si incontrano pur vivendo nello stesso giorno. Lei comprende che l’amante non condivide la sua stessa sensibilità e riesce a individuare con lucidità la linea di demarcazione che non consente all’amore di esprimersi nella sua pienezza. “Che peccato” – dice – non può funzionare, è effimero questo amore, come il volo delle lucciole che accende di puntini luminosi le brevi notti di giugno.

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Robin-Street Morris, “Firefly night”

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LA FRASE DEL GIORNO 
Siamo una coppia di quelle / che lasciano in un albergo di sabbia / l’umore di due sagome che si amarono.
LUCÍA RIVADENEYRA, Rumor de tiempos. Antología




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Lucía Rivadeneyra (Morelia, 26 agosto 1957), poetessa messicana. Insegnante di giornalismo e letteratura all’UNAM, ha pubblicato numerose raccolte dove protagonisti sono l’amore appassionato, l’erotismo e la solitudine.


martedì 22 marzo 2011

Dal calice di ogni fiore


GIUSEPPE VILLAROEL

PRELUDIO DI PRIMAVERA

Primo sospiro di rose, nell'aria purificata,
serenità dilagata nel sonno di tutte le cose.

Le strade, stanche di sole, sconfinano nell'azzurro;
passano, in dolce sussurro, sui fili incomprese parole.

Le case, in silenzio, spalancano le loro finestre alla sera,
dove in un cielo che annera le prime stelle si imbiancano.

E noi, pellegrini d'amore, sentiamo nel cuore una grande
felicità, che si spande dal calice d'ogni fiore.

Seguiamo il notturno viaggio, cercando un bene ignorato;
quello che abbiamo sognato in un meraviglioso miraggio;

quello che sempre c'invita, senza lasciarsi scoprire,
perché bisogna morire per ritrovare la vita!

(da La bellezza intravista, Mondadori, 1923)

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Un’altra primavera che comincia: astronomicamente l’inizio è stato alle 0.20 del 21 marzo. E siamo qui come ogni anno a rinnovarci anche noi come le piante, usciamo dal torpore invernale, presi dalla voglia di uscire, di stare al sole, di respirare il nuovo tepore. Ritroviamo la vita, insomma, come ci ricorda il poeta catanese Giuseppe Villaroel, dopo aver dipinto un bozzetto pittorico crepuscolare: la gioia di vivere, la forza che sprigiona da ogni fiore, in fondo, sono un po’ anche nostre.

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Fotografia © Daniele Riva

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LA FRASE DEL GIORNO 
Mi sembra d’essere uscito da me, / Di vibrare leggero con i suoni esili nell’aria / E un soave stupore mi fa prezioso l’istante.
ALDO CAPASSO, Recitativi, quasi meditazioni




Giuseppe Villaroel (Catania, 26 ottobre 1889 – Roma, 10 luglio 1965), poeta, giornalista, scrittore e critico letterario italiano. Da un originario crepuscolarismo, la sua opera è venuta svolgendosi in poesia di ispirazione amorosa, dai modi e dai toni sempre più contenuti e controllati. Ha scritto anche romanzi, novelle, saggi critici, e racconti per ragazzi.


lunedì 21 marzo 2011

Sei haiku di primavera

 

Il tratto essenziale dell’haiku è lo yūgen, un vocabolo giapponese composto da due caratteri che in italiano si può rendere pressappoco con “profondità misteriosa”: resta sempre qualcosa di non espresso in quelle diciassette sillabe, pur perfettamente compiute, ed è in quell’inespresso che si nasconde la poesia, come dietro una coltre di nebbia. Anche ciò che sembra privo di significato serve a rendere invece l’intensità di uno stato d’animo, l’essenzialità di un’atmosfera. La primavera, i ciliegi in fiore, sono uno dei temi cari agli autori di haiku, sempre attenti alla relazione che lega una cosa all’altra, una stagione alla successiva.

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MATSUO BASHŌ

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Al profumo dei pruni,
d'improvviso, appare il sole,
sul sentiero montano!


*

Pioggia di primavera:
gocciola dal vespaio
l’acqua della gronda.

 

*

Ho rimpianto

con gli amici di Omi
la fugace primavera.

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KAWABATA BŌSHA

*

Come il mio spirito,
la magnolia fiorisce,
e la malattia è dolce.

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*

Nel roseto di quarzo,
come si riflettono
le foglie verdi!


*

Al tempio
liberati i colombi
nel cielo di primavera.

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Fotografia © Burim

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LA FRASE DEL GIORNO 
Commentare un haiku è dunque impossibile: si può solo dire che, in tutta semplicità, qualcosa avviene, e basta.
LEONARDO VITTORIO ARENA, Haiku




Matsuo Bashō (Ueno, 1644 – Ōsaka, 28 novembre 1694), poeta giapponese del periodo Edo. Contribuì in modo determinante all'evoluzione della poesia lirica attraverso un nuovo genere breve, il haikai, che, pur derivando da forme poetiche già esistenti, ne rinnovava profondamente gli schemi superando le emozioni personali e identificando l'uomo con la natura.

domenica 20 marzo 2011

Erano davvero felici?


DINO BUZZATI

GIUGNO 1947

Che tempi beati, quelli, si dice, non torneranno mai più; e non perché oggi si sia miseri, o malati o afflitti da altre sciagure. Bellissimi sembrano gli anni lontani perché allora si era più giovani e la riserva delle speranze verosimili era molto più grande mentre adesso si è assottigliata e il futuro per quanto lungo possa essere non conterrà in alcun modo le immense cose che si erano sognate. Ma io mi chiedo: erano davvero felici? Non lasciatevi suggestionare dalle apparenze. Pensateci su bene. Cercate di ricordarvi, a titolo di campione, uno di quei giorni lontani, uno dei migliori, anche, se volete, specialmente adatto a simboleggiare la felicità. Rivivetelo nella memoria ora per ora, provate a localizzarne il punto migliore. Un giorno di vacanze, per esempio, in alta montagna. Svegliati che il sole era già alto, vi ricordate?, e batteva sulle grandi pareti. Scesi a far colazione all’aperto, pensavate alle prossime ore, alla gita dell’indomani, alla ragazza che tra poco sarebbe comparsa, con cui andare a fare il bagno nel lago. Proprio di queste banalità sono fatte le antiche gioie. Poi lei veramente è comparsa, solo che si attardava un poco e voi invece avevate premura di andare subito al lago, altrimenti non avreste fatto in tempo. Non in quel punto dunque la felicità, ma un poco più tardi. Eppure anche più tardi, quando eravate con lei in riva al lago, già il desiderio correva avanti, anticipando la vera gioia. D’ora in ora, questa la verità, si correva dietro a qualcosa. E neppure il giorno successivo ci fu l’ora tanto desiderata; all’alba eravate impazienti di essere all’attacco della parete, qui di aver superato il punto più difficile, poi di essere in cima, poi di aver compiuto felicemente la discesa, e discesi si sarebbe voluto essere già al rifugio, e al rifugio nasceva una strana amarezza come quando ci si accorge che una cosa bella è passata. E soprattutto, in ogni istante della giornata, anche nei periodi più placidi, una specie di ansia, una aspettazione dell’indomani, una impazienza. D’ora in ora sospinti con la sensazione che fermarsi è impossibile, che il buono ci aspetta più avanti e conviene affrettarsi. Così di giorno in giorno, mese in mese, anno in anno, senza la più piccola pausa, a perdita di fiato. Ed eccoci finalmente qui e siamo sempre gli stessi, non ci sono state interruzioni né fratture, si tratta sempre della stessa corsa per cui partimmo giovanetti, puntando sull’indomani. A quei tempi lontani dunque, che ci piace ritenere felici, ci lega l’ininterrotta progressione delle ore; le quali non è vero che un dì fossero rosa o celesti e adeso grigie, bensì sempre le stesse pressappoco, fatte in modo che standoci dentro non sembrano nulla di speciale, mentre a guardarle dal di fuori, quando si sono fatte lontane, splendono misteriosamente.

(da In quel preciso momento, Neri Pozza, 1950)


Leggendo questo breve racconto di Dino Buzzati ho pensato subito al paradosso di Achille e della tartaruga, ideato da Zenone di Elea, che qui riporto nella bella descrizione fatta in Altre inquisizioni da Jorge Luis Borges: “Achille, simbolo di rapidità, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achille corre dieci volte più svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achille corre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quel metro, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga percorre un millimetro; Achille percorre quel millimetro, la tartaruga percorre un decimo di millimetro, e così via all’infinito; di modo che Achille può correre per sempre senza raggiungerla”.

Dunque corriamo sempre, inseguiamo di continuo la felicità, ma essa si ritrova sempre un passo avanti a noi. C’è un certo cinismo, sì, ma velato da uno sguardo malinconico, cioè dolorosamente dolce, come quella sensazione provata al rifugio, l’amarezza per una festa finita, un po’ come ci si sente la domenica sera con il lunedì lavorativo incombente e la stanchezza per il week end.

Ci dobbiamo abbattere, allora? Commiserarci? No, continuiamo a vivere il momento, a lasciarci trasportare nel tempo considerando però che Buzzati su una cosa ha ragione: la felicità è un susseguirsi di desideri.

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Disegno di Dino Buzzati

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LA FRASE DEL GIORNO 
Non credere, amico mio, che l'uomo sia capace di sentire tanta felicità quanta ne può concepire; c'è nel desiderio e nell'immaginazione meno forza che nella sensibilità.
SULLY PRUDHOMME
, Diario intimo




Dino Buzzati, all'anagrafe Dino Buzzati Traverso (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972), scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo e poeta italiano. Fu cronista e redattore del Corriere della Sera. Autore di romanzi e racconti surreali e realistico-magici, è celebre per Il deserto dei Tartari.


sabato 19 marzo 2011

E ho portato il tuo nome


SALVATORE QUASIMODO

AL PADRE

Dove sull'acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo i binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da tre giorni, è dicembre d'uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele disseccate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei ginocchi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.

La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.

Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po' più in là dell'odio e dell'invidia.
Quel rosso sul tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d'aquila.

E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d'Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
«Baciamu le mani». Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.

(da La terra impareggiabile, Mondadori, 1958)

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19 marzo, festa del papà. Ho scelto questa poesia di Salvatore Quasimodo perché è una rivalutazione della figura paterna e raffigura bene quello che è capitato a molti di noi: il padre è un elemento importante durante l’infanzia – e quella che cita Quasimodo è la terribile realtà del terremoto di Messina del 28 dicembre 1908, quando il poeta ha sette anni e il padre Gaetano, capostazione delle Ferrovie, riesce a infondere coraggio in quei momenti difficili. Poi, naturalmente, ci si stacca dal padre, si entra anche in conflitto con lui – “difficile affinità di pensieri” a - salvo ritrovarne nella maturità quell’affettuosa predisposizione. E alla fine della poesia, lontano dalla sua Sicilia, Quasimodo riesce finalmente ad esprimere tutto il rispetto per il padre, con quella formula, “Baciamu le mani”, tipica dei contadini verso il padrone.

“La tua pazienza fu lezione” dice Quasimodo. Permettetemi di citare un brano dal libro che sto leggendo adesso, Bella Napoli, opera di un amico, Vincenzo Moretti. Sembra fatto apposta per commentare questo verso. Nell’introduzione – sono storie di lavoratori napoletani – Vincenzo ricorda i suoi maestri, e tra questi annovera in primis il padre Pasquale: “Sapevo che quello che mi diceva papà era importante. Sì, importante anche solo per il fatto che me lo diceva lui e anche se poi negli anni della contestazione le cose che mi diceva lui ho avuto una gran fretta di cancellarle tutte, negli anni della maturità ne ho recuperate molte e in quelli della perdita ho cominciato persino a custodirle”.

Certo, ho fatto anch’io un regalo a mio papà, ma il regalo più bello è quello che forse per pudore non sono mai riuscito a dirgli: che ho imparato tante cose da lui, e che soprattutto mi ha insegnato il rispetto per gli altri, che sono fiero di cominciare a somigliargli.

Auguri, papà!

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Fotografia © The National Trusy

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LA FRASE DEL GIORNO 
L'avere un figlio ingrato è più doloroso del morso del serpente.
WILLIAM SHAKESPEARE, Re Lear




Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968), poeta e traduttore italiano, esponente di rilievo dell'ermetismo.  Essenziale ed epigrammatico, ha  temperato gli influssi originari in un linguaggio poeticamente sempre più autonomo, che libera un’intensa sensualità in trepide visioni. Premio Nobel per la letteratura 1959 “per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”.


venerdì 18 marzo 2011

Cos’è l’arte? (XX)


ALBERTO SAVINIO

“L'arte porta il ricordo in sé del paradiso perduto
ma insieme porta la promessa del paradiso ritrovato”



Alberto Savinio, “Il sogno di Achille”
olio su tela, 1929 / collezione privata

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VINCENT VAN GOGH

“In un quadro io vorrei dire qualcosa di consolante come una musica”

Vincent Van Gogh, “La vigne rouge”
olio su tela, 1888 / Mosca, Museo Puskin

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VASSILY KANDINSKY

“L'arte è il linguaggio che parla all'anima, nella forma che le è
propria, delle cose che sono il pane quotidiano dell'anima
e che essa non può ricevere che sotto questa forma”

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Vassily Kandinsky, “Mosca I”
olio su tela, 1916/ Mosca, Galleria Tretyakov

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LA FRASE DEL GIORNO
L'arte è il trionfo sul caos.
JOHN CHEEVER, The Stories of John Cheever Knopf

giovedì 17 marzo 2011

Italia 150


GIUSEPPE UNGARETTI

ITALIA

Locvizza, l'1 ottobre 1916

Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni

Sono un frutto
d'innumerevoli contrasti d'innesti
maturato in una serra

Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia

E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla di mio padre

(da Allegria di naufragi, 1919)


150. Eccoci qui. L’Italia , questa “espressione geografica” che va dalla Testa Gemella occidentale sulle Alpi Aurine a Punta Pesce Spada a Lampedusa e dal Monte Chardonnet sulle Alpi Cozie al Capo d’Otranto, lo Stivale che è la nostra Patria, che spesso denigriamo, dal quale vogliamo fuggire e al quale restiamo invece abbarbicati come un mitilo allo scoglio. E oggi compie 150 anni: era il 17 marzo del 1861 quando veniva proclamata la costituzione del Regno d’Italia, un mese dopo la riunione del primo Parlamento italiano a Torino, cinque mesi dopo il plebiscito che univa il Regno delle Due Sicilie a quello di Vittorio Emanuele II. Mancavano ancora il Veneto, il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia e la questione romana era ancora aperta, ma già l’Italia era fatta. Gli italiani sarebbero arrivati in seguito, un miscuglio di parlate e di mentalità caratterizzato da nord a sud e da ovest a est da quattro cose: il genio, la buona tavola, il gusto della polemica e l’arte di arrangiarsi.

Buon compleanno, Italia!


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LA FRASE DEL GIORNO 
Con l’Italia si vive come con un’amante: oggi in grande collera e domani in adorazione.
ARTHUR SCHOPENAUER




Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è uno dei tre grandi poeti dell’Ermetismo italiano. Trasferitosi a Parigi nel 1912, prese parte alla Prima guerra mondiale nelle trincee del Carso e poi in Champagne. Dal 1935 al 1942 insegnò in Brasile e dal 1947 al 1965 fu professore di letteratura moderna alla Sapienza.


mercoledì 16 marzo 2011

Sull’Italia (III)


Un terzo florilegio di frasi sull’Italia e sugli italiani. Era doveroso, per celebrare il centocinquantenario dell’Unità. E ancora una volta, diviso in due: la visione dall’interno, cioè la nostra, spesso tesa a denigrarci, e quella dall’esterno, che fotografa i nostri vizi e le nostre virtù con un po’ d’invidia da parte di chi italiano non è.

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L’ITALIA E GLI ITALIANI VISTI DALL’INTERNO

La Repubblica, ad essere sinceri
a un grande e bel cocomero somiglia:
è tonda, è verde, è bianca ed è vermiglia
e i semi del cocomero son neri.

CURZIO MALAPARTE

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L'Italia è il paese del luogo comune. La pigrizia mentale, l'ignoranza e la natura ignorante spingono l'italiano a contentarsi di entusiasmi accademici.
MARIO SIRONI, Scritti editi e inediti


Gli italiani hanno solo memoria per le loro squadre di calcio. La memoria storica degli italiani è il calcio.
ANDREA CAMILLERI, La Stampa, 1° maggio 2009

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La bella Italia, dove, sullo sfondo delle rovine delle antiche regole, oscillano le canne di palude delle interpretazioni delle regole.
ANDREA DE CARLO, Mare delle verità

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Gli italiani sono un popolo grande nei momenti di miseria, ma si smarriscono in quelli di fortuna. Appena c'è un po' di benessere, subito si confondono, si smarriscono, si contentano.
ELSA MORANTE, Il Giorno, 4 settembre 1963

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Che cosa pensano gli italiani? Difficile dirlo. Si ha molta fiducia nella nostra incapacità.
LEO LONGANESI, Parliamo dell'elefante

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In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l'arabesco. Viviamo in una rete di arabeschi.
ENNIO FLAIANO, La solitudine del satiro

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Bassano del Grappa, 81a Adunata Nazionale Alpini, 11 maggio 2008 
Fotografia © Daniele Riva

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L’ITALIA E GLI ITALIANI VISTI DALL’ESTERNO

Gli italiani in genere non sono molto precisi.
BANANA YOSHIMOTO, Chie-chan e io

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Tutti gli italiani sono attori straordinari, con l'eccezione di quelli che lo fanno per professione.
ORSON WELLES

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L’Italia è tutta fuoco, nudità, apertura e neri preti che vanno e vengono per le strade. È anche strano come non ci si possa liberare delle ville.
VIRGINIA WOOLF, La camera di Jacob

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«Tutti quelli che scrivono dovrebbero essere capaci di scrivere sull'Italia».
«Dovrebbero, sì. Ma è difficile perfino per gli italiani, Più difficile per loro che per gli altri. Se un italiano scrive bene parlando dell'Italia è un fenomeno. Le migliori cose su Milano le ha scritte Stendhal.

ERNEST HEMINGWAY, Vero all'alba

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Con l'Italia si vive come con un'amante: oggi in grande collera e domani in adorazione.
ARTHUR SCHOPENHAUER

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La terra dei mamma-mia.
LEONOR FLEISCHER, Rain Man

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Gli italiani, sotto tale rispetto, sono il popolo ideale: per loro le feste sono vere feste.
ALEXANDRE DUMAS PADRE, Il conte di Montecristo

...

vedi anche Sull’Italia (I), Sull’Italia (II) e Sugli italiani

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LA FRASE DEL GIORNO 
In Italia nulla è stabile, fuorché il provvisorio.
GIUSEPPE PREZZOLINI

martedì 15 marzo 2011

Fragile tripudio

 

PIERO BEVILACQUA

QUANDO SI DILEGUÒ LA NOTTE

Quando si dileguò la notte
la mimosa rimase
in mezzo al campo
fra le case stupite.

Era sola
fiorita
un firmamento di polline
tremante
nel gelo del mattino.

All’alzarsi del vento
che ondeggiava
fra i rami del fico
ancora nudo
e il melograno secco
rabbrividì all'inganno.

Una febbre di primavera
un errore maligno
fremendo nelle vene
del suo tronco
l’aveva destata anzi tempo
spinta a quel fragile tripudio.

E ora
sulla terra ancora nera
spoglia d'uccelli
gemeva luminosa
nel cuore dell'inverno.

(da Il vento nella città, Donzelli, 2010)

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Piero Bevilacqua è un noto storico dell’ambiente, docente di storia contemporanea all’Università La Sapienza, autore di saggi quali  La mucca è savia. Ragioni storiche della crisi alimentare europea e La terra è finita. Breve storia dell'ambiente. Ma è anche poeta, come testimoniano questi versi che mettono in scena quasi una favola, quella della mimosa che fiorisce anzitempo, sospinta da un desiderio di primavera, dalla frenesia che brucia nelle vene, dall’impazienza di fiorire e distendersi al sole caldo che viene frustrata da un mattino di gelo. Forse seccherà, forse riuscirà a resistere, ma quanta gioia, quanta allegria sa dare quel giallo in mezzo al bianco della brina.

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Creapicform, "Germogli primaverili di vernici"

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LA FRASE DEL GIORNO 
Guardi! La bellezza - ma quella è niente - guardi la precisione, l'armonia. È così fragile! È così forte! È così esatta! È questa la Natura - l'equilibrio di forze colossali. È così ogni stella - è così che si regge ogni filo d'erba - e il Cosmo possente in equilibrio perfetto produce questo! Questa meraviglia, questo capolavoro della Natura - la grande artista.
JOSEPH CONRAD, Lord Jim




Piero Bevilacqua (Catanzaro, 1944), storico, scrittore e saggista italiano. Laureatosi in Lettere con Alberto Asor Rosa, fu Professore ordinario di storia contemporanea alla Sapienza. Ha fondato l'Istituto meridionale di Storia e di Scienze sociali (Imes), che tuttora presiede, e la rivista Meridiana, di cui è direttore.


lunedì 14 marzo 2011

Un uomo che amasti


NICANOR PARRA

LETTERE AD UNA SCONOSCIUTA

Quando passeranno gli anni, quando passeranno
gli anni e l'aria avrà scavato un fosso
fra la tua anima e la mia; quando passeranno gli anni
e sarò soltanto un uomo che amasti
un essere che restò un istante di fronte alle tue labbra,
un pover'uomo stanco di camminare per i giardini,
dove sarai tu ? Dove
sarai, oh figlia dei miei baci!

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“Il tempo cambia molte cose nella vita, il senso, le amicizie le opinioni”: non sono i versi di una poesia, ma l’inizio di Segnali di vita, una delle più belle canzoni di Franco Battiato. Ed è a questo passaggio che ho pensato subito per associazione di idee leggendo la poesia di Nicanor Parra, poeta cileno nato nel 1914: di fronte al tempo tutti i nostri eventi diventano insignificanti; anche l’amore, anche quello che avevamo ritenuto eterno o immutabile a lungo andare si trasforma, si modifica, si consuma. E ne resta soltanto la memoria, ne resta soltanto la poesia.

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David Graux, “Désir accordé”

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LA FRASE DEL GIORNO 
Sembra che il tempo ci metta tanto a passare e invece fugge come il vento.
DINO BUZZATI




nicanor-parra3Nicanor Segundo Parra Sandoval (5 settembre 1914), poeta matematico, filosofo e fisico cileno. Incarnò l’antipoesia, teorizzando il distacco dagli schemi poetici tradizionali. Fu candidato tre volte al Premio Nobel senza vincerlo mai. Ottenne il Premio Reina Sofia nel 2001 e il Premio Cervantes nel 2011.

domenica 13 marzo 2011

Il cuore un ciottolo

 

CAMILLO SBARBARO

ORMAI SOMIGLIO A UNA VITE...

Ormai somiglio a una vite che vidi un dì con stupore. Cresceva su un muro di casa nascendo da un lastrico. Trapiantata, sarebbe intristita.

Così l’anima ha messo radice nella pietra della città e altrove non saprebbe più vivere. E se ancora m’avviene di guardar come a scampo ai monti lontani, in realtà essi non mi parlano più.

Mi esalta il fanale atroce a capo del vicolo chiuso. Il cuore resta appeso in ex voto a chiassuoli a crocicchi. Aspetti di cose mi toccano come nessun gesto umano potrebbe.

Come la vite mi cibo di aridità. Più della femmina, m’illudono la sete e gli artifizi. Il lampeggiar degli specchi m’appaga.

A volte, a disturbare l’inerzia in cui mi compiaccio, affiora, chi sa da che piega di me, un mondo a una sola dimensione e, smarrita per esso, l’infanzia.

Al richiamo mi tendo, trepidante mi chino in ascolto… Ah non era che il ricordo di un’esistenza anteriore!

Forse mi vado mineralizzando.
Già il mio occhio è di vetro, da tanto non piango; e il cuore, un ciottolo pesante.

(da Trucioli, 1920)

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Questo è il frammento che apre Trucioli, raccolta di prose liriche che Camillo Sbarbaro pubblicò nel 1920, espandendo ulteriormente i temi già trattati nelle poesie di Pianissimo: solitudine, alienazione, incomunicabilità, il muro invalicabile che ci divide dal resto del mondo. Sbarbaro fa saltare anche l’ultimo ponte, il legame che rappresentava la possibile via di fuga: l’uomo scopre di essere un oggetto tra gli oggetti, indifferente alla realtà e non ne resta sgomento, ma addirittura se ne compiace, si nutre di questa negatività, se ne esalta. Resta però un esile barlume di speranza, quello dell’infanzia, il paradisiaco regno smarrito che il poeta racconterà in Voze, soave voce.

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Fotografia © The state of my mind

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LA FRASE DEL GIORNO 
Un cieco mi par d’essere, seduto / sopra la sponda d’un immenso fiume.
CAMILLO SBARBARO, Pianissimo




Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure, 12 gennaio 1888 – Savona, 30 ottobre 1967),  poeta, scrittore e aforista italiano. Nelle sue poesie seppe coniugare un’osservazione della natura e un’analisi anche introspettiva della psicologia umana con uno stile secco e acuto.