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giovedì 31 luglio 2008

Dove comincia il viaggio

 

CHARLES BAUDELAIRE

IL VIAGGIO, I


Per il bimbo, amante di mappe e di immagini,
l'universo eguaglia la sua fame immensa.
Com'è grande il mondo al lume delle lampade!
E piccolo, invece, agli occhi del ricordo!

Partiamo all'alba, con il cervello ardente,
il cuore gonfio di rancore e desideri amari,
e andiamo, docili al ritmo delle onde,
cullando l'infinito nostro sul finito dei mari:

alcuni son lieti di fuggir la patria infame;
altri, l'orrore dei natali; altri ancora,
astrologhi annegati negli occhi d'una donna,
la Circe tirannica dagli insidiosi profumi.

Per non esser mutati in bestie, s'inebriano
d'aria e di luce e di cieli infuocati;
il gelo che morde e i soli che abbronzano,
lentamente cancellano la traccia dei baci.

Ma viaggiatori veri son quelli che partono
solo per partire; cuor leggero, simile
a un palloncino, mai dal proprio fato deviano,
e dicono: "andiamo!" ma il perché lo ignorano.

Son quelli con desideri a forma di nuvole,
e sognano, come con il cannone fa la recluta,
dei piaceri vasti, sconosciuti, mutevoli,
dal nome ignoto da sempre all'umano spirito!

(da I fiori del male, 1857)


“La carta geografica, insomma, anche se statica, presuppone un’idea narrativa, è concepita in funzione d’un itinerario, è un’Odissea”. Così scriveva Italo Calvino nel 1980 su Repubblica, nell’articolo intitolato “Il viandante nella mappa”, poi raccolto in Collezione di sabbia.

È lì che comincia il viaggio, da quella pianificazione sulla carta, dal momento in cui la spieghiamo su un tavolo abbastanza ampio e cominciamo a familiarizzare con i nomi, a seguire strade e fiumi, a orizzontarci, a scoprire luoghi da visitare. Il viaggio è già tutto lì, in quella ipotesi, in quel dire “Qui dobbiamo assolutamente andare” o “Questo è un edificio da visitare”. Già l’itinerario si costruisce, i toponimi si insinuano nella mente, spilli invisibili si puntano su quella mappa.

Per noi, in quel momento, è come se la carta geografica fosse in scala 1:1, come nel racconto di Borges la mappa di carta si sovrapponeva perfettamente all’Impero cinese. Siamo i viaggiatori e ci trastulla quel passatempo infantile. Siamo i sognatori che, senza muoversi da quell’ampio tavolo dove abbiamo posato la carta, già volano a inseguire la meta, leggeri come un palloncino.




Edward Brewtnall, "The Honeymooners"



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LA FRASE DEL GIORNO
Travel (viaggio) deriva da travail: "lavoro fisico o mentale", "fatica soprattutto di carattere doloroso o opprimente" "sforzo", "pena", "travaglio". Un "cammino".
BRUCE CHATWIN, Le Vie dei Canti




Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 - 31 agosto 1867), poeta francese, considerato il padre del Simbolismo. Dopo un viaggio in Oriente, trascorse quasi tutta la vita a Parigi in un alternanza di droghe, alcool, disordini e aspirazioni ideali. La sua poesia verte sull'uomo, le sue cadute e i suoi tentativi di rialzarsi tra spleen e ideale.


mercoledì 30 luglio 2008

Adriano al British Museum


Umanista, fanatico della cultura greca, arrivato al potere a 41 anni da una classe dirigente originaria della Spagna, diventata ricca e autorevole grazie all’olio d’oliva.
È il ritratto di Adriano, che succede al padre adottivo Traiano nel 117 d.C. trovandosi a capo di un impero troppo vasto, reso più fragile da questa sua enormità, oggetto di rivolte nei luoghi più disparati. La sua prima decisione è il ritiro delle truppe dalla Mesopotamia, dall’Armenia e dall’Abissinia, così da rinsaldare le frontiere e ricompattare l’esercito. Inoltre fa erigere un imponente vallo a dividere la Scozia barbara dall’Inghilterra romana: i muri di Berlino, Cipro e Israele gli devono dunque qualcosa…

Il British Museum dedica all’imperatore una notevole mostra, che prende avvio da una colossale testa di Adriano, la barba riccioluta, la fronte alta e lo sguardo sicuro: una statua ritrovata solo un anno fa in Turchia. Busti e statue accompagnano marmi, bronzi, monete, tesori archeologici e tavolette manoscritte: un totale di 180 oggetti prestati da 31 musei del mondo.
Un’esposizione molto attuale, dice il curatore Neil Mac Gregor: “Studiare l’epoca di Adriano significa anche porsi la questione delle frontiere dell’Europa, dimostrare che la loro definizione è politica e non geografica. L’Europa di Adriano ingloba la Turchia e il Maghreb. Che Europa vogliamo oggi: quella di Adriano o quella di Carlomagno, limitata al nord-ovest?”

Thorsten Opper, conservatore delle antichità greche e romane al British Museum, spiega lo scopo della mostra: “Vuole rendere la sua personalità significativa per la nostra epoca mostrando tutte le sfaccettature del suo regno: la grande forza civilizzatrice, ma anche l’imperialismo brutale.” Prosegue Opper: “Adriano ha lasciato grandi monumenti in quasi tutte le città e ne ha fondate di nuove. La sua eredità è considerevole.”

Mac Gregor invece analizza la visione di Adriano che aveva Marguerite Yourcenar: era il leader politico che necessitava all’Europa uscita dalla seconda guerra mondiale, all’epoca in cui la scrittrice francese pubblicò “Memorie di Adriano". Un pacificatore fermo nell’esercizio del potere, ma capace di mostrare i suoi sentimenti amorosi. “In realtà” dice Mac Gregor “la sicurezza dell’impero ha un costo, pagato dagli individui. Adriano era più complesso della sua immagine di imperatore filosofo. Molte scoperte recenti mostrano che era un condottiero di grande brutalità, che eliminava i suoi rivali con ferocia e che domava le ribellioni nel sangue”. Come dargli torto? I seicentomila ebrei trucidati nella rivolta di Simon Bar Kokhba in Israele sono testimoniati anche in questa mostra.




"Hadrian, Empire and Conflict"
British Museum, Great Russell Street, Londra

Fino al 26 ottobre
Tutti i giorni dalle 10 alle 17.30. Ingresso 12 sterline (circa 16 €)
http://www.britishmuseum.org/





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LA FRASE DEL GIORNO
Per un uomo di gusto, l'ostacolo più grave consiste nel fatto di occupare una posizione preminente, che implica ineluttabilmente il rischio dell’adulazione e della menzogna.
MARGUERITE YOURCENAR, Memorie di Adriano

martedì 29 luglio 2008

Divisionisti italiani a Londra


Il Divisionismo è un movimento pittorico che prende l’avvio dalle ultime esperienze del Neo-impressionismo francese di Seurat e si sviluppa im Europa tra il 1885 e il 1910. Prende il nome da quella tecnica che consiste nella scomposizione di un tono nei fattori coloristici complementari e nella stesura a piccole pennellate di colori puri che, osservati da una certa distanza, ricostituiscono l’unità del tono originario. Un po’ come per il Pointillisme francese.

L’affermazione del movimento, che apportava una grande novità tecnica nel mondo dell’arte, si ebbe alla prima Triennale di Brera a Milano nel 1891. Giovanni Segantini, considerato il caposcuola del movimento, in realtà ne applicò le teorie solo in parte: il vero fondatore fu Vittore Grubicy de Dragon.

La National Gallery di Londra propone, fino al 7 settembre 2008, “Radical Light: Italy’s Divisionists Painters 1891-1910”, una mostra che raccoglie opere di aristi noti come Segantini e Pellizza da Volpedo, dei Futuristi Balla, Carrà e Boccioni, e di Divisionisti puri e poco noti come lo stesso Grubicy de Dragon, Gaetano Previati, Plinio Nomellini, e Ettore Sottocornola.

Nella società contemporanea questi pittori meritano un approfondimento: il loro mondo era quello delle grandi evoluzioni tecniche, delle società industriali in espansione, delle città che si ingrandivano in un periodo senza guerre. Riuscirono così a stabilire una relazione tra la modernità urbana e quella artistica, rappresentando l’una per mezzo dell’altra.

Comune a tutti loro è il senso della luce, che appare soprattutto evidente nei paesaggi di montagna di Segantini, ma che risalta anche nelle composizioni di Pellizza da Volpedo.

Le sessanta tele sono esposte nella Sansbury Wing, con ingresso da Trafalgar Square, apertura giornaliera dalle 10 alle 18 e biglietto a 8 sterline (10,15 €).


Giovanni Segantini, "Ritorno dai boschi", 1890

© Segantini Museum, St Moritz

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LA FRASE DEL GIORNO
L'arte non imita, interpreta.
CARLO DOSSI, Note azzurre, n. 5418

lunedì 28 luglio 2008

La cosa più dolce


ASCLEPIADE

LA COSA PIÙ DOLCE


È dolce nell'arsura dell'estate
portarsi al labbro un poco di neve;
e quando l'inverno declina
ai marinai è dolce rivedere
la Corona che annunzia primavera.
Ma la cosa più dolce, se un lenzuolo
copre due innamorati
e i loro cuori esaltano Afrodite.


Questo bel giro di stagioni è un epigramma del greco Asclepiade, vissuto nel III secolo a.C.
Nato a Samo, di lui ci restano quarantacinque poesie conservate nell’Antologia Palatina, alcune di autenticità alquanto dubbia. Qui esprime tutta quanta la sua filosofia di vita, una gioiosa ricerca dell’amore e del convito, quali unici beni capaci di squarciare la noia dell’esistenza.

Così la neve è un lusso nei caldi pomeriggi d’estate - era conservata nelle fresche caverne che erano i frigoriferi dell’antichità. Scorgere la costellazione della primavera è invece un piacere alla portata di tutti, in primis dei marinai che escono in mare e ritrovano il periodo propizio alla pesca e alla navigazione. Il massimo dei piaceri, lo stato da prediligere è, comunque e sempre, per Asclepiade l’amore, e non solo quello fisico che qui invoca.



Dioniso e Arianna in una replica di cottabo greco



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LA FRASE DEL GIORNO
Ad entrambi gli utenti l'amore pare una versione perfettamente soddisfacente dell'infinito.
JOSÉ DONOSO, La misteriosa scomparsa della marchesa di Loria




Asclepiade 
(Samo, tra la fine del V i primi decennî del III secolo a. C.), poeta greco antico. Temperamento essenzialmente lirico, portato a cantare il vino e l'amore, cercò di rinverdire la tradizione della poesia lirica eolica di Alceo e di Saffo. Due metri lirici, già usati dai poeti di Lesbo e da lui rimessi in voga, ebbero perciò il nome di Asclepiadei.

domenica 27 luglio 2008

Il libro più caro del mondo


Il libro più caro del mondo costa 153 milioni di euro. Si intitola “Die Aufgabe” e consta solo di tredici pagine scritte, nelle quali risponde alle grandi domande dell’umanità.
Il suo autore è il tedesco Tomas Alexander Hartmann e lo presenterà a Dubai nel marzo 2009.

Il prezzo del libro è considerato il più alto della storia. Hartmann lo giustifica con il contenuto, dice di aver risolto in meno di trecento frasi le tre più grandi questioni che l’uomo si pone: Da dove veniamo? Dove andiamo? Qual è il nostro compito?

“L’alto prezzo di un libro” dice “si deve alla sua prospettiva così profonda, che fa sì che il valore del libro sia incalcolabile”. Sarà. Per ora passa non solo da visionario, ma anche da presuntuoso.

La copia sarà scritta nella lingua del compratore-nababbo ed il testo potrà essere facilmente tradotto in altri centocinquanta idiomi grazie all’uso di una speciale tecnica. L’opera sarà inserita in una copertina d’oro fino e tutti i diritti di licenza saranno assegnati al compratore.

Continuo a preferire i tascabili…


Foto: Presseportal


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LA FRASE DEL GIORNO
I confini dell'anima vai e non li trovi, anche a percorrere tutte le strade: così profondo è il discorso che essa comporta.
ERACLITO, Frammenti

sabato 26 luglio 2008

L’utopia di Adolf


Hitler aveva un sogno: trasformare Berlino nella più grande megalopoli del mondo entro il 1950. Assoldò un manipolo di architetti agli ordini di Albert Speer per realizzarne il futuristico piano urbanistico. Quella città avrebbe dovuto anche cambiare nome: avrebbe assunto la denominazione latina del paese, “Germania”.

Per la prima volta il Museo di Architettura dell’Università Tecnica della capitale tedesca espone i disegni satirici intorno al progetto, realizzati da Hans Stephen, uno degli artefici mancati di quella città che avrebbe dovuto rispecchiare la grandezza del Reich. Tra il 1937 e il 1942 l’urbanista disegnò oscuri scenari cittadini, con vasti viali a cinquanta corsie dove i pedoni apparivano intimoriti; altri omuncoli scalavano montagne di macerie mentre un canyon sventrava il viale principale.
A distanza di anni si può dire che Stephen fu profetico, ma furono le bombe alleate a mettere in pratica i suoi disegni. Il progetto “Germania” non uscì mai dalla cerchia degli architetti.

“Non si sa nulla con sicurezza, però credo che non sarebbe uscito nulla di buono se fosse giunto alle orecchie di Hitler” dice il curatore Hans-Dieter Nägelke. Certo, il Reich non avrebbe tollerato la satira e i disegni rimasero ben nascosti fino al 1950. Non è noto perché il progetto sia stato accantonato: non per la piega della guerra, perché nel 1942 le forze dell’Asse apparivano ancora forti; forse per quella velata ostilità al regime o per l’ilarità suscitata in alcuni collaboratori.
Patrick Golenia, un altro responsabile della mostra, ricorda che “Si trattava di costruire, all’improvviso, una città completamente nuova. Per un architetto è molto interessante poter fare una cosa simile”. Al centro della città doveva sorgere il “Grande Padiglione”, alto 290 metri, la cui cupola doveva sostenere un’aquila, simbolo della forza del Reich, appoggiata sul globo terrestre a rappresentare la megalomania del Führer.

Furono comunque le sorti della guerra a bloccare definitivamente l’idea: l’unico edificio del progetto “Germania” realizzato fu la Cancelleria, eretta in pochi mesi e spazzata via in poche ore dalle bombe degli Alleati.

IL PROGETTO “GERMANIA”




LA MOSTRA

Fröhliche Neugestaltung. Albert Speers Generalbebauungsplan im Spiegel satirischer Zeichnungen seines Mitarbeiters Hans Stephan

Berlino, Architekturmuseum der Technische Universität
Straße des 17. Juni. 150/152
dal 14 luglio al 19 ottobre 2008
dal lunedì al giovedì, 12.00-16-00


La Volkshalle




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LA FRASE DEL GIORNO
Di solito sono le origini del nuovo quello che il nostro spirito cerca nel passato.
JOHANN HUIZINGA, L'autunno del Medioevo

venerdì 25 luglio 2008

Il 25 luglio 1943


Il 25 luglio 1943 era una calda domenica d'estate. Ma la sera, sul tardi, alle 22.45, la radio lanciò quella data nella storia d'Italia: annunciò che il Duce Benito Mussolini si era dimesso e che Badoglio aveva assunto le funzioni di capo del governo. Il Fascismo era crollato. Le piazze e le strade si riempirono di gente festante con cartelli e tricolori con lo stemma sabaudo. L'indomani avrebbero festeggiato ancora, riversandosi di nuovo nelle vie, avrebbero preso a martellate i fasci littori incisi nel marmo dei palazzi, staccato le teste di Mussolini dalle statue, bruciato i gagliardetti neri, formato quegli "assembramenti" tanto osteggiati dal regime, ascoltato Radio Londra a finestre spalancate.

Ma quel 25 luglio, politicamente, fu un giorno lunghissimo: sul far della notte del 24 si era riunito per la prima volta dall'inizio della guerra il Gran Consiglio, su iniziativa di un gruppo di gerarchi. Mussolini aveva aderito annoiato alla proposta, non intuì che si giocava il suo destino o forse si riteneva in grado di fronteggiare comunque la rivolta che si trasformò invece in colpo di stato. L'ordine del giorno presentato dal ministro Dino Grandi venne approvato con 19 voti: metteva in discussione la figura stessa del Duce, le sue capacità di condottiero militare.
Mussolini chiese un incontro con Vittorio Emanuele III, convinto di riuscire a cavarsela con un rimpasto e con la restituzione della delega per il comando delle Forze Armate. Invece il re lo gelò: "Mi dispiace, mi dispiace, ma la soluzione non poteva essere diversa" gli disse senza lasciarlo quasi parlare. Poco dopo davanti al monarca si presentò il Maresciallo d'Italia Badoglio: ricevette l'incarico di formare il nuovo governo e il compito di mantenere l'ordine pubblico. Fu il primo e unico militare presidente del Consiglio nella storia d'Italia.

Mussolini, all'uscita da Villa Savoia, venne arrestato. Il regime non ebbe alcun segno di reazione: sembrava un otre da cui fosse uscita tutta l'aria. Sporadici furono gli esempi di devozione cieca: il suicidio del direttore dell'Agenzia Stefani, la voce del regime; le parole di sostegno del comandante della Milizia, costretto però a dimettersi due giorni dopo. Sembrò che la classe che aveva sostenuto il Fascismo avesse interpretato quel 25 luglio come un intervento chirurgico necessario per la sopravvivenza del paese.




Il giorno successivo, lunedì 26 luglio, i giornali uscirono con titoli a nove colonne e l'assenza dell'indicazione dell'era fascista nella data. In poche ore cambiarono tutti i direttori. Ma, passato il giubilo della prima ora, il paese si trovò nuovamente a fare i conti con la sua disastrata situazione economica: "L'acqua tuttora manca o difetta e manca del tutto in località sinistrate, come a San Lorenzo" scriveva "Il popolo di Roma", diretto da Corrado Alvaro.

La fine della guerra era ancora lontana: l'8 settembre avrebbe sconvolto nuovamente gli scenari e una dolorosa guerra civile si palesava dietro l'angolo.



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LA FRASE DEL GIORNO

La principale lezione della storia è che fatti chiarissimi per i posteri sono ignorati da chi si trova a vivere.
CARLO CASSOLA, La lezione della storia

giovedì 24 luglio 2008

La vittoria di Dorando Pietri


Johnny Hayes. È il nome del vincitore della gara di maratona alle quarte Olimpiadi moderne. “Per ogni mille persone che conoscono il nome di Dorando, forse nemmeno una sarà in grado di dire chi fu il vincitore ufficiale della Maratona di Londra" ebbe a dire Harold Abrahams, il campione dei 100 metri alle Olimpiadi di Parigi del 1924, a cui venne dedicato il film “Momenti di gloria”.

Se pensiamo a quelle lontane Olimpiadi di Londra, a quella gara svoltasi il 24 luglio del 1908, esattamente cento anni fa, una sola immagine ci viene in mente: quella di un uomo baffuto con la camicia bianca e dei lunghi pantaloncini scuri, con un fazzolettone bianco in testa, barcollante, esausto, che taglia il traguardo aiutato da due uomini negli ultimissimi metri. È lui il vero vincitore, è Dorando Pietri.
Le Olimpiadi erano appena agli albori: non avevano un grande passato alle spalle, ma quell'evento colpì tutto il mondo, tanto da essere considerato l’episodio più celebre nella storia dei Giochi ancora adesso che a Pechino (non a Beijing come spesso si sente dire) si disputa la ventinovesima edizione.

"Io non sono il vincitore della maratona. Invece, come dicono gli inglesi, io sono colui che ha vinto ed ha perso la vittoria" scrisse il 30 luglio 1908 sul Corriere della Sera lo stesso Dorando Pietri. Forse quel piccolo ventitreenne di Carpi, garzone di pasticceria, aveva capito che entrava nella storia: se avesse vinto e basta, sarebbe stato uno dei tanti, come Johnny Hayes, arrivato con nove minuti di ritardo, che “vinse” solo grazie al reclamo presentato dalla federazione statunitense. Invece la sua vittoria era molto più grande, andava al di là di tutte le ingiustizie e di tutte le prepotenze, lo portava direttamente nel mito e nella leggenda, lo consegnava all’empireo sportivo.

Era una vicenda molto commovente. Il Daily Mail scrisse: “La grande impresa dell'italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici". Arthur Conan Doyle, lo scrittore “padre” di Sherlock Holmes, diede il via a una raccolta di denaro per premiare Dorando Pietri e consentirgli di aprire una panetteria; Irving Berlin gli dedicò una canzone, “Dorando”; la regina Alessandra gli donò una coppa d‘argento.

Ma i soldi arrivarono a Dorando dalla tournée negli Stati Uniti e in Sudamerica: nel novembre 1908 batté Hayes nella maratona di rivincita organizzata al Madison Square Garden di New York, e lo ribatté nel 1909. Nel 1911, a soli 26 anni, si ritirò: in tre anni di professionismo, partecipando a 46 gare aveva guadagnato premi per 200.000 lire. Non aprì una panetteria, come aveva pensato Conan Doyle, ma un hotel, che non riuscì a gestire.

Fotografie di pubblico dominio




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LA FRASE DEL GIORNO
Mito è infatti fondazione di vita, è lo schema senza tempo, la formula religiosa in cui la vita, dopo aver attinto dall'inconscio i tratti del mito e averli riprodotti, confluisce.
THOMAS MANN, Giuseppe e i suoi fratelli

mercoledì 23 luglio 2008

Centenario di Elio Vittorini


Io penso che sia molta umiltà essere scrittore. Lo vedo come fu in mio padre, ch'era maniscalco e scriveva tragedie, e non considerava il suo scrivere tragedie di più del ferrare cavalli. Anzi, quando era a ferrare cavalli, mai accettava che gli dicessero: "Non così, ma così. Tu hai sbagliato". Guardava coi suoi occhi azzurri, e sorrideva o rideva; scuoteva il capo. Ma quando scriveva dava ragione ad ognuno per qualunque cosa. Ascoltava quello che chiunque gli diceva, e non scuoteva il capo, dava ragione. Era molto umile nel suo scrivere; diceva di prenderlo da tutti; e cercava, per amore del suo scrivere, di essere umile in ogni cosa: prendere da tutti in ogni cosa.
Dalla prima edizione di "Uomini e no" (1945)

Elio Vittorini
, l’autore di “Uomini e no” e “Conversazione in Sicilia”, nasceva a Siracusa cento anni fa, il 23 luglio 1908. Suo padre non era maniscalco, come per la voce narrante di “Uomini e no”, ma ferroviere. Grazie ai suoi biglietti scappò di casa ben tre volte tra i tredici e i diciassette anni interrompendo gli studi di ragioneria.
Forse era già allora preda di quel tumulto di rinnovamento che lo portò nel dopoguerra a diffondere la letteratura americana, a fondare le riviste “Il Politecnico” e “Il Menabò”, diretto insieme a Italo Calvino, a lanciare scrittori e memorialisti per le collane “I Gettoni” di Einaudi, “Medusa” di Mondadori e “Corona “ di Bompiani. Fu lui a far conoscere Mario Rigoni Stern e Marguerite Duras, ma stroncò “Il gattopardo” quando capitò sotto le sue mani di direttore editoriale.

Quel suo continuo cercare la verità lo portò, come rigetto al Ventennio fascista che lo vide anche in arresto nel 1943, all’iscrizione al PCI e alla direzione dell’Unità. Ma subito ne scoprì il lato oscuro, intavolò un’aspra polemica con Togliatti: "Rivoluzionario è lo scrittore che riesce a porre attraverso la sua opera esigenze rivoluzionarie diverse da quelle che la politica pone; esigenze interne, segrete, recondite dell'uomo ch'egli soltanto sa scorgere nell'uomo".
Nel 1951 abbandonò il partito e nel 1956 scrisse pagine accorate sulla rivoluzione d’Ungheria che soffocava nel sangue la democrazia.

Era scrittore non molto prolifico, Vittorini: questo probabilmente anche per lo stile, che coniugava la cronaca e la poesia, che mediava tra un tono realistico ed uno più lirico, favolistico.
Nella prefazione a "Il garofano rosso" scriveva:

Io non ho mai aspirato "ai" libri; aspiro "al" libro; scrivo perché credo in "una" verità da dire; e se torno a scrivere non è perché mi accorga di "altre" verità che si possono aggiungere, dire "in più", dire "inoltre", ma perché qualcosa che continua a mutare nella verità mi sembra esigere che non si smetta mai di ricominciare a dirla.

Questa “scoperta”, questa trasfigurazione allusiva della realtà è costante nella sua opera, già da “Il garofano rosso”, e via via prosegue in “Conversazione in Sicilia” e in “Uomini e no”. Sul finire degli Anni Trenta Vittorini dichiarò di dividere in due categorie gli scrittori: quelli che fanno pensare, leggendoli, che “Ecco, è proprio vero” e quelli che fanno pensare “Perdio, mai avrei supposto che potesse essere così”.
Elio Vittorini appartiene senza dubbio a questo secondo genere: non si limita a confermare che la realtà è davvero come la si vede, ma la definisce, ne rivela gli aspetti sotterranei, i reconditi collegamenti, tanto che poi ci si stupisce di non averli colti.


Elio Vittorini (a sinistra) con Eugenio Montale - Pubblico dominio



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LA FRASE DEL GIORNO
Dietro ogni libro c'è un uomo. Un uomo che ha dovuto pensarli. Un uomo cui è occorso molto tempo per scriverli, per buttar giù tante parole sulla carta.
RAY BRADBURY, Fahrenheit 451




Elio Vittorini (Siracusa, 23 luglio 1908 – Milano, 12 febbraio 1966), scrittore, traduttore, critico letterario e curatore editoriale italiano. Autore di eccezionali romanzi del neorealismo italiano che rispecchiano l'esperienza del fascismo e le sofferenze sociali, politiche e spirituali dell’uomo del XX secolo.


martedì 22 luglio 2008

La poesia “cattiva”



ARCHILOCO

LUNGAMENTE SBATTUTO DAI MAROSI


Lungamente travolto dai marosi
tu sia sbattuto contro Salmidesso,
nudo, di notte, mentre in noi fa quiete.
E spossato, con ansia della riva,
tu rimanga a ciglio del frangente,
nel freddo, stridendo i denti,
come un cane, riverso sulla bocca;
ed il flusso continuo delle acque
ti copra fitto d’alghe.
Così ti prendano i Traci, che in alto
annodate portano le chiome,
e con loro tu nutra molti mali
mangiando il pane dello schiavo.
Questo vorrei vedere che tu soffra,
tu che m’eri amico un tempo
e poi mi camminasti sopra il cuore.




MARZIALE 

EPIGRAMMI, II, 38


Cosa mi frutti il podere nomentano mi chiedi tu, o Lino?
Che stando là non ti vedo: questo mi frutta, o Lino.



CECCO ANGIOLIERI

S'I' FOSSE FOCO


S’i’ fosse foco, arderéi ’l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil'en profondo;

s’i’ fosse papa, sere' allor giocondo,
ché tutti cristiani imbrigherei;
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre.

S’i’ fosse Cecco com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui.



Per poesia “cattiva” qui non si intende quella di scarsa qualità, ma quella che convoglia i suoi canoni emotivi ed estetici in una direzione violenta ed ingiurosa, fino ad augurare il male. È l’invettiva, aspra, pungente, spesso oltraggiosa, talora sferzante. Quando fa uso dell’ironia ne esce addirittura nobilitata. È un genere frequentato dall’antichità, come dimostrano i versi di Archiloco, rivolti ad un amico che lo ha tradito: gli augura di naufragare e di riuscire sì a salvarsi dai marosi ma solo per essere catturato dai Traci e di servire sotto loro come schiavo, così da soffrire per ripagare il male fatto al poeta. Marziale, poeta latino, colpisce con lo stiletto acuminato dell'epigramma. E Cecco Angiolieri, nel Duecento, coltiva la sua rabbia realizzando un beffardo controcanto alla dolcezza dello Stil Novo.



Steve Basham, "Cane pazzo"



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LA FRASE DEL GIORNO
Un uomo non può dire «Io comporrò poesia». Perfino il più grande poeta non può dirlo: infatti la mente che crea è come un carbone semispento che qualche influenza invisibile, come vento incostante, ridesta a momentaneo splendore.
PERCY BYSSHE SHELLEY, Difesa della poesia




Archiloco (Paro, 680 a.C. circa – 645 a.C. circa), poeta greco, è considerato il primo grande lirico. Si guadagnò da vivere facendo il mercenario e la leggenda narra che morì in combattimento nella guerra contro Nasso. È celebre per il suo uso versatile e innovativo della metrica ed è il primo autore a usare il tema delle proprie emozioni ed esperienze.


Marco Valerio Marziale (Augusta Bilbilis, oggi Calatayud, Spagna, 1º marzo 38 o 41 – 104), poeta romano, ritenuto il più importante epigrammista in lingua latina. Maestro nel colpire in frasi incisive una situazione ridicola o un vizio ripugnante, diede all'epigramma quel sapore di componimento adatto all'allusione, al ritratto, al cogliere un attimo di vita reale.


Francesco Angiolieri, detto Cecco (Siena, 1260 circa – 1310/1313), poeta e scrittore italiano. Dalla sua breve opera emerge una figura di poeta empio e triste. È il più forte e il più personale tra i nostri lirici comici del Duecento e del Trecento, con voce tagliente e impetuosa.


lunedì 21 luglio 2008

Cos'è la poesia? (IV)


RAFFAELE CARRIERI

LA POESIA


La Poesia non è pazienza
E non è impazienza.
La Poesia non è scrivania
E tanto meno carta.
La Poesia è Speranza.
Amata o disamata
Produce gelo fuoco
E un certo vuoto
Nel quale uno si riconosce
E un altro fugge.
La Poesia non è lana
Per la testa fredda
E solo riscalda
La mano aperta.
La Poesia è un ponte
Che sta per cadere
E mai non cade.
La Poesia è in alto
E anche in basso
Dove crescono semi
Fiumi e vermi.

Ancora una riflessione su cosa in realtà sia la poesia. Finora ho raccolto un caleidoscopio di impressioni: la poesia è bellezza, è emozione, è ricordo, è speranza, è uno sguardo nell'abisso, è immaginazione, è quello che manca o si aggiunge. Il poeta tarantino Raffaele Carrieri, che veste spesso di ironia i suoi versi, riassume tutto ciò in questa lirica del 1963 inserita in "La giornata è finita": la poesia è un intreccio di sensazioni e spesso non è dove ci immagineremmo di trovarla. Non basta a fare poesia una bella scrivania, un bel foglio di carta, una bella penna: i versi nascono anche a matita sul retro di biglietti della metropolitana, su margini di fogli di giornale strappati (il famoso tascapane di Ungaretti), su vecchie cartoline. È un gomitolo di contrasti: nasce dalla gioia e dal dolore, dal bene e dal male, dal caldo e dal freddo, dal sublime e dall'infimo. "La mia musa è una bestia / Da terra bruciata" dice Carrieri. Ma anche "Questo mucchietto di cenere / In mezzo alla foschia / Sono io; e l'erba che sopra / Vi cresce, ancora verde, / La mia poesia".

È ben salda la poesia, in questa sua flessibilità: se anche non è dove la cerchiamo, sarà lei a venirci a trovare, scrivere a comando non è possibile. Cogliere il suo effimero fiorire è compito del poeta: "Da lontano viene poesia / E all'acqua somiglia. / Nel fuggire la valle / Dell'ansia / Breve vita l'attende / Quando rotta cade / Nel debole bicchiere."





Fotografia da Pixabay



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LA FRASE DEL GIORNO
Poesia è l'impossibile fatto possibile.
FEDERICO GARCÍA LORCA, Alle poesie complete di Antonio Machado




Raffaele Carrieri (Taranto, 23 febbraio 1905 – Pietrasanta, 14 settembre 1984), scrittore e poeta italiano. A quattordici anni abbandonò la città natale e viaggiò imbarcandosi come marinaio su bastimenti mercantili. Tornato in Italia fu per due anni gabelliere a Palermo. ”La mia poesia è tutta autobiografica; ispirata a fatti realmente accaduti, a viaggi, a soggiorni in paesi stranieri” scrisse di sé.


domenica 20 luglio 2008

La poesia degli indici


Analogamente alla poesia dorsale di cui si è visto ieri, esiste una "poesia degli indici": titoli di poesie o capoversi che vanno affiancandosi formando nuove poesie appunto negli elenchi alla fine del volume o in certi casi nei sommari all'inizio di essi.

Questa è la voce dedicata a Gustavo Adolfo Bécquer in "Capolavori della poesia romantica" nei Grandi Classici Mondadori:

Come la brezza che pervade il sangue
Negli atomi invisibili dell'aria
Io sono ardente, io sono bruna
La tua pupilla è azzurra e quando ridi
M'ha ferito insidiandomi nell'ombra
Torneranno le brune rondinelle
Com'è bello vedere il giorno

Basta mettere un punto dopo il terzo verso e uno dopo il quinto e il gioco è fatto.

Un altro esempio dalla stessa antologia: il riferimento al poeta tedesco Clemens Brentano:

Soffiano a sera gli aliti di vento
Parla da lungi
Caro mirto sussurra
Non odi come le fonti mormorano
Ahimè, tutto passa e trascorre
Tu
25 agosto 1817

Oppure la sezione "Visibile, invisibile" nella raccolta "La terra impareggiabile" di Salvatore Quasimodo:

Visibile, invisibile
La terra impareggiabile
Oggi ventuno marzo
Dalla natura deforme
Un arco aperto
Un'anfora di rame
Al padre
Le arche scaligere
Un gesto o un nome dello spirito

Questi sono esempi di vera "poesia automatica", meccanicamente composta: non c'è il tocco del poeta che mette in relazione i titoli dei libri nella poesia dorsale. La poesia degli indici si crea da sé...




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LA FRASE DEL GIORNO
Il caso è lo pseudonimo di Dio quando non vuole firmare.
ANATOLE FRANCE, Il giardino di Epicuro

sabato 19 luglio 2008

Poesia dorsale


Nelle nostre biblioteche dormono poesie inconsapevoli: sono formate dai titoli dei libri. Il gioco della poesia dorsale nasce guardando i volumi nelle loro disparate forme e colori. Si prende un volume, lo si associa a un altro e via così: nasce una poesia mettendo uno sopra l’altro fisicamente i libri. Il grafico Stefano Belloni, con la giornalista Antonella Ottolina, ne ha realizzate un centinaio. “Alla prima versione convincente” spiega “subito uno scatto. Resterà l’unica traccia della propria creazione”.

Di foto in foto hanno realizzato una mostra, aperta fino al 31 luglio alla Libreria Archivi del ‘900 di Milano in Via Montevideo, 9, nella zona del Parco Solari.

Questa una delle opere in mostra:

Come pensano gli uomini sulla bellezza
è tutta una finzione.
Ciascuno è perfetto
per amarsi un po’


Il record assoluto appartiene a una poesia composta da 78 titoli di libri, per un’altezza di un metro e settanta, che è stata esposta in primavera alla Fiera del Libro di Torino.

“Prendete un giornale. Prendete le forbici. Scegliete nel giornale un articolo della lunghezza che desiderate per la vostra poesia. Ritagliate l'articolo. Ritagliate poi accuratamente ognuna delle parole che compongono l'articolo e mettetele in un sacco. Agitate delicatamente. Tirate poi fuori un ritaglio dopo l'altro dispondendoli nell'ordine in cui sono usciti dal sacco. Copiate scrupolosamente. La poesia vi somiglierà. Ed eccovi divenuto uno scrittore infinitamente originale e di squisita sensibilità, benché incompresa dal volgo”. Così recita il manifesto dadaista di Tristan Tzara, apparso sul finire della Prima Guerra Mondiale.

Alla fine, anche per la “poesia dorsale” si tratta di un’operazione di tipo dadaista. La differenza è nell’inventiva dell’autore, che soverchia il caso inserendovi qualcosa di suo, che sia emozione, tecnica o esperienza.

Ho voluto cimentarmi anch’io con la poesia dorsale: ho preso qualche libro tra gli scaffali di casa e il risultato, aggiunta la punteggiatura, è questo:

O corpo sospiroso
Non ti muovere.
La vita è altrove,
La grande illusione
Nel progetto di un freddo perenne.
Niente per caso:
Il colore di Dio
Quasi una vicenda.





IL SITO

http://www.poesiadorsale.it/home_page_2.html

È possibile partecipare a un concorso componendo una poesia con alcuni tra i 150 titoli a disposizione. Le migliori cinque saranno esposte al Festival di Urbino "Parole in gioco" che si terrà dal 10 al 12 ottobre 2008.




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LA FRASE DEL GIORNO
Forse la poesia è tutta lì. Fare l'universo con niente.
MILO DE ANGELIS

venerdì 18 luglio 2008

Alberico Sala


Un'intimità sensibile e sofferta è alla base della poesia di Alberico Sala, poeta bergamasco (Vailate, Cremona 1923-1991), che fu critico letterario, artistico e cinematografico per l'Eco di Bergamo e il Corriere d'Informazione. Dopo la guerra, tra il 1945 e il 1955, Sala sviluppò i suoi temi di viva memoria, esprimendo un linguaggio chiaro che già superava l'ermetismo in una direzione quasi prosastica. Ne nacque una poesia impregnata di realismo sì, ma anche capace di raccontare compiutamente, sebbene con pudore e timidezza, i sentimenti: i giorni dell'adolescenza, il ricordo del padre e della madre, la vita familiare nella pianura bergamasca. La prima sua raccolta è “Epigrafi e canti”, del 1957.

Qui spicca un legame forte con la terra, con la pianura ghiaiosa che si estende fra tre grandi fiumi lombardi: nelle prose del “Nido di ghiaia” il poeta afferma “...La mia Bassa, adacquata dall’Adda, dal Serio, dall’Oglio, sempre più si riappropria i miei giorni, muta in lusinghe i disagi, in doni le assenze. Il silenzio delle contrade, appena sfiorate dal benessere, dai ponti dell’effimero, non isola, riattiva i contatti naturali, riporta le stagioni; la nebbia non confonde, ma raccoglie. È la mia terra, che non ho mai barattato con la carta. Anzi, neppure terra, ma ‘gera’, cioè ghiaia, proprio dell’Adda, fiume erratico, vagabondo nei secoli, per la forza delle piene e del vento...”.

Più avanti Sala innesta altri temi profondi: la città e la condizione del vivere nella vita moderna, dimostrandosi così attento a cogliere i mutamenti di costume nella società opulenta degli Anni '60. La memoria però ritorna a quella terra natale tanto amata: non è così distante dalla città, ma enormemente lontana nel ricordo, nello scorrere del tempo “...Inseguo, tra i fogli colorati, archi, campanili, portici, finestrelle, portali, fontanili, rive d’alberi, absidi e giardini, torri, merli, ponti, balconi, viali, cancellate, rive, case, cappelle, santuari, statue e croci, campane sciolte nel vento, greti, ghiaia, gera, la Geradadda. Ci si può perdere nel mare d’erba, fra tanti richiami e tentazioni, fra dimore e paesi, che attraverso per gli spostamenti della vita o che ricordo e frequento solo con la memoria; che cerco, ogni tanto, per privatissime ragioni; o che sogno appoggiandomi a confidenze, o veggenze...”. È il caso di “Sempre più difficile”, opera del 1960.


da "Sempre più difficile", 1960


ERO IN RISERVA
a Dino Buzzati
Ride al distributore la ragazza:
profuma la benzina rossa corallo.
Con il daino lucida i vetri,
e i suoi occhi subito cadono
nella conchiglia dello specchio.
Il padre annusa i cedri sul sedile:
«Dentro son bianchi e grassi come pesci».
Affonda un'unghia la ragazza
nella scorza, e sempre ride riversa.
Così verso la sera d'origano
la Giulietta sprint la porta via. 

Al Sud, 1960

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da "Chi va col lupo, 1975


UN ALTRO MONDO

Sento la pioggia trepida sui tegoli
(i passi il becco del passero errabondo)
della mansarda, il vecchio abbaino dei famigli
spolverato dall'architetto nature. Sarà neve
se il vento rinforzerà dai monti, il lupo
scoprirà un altro mondo. I ragazzi
di maglie e pelo di coniglio l'annunciano
chiassosi lungo il viale. Le pecore ritrovate,
una folata più calda nella nebbia,
nella stalla ruminano quiete,

Dicembre 1971







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LA FRASE DEL GIORNO
Il tempo non è una corda che si può misurare a nodi, il tempo è una superficie obliqua e oscillante che solo la memoria riesce a far muovere e avvicinare.
JOSÉ SARAMAGO, Il Vangelo secondo Gesù




Alberico Sala (Vailate, 11 marzo 1923 - 25 novembre 1991), scrittore, poeta e critico d'arte italiano. Fu giornalista e critico cinematografico all’Eco di BergamoCorriere d’informazione, al Corriere della sera e al Giorno. Tra i suoi temi la vita familiare, la pianura bergamasca e la condizione del vivere moderno.


giovedì 17 luglio 2008

Altre immagini poetiche suggestive


 Ho proseguito la raccolta di immagini poetiche capaci di dare un’emozione, di colpire. Queste vanno aggiunte al post del 10 aprile 2008: Immagini suggestive 

1) Come una randa cade / l'ultimo lembo di sole. 
GIORGIO CAPRONI, Spiaggia di sera 

2) Hai dormito in me, / ed il tuo sonno era distese bionde. 
ALBERTO MONDADORI, Sonno 

3) Si sfila il treno dalla pensilina, / come sangue che svuoti la vena. 
MARIA LUISA SPAZIANI, Si sfila il treno 

4) La sera incendia le fronti, infuria i capelli. 
LEONARDO SINISGALLI, I fanciulli battono le monete rosse 

5) Senza i sogni, incolore campo è il mare. 
GIUSEPPE UNGARETTI, Finale 

6) L'albero bruno è una gallina / che si gonfia con tutte le penne. 
DIEGO VALERI, Anacreontica 

7) Gli errori / macchiano meno dell'acqua / il tuo costume. 
ALBERICO SALA, Ora il vivere 

8) S'aprono come foglie / i giorni, pallidi / come tendaggi. 
VALERIO MAGRELLI, Fenomeni 

9) La cerniera lampo è scivolata sulle tue reni / e il temporale felice del tuo corpo innamorato / nell'ombra fitta / d'improvviso è scoppiato. 
JACQUES PRÉVERT, Sanguinello 

10) Come bianchi fazzoletti d'addio viaggiano le nubi. 
PABLO NERUDA, La mattina è gonfia di tempesta


M.C. ESCHER, "POZZANGHERA"


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LA FRASE DEL GIORNO
Coloro che sognano ad occhi aperti sono consci di molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte. Nelle loro grigie visioni colono frammenti d'eternità e destandosi fremono nell'intimo allo scoprire d'esser stati sulla soglia del gran segreto.
EDGAR ALLAN POE, Racconti, Eleonora

mercoledì 16 luglio 2008

Lo scudo


ARCHILOCO

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Qualcuno dei Sai si vanta del mio scudo, che presso un cespuglio
- arma gloriosa - lasciai non volendo.
Ma salvai la mia vita. Quello scudo, che importa?
Vada in malora. Un altro ne acquisterò, non meno bello.



ANACREONTE

*


Lo scudo ho gettato nell’onde di un fiume che bello scorreva.




Lo scudo era uno degli armamenti fondamentali del soldato nei tempi antichi: faceva da baluardo e da difesa e veniva conservato con cura. Il militare greco era un cittadino chiamato al momento della guerra: lo si denominava oplita, da όπλον, lo scudo, appunto. Solo gli Spartani avevano un esercito a tempo pieno: delegavano agli schiavi iloti e agli artigiani del circondario, i "perieci", ogni altra attività. Il loro valoroso comportamento alle Termopili, dove con soli trecento uomini fermarono l’imponente esercito persiano di Serse prima di esserne travolti per un tradimento, si spiega con questa mentalità guerriera inculcata già ai bambini.

Lo scudo dunque era d’importanza vitale perché, essendo il soldato inserito in una falange, con esso difendeva non solo se stesso, ma anche il compagno alla sua destra.
Gettare lo scudo, come affermano di avere fatto il poeta-soldato Archiloco e il gaudente Anacreonte, veniva considerato dagli eroi omerici e soprattutto dagli Spartani, la più grave infamia che un combattente potesse commettere: non era più un’arma, ma diventava un simbolo, era l’appartenenza a una società.

Archiloco lo priva di questa importanza: ne vede solo l’utilità immediata, l’ingombro nella ritirata, lo abbandona per fuggire e salvarsi. Se gliene servirà un altro, se lo comprerà. Non è spartano: Sparta non ha poeti, solo soldati. È un decaduto nobile di Paro e combatte per vivere: è un mercenario. Questo gesto che sembra antieroico è in realtà solo un atto di sopravvivenza, tanto che Archiloco morirà nella difesa di Taso.

Anacreonte, in questo brevissimo frammento, si mostra più spregiudicato: se Archiloco lo ha deposto in un cespuglio per poterlo magari ritrovare, lui invece lo lascia in balia della corrente. Non gliene può importare di meno di quell’oggetto. Quello che conta nella sua vita sono il vino e l’amore, le chiacchiere davanti a una tazza di quello buono: “Recaci acqua, ragazzo; recaci vino; recaci corone di fiori, ma recali subito… con Eros devo fare pugilato”.
Anche Anacreonte non era spartano, ma veniva da Teo, nella Ionia, ed era esule a Samo, ad Atene e in Tessaglia, dovunque vi fosse una corte regale.


Fotografia © Grant Mitchell/Flickr



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LA FRASE DEL GIORNO
La storia è un succedersi di mutamenti effimeri, mentre i valori eterni si perpetuano al di fuori della storia, sono immutabili e hanno bisogno della memoria.
MILAN KUNDERA, Il libro del riso e dell'oblio




Archiloco (Paro, 680 a.C. circa – 645 a.C. circa), poeta greco, è considerato il primo grande lirico. Si guadagnò da vivere facendo il mercenario e la leggenda narra che morì in combattimento nella guerra contro Nasso. È celebre per il suo uso versatile e innovativo della metrica ed è il primo autore a usare il tema delle proprie emozioni ed esperienze.


martedì 15 luglio 2008

Scrivere il curriculum



WISŁAWA SZYMBORSKA

SCRIVERE IL CURRICULUM

Che cosa è necessario?
È necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
È bene che il curriculum sia breve.

È d'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
E malcerti ricordi in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che, ma senza un perché.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
E ti evitassi
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
E il titolo che il contenuto
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l'orecchio in vista.

È la sua forma che conta, non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.



A tutti è capitato di scrivere il curriculum, di esprimere a parole tutta una vita vissuta in modo che altri ne possano prendere nota, valutare, giudicare le capacità da un esiguo pezzo di carta. Può essere umiliante trovarsi a rileggere le proprie esperienze, oppure appagante. Può essere difficile scriverlo, decidere che cosa inserire o cosa evitare.

Nella burocratica Polonia comunista del dopoguerra è certo capitato più volte a Wislawa Szymborszka, Premio Nobel per la Letteratura 1996. Così, in questa poesia ironica e divertente, lei ci consiglia, ci guida passo passo come un manuale: stato civile, esperienze, viaggi… Bene, il curriculum è pronto, la nostra vita è stata fotografata e stampata. Che succede? Lo abbiamo consegnato e qual è il suono che possiamo sentire? Quello della macchina trituradocumenti che lo seppellisce nel dimenticatoio…





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LA FRASE DEL GIORNO
Non chiedo mai al prossimo il perché di niente. I perché sono la rovina del buon vivere con gli altri.
MAURO CORONA, Il volo della martora




Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923), poetessa e saggista polacca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”.


lunedì 14 luglio 2008

Un’oasi di pace


Dopo giorni passati in trincea o negli attendamenti tra i monti con la polvere e il fango, con il tormento dei pidocchi e la sporcizia incrostatasi sui vestiti, doveva essere un sollievo incontrare uno specchio d’acqua e immergervisi. Un’oasi dove la guerra sembra lontana, un luogo dove vige una tregua non dichiarata. L’acqua assume davvero la sua valenza simbolica di elemento purificatore: non lava via solo la polvere ma anche le brutture e gli orrori della guerra.

Giuseppe Ungaretti, nella Prima Guerra Mondiale, si immerge nelle acque dell’Isonzo, a Cotici, il 16 agosto 1916. La sera, appoggiato ad un albero mutilato dai colpi di mortaio, su una dolina del Carso, scrive una delle sue poesie più belle, nella quale ripercorre le epoche della sua vita e le città dove ha vissuto, “I fiumi”. Ungaretti racconta:

[…]

Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato

L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso

Ho tirato su
le mie quattro ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua

Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole

[…]

Nella Seconda Guerra Mondiale il caporale degli Alpini Mario Rigoni Stern, dopo l’armistizio italo-greco del 22 aprile 1941, nella zona di Leskovika scopre un piccolo paradiso in terra albanese e ci si immerge come Ungaretti: l’acqua ha il potere di cancellare immagini terribili viste pochi giorni prima: i corpi calcinati di soldati greci ed italiani dissepolti dal disgelo di primavera. Rigoni Stern scrive in “Quota Albania”:

“C’è un’ansa tutta circondata da alberi, con i rami a lambire la corrente; l’acqua è limpida e fresca; il fondo non è di sassi, ma di una creta verde e dura. Mi spoglio ed entro in quell’acqua fredda che per un attimo mi fa trattenere il fiato, poi mi diverto a spruzzarmi e a guardare i prilli tra la luce che filtra dal bosco attorno.
Quando esco vado a stendermi su un sasso al sole; alto, nel mezzo del fiume. Sento il mio corpo evaporare, la corrente lambire il sasso e correre via.
Chiudo gli occhi e sotto le palpebre ruotano infiniti piccoli soli colorati. E mi lascio vivere”.


Alpini nelle retrovie del fronte greco-albanese nel settembre 1941
Foto dell'Archivio storico dell'Istituto Luce
tratta da "Alpini. 140 anni di storie ed eroismi"


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LA FRASE DEL GIORNO
Chi "non si adatta al mondo" è sempre vicino a trovare se stesso. Chi si adatta al mondo non si trova mai, ma può diventare consigliere nazionale.
HERMANN HESSE, Lettere inedite




Giuseppe Ungaretti (Alessandria d'Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è uno dei tre grandi poeti dell’Ermetismo italiano. Trasferitosi a Parigi nel 1912, prese parte alla Prima guerra mondiale nelle trincee del Carso e poi in Champagne. Dal 1935 al 1942 insegnò in Brasile e dal 1947 al 1965 fu professore di letteratura moderna alla Sapienza.


Mario Rigoni Stern (Asiago, 1º novembre 1921 – 16 giugno 2008), scrittore italiano. I suoi testi, di cui il più noto è il romanzo Il sergente nella neve, piccola Anabasi di un gruppo di alpini italiani sul fronte del Don, nel secondo conflitto mondiale, hanno doti di freschezza e d'immediatezza lirica decantata in coscienza morale.