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mercoledì 23 luglio 2008

Centenario di Elio Vittorini


Io penso che sia molta umiltà essere scrittore. Lo vedo come fu in mio padre, ch'era maniscalco e scriveva tragedie, e non considerava il suo scrivere tragedie di più del ferrare cavalli. Anzi, quando era a ferrare cavalli, mai accettava che gli dicessero: "Non così, ma così. Tu hai sbagliato". Guardava coi suoi occhi azzurri, e sorrideva o rideva; scuoteva il capo. Ma quando scriveva dava ragione ad ognuno per qualunque cosa. Ascoltava quello che chiunque gli diceva, e non scuoteva il capo, dava ragione. Era molto umile nel suo scrivere; diceva di prenderlo da tutti; e cercava, per amore del suo scrivere, di essere umile in ogni cosa: prendere da tutti in ogni cosa.
Dalla prima edizione di "Uomini e no" (1945)

Elio Vittorini
, l’autore di “Uomini e no” e “Conversazione in Sicilia”, nasceva a Siracusa cento anni fa, il 23 luglio 1908. Suo padre non era maniscalco, come per la voce narrante di “Uomini e no”, ma ferroviere. Grazie ai suoi biglietti scappò di casa ben tre volte tra i tredici e i diciassette anni interrompendo gli studi di ragioneria.
Forse era già allora preda di quel tumulto di rinnovamento che lo portò nel dopoguerra a diffondere la letteratura americana, a fondare le riviste “Il Politecnico” e “Il Menabò”, diretto insieme a Italo Calvino, a lanciare scrittori e memorialisti per le collane “I Gettoni” di Einaudi, “Medusa” di Mondadori e “Corona “ di Bompiani. Fu lui a far conoscere Mario Rigoni Stern e Marguerite Duras, ma stroncò “Il gattopardo” quando capitò sotto le sue mani di direttore editoriale.

Quel suo continuo cercare la verità lo portò, come rigetto al Ventennio fascista che lo vide anche in arresto nel 1943, all’iscrizione al PCI e alla direzione dell’Unità. Ma subito ne scoprì il lato oscuro, intavolò un’aspra polemica con Togliatti: "Rivoluzionario è lo scrittore che riesce a porre attraverso la sua opera esigenze rivoluzionarie diverse da quelle che la politica pone; esigenze interne, segrete, recondite dell'uomo ch'egli soltanto sa scorgere nell'uomo".
Nel 1951 abbandonò il partito e nel 1956 scrisse pagine accorate sulla rivoluzione d’Ungheria che soffocava nel sangue la democrazia.

Era scrittore non molto prolifico, Vittorini: questo probabilmente anche per lo stile, che coniugava la cronaca e la poesia, che mediava tra un tono realistico ed uno più lirico, favolistico.
Nella prefazione a "Il garofano rosso" scriveva:

Io non ho mai aspirato "ai" libri; aspiro "al" libro; scrivo perché credo in "una" verità da dire; e se torno a scrivere non è perché mi accorga di "altre" verità che si possono aggiungere, dire "in più", dire "inoltre", ma perché qualcosa che continua a mutare nella verità mi sembra esigere che non si smetta mai di ricominciare a dirla.

Questa “scoperta”, questa trasfigurazione allusiva della realtà è costante nella sua opera, già da “Il garofano rosso”, e via via prosegue in “Conversazione in Sicilia” e in “Uomini e no”. Sul finire degli Anni Trenta Vittorini dichiarò di dividere in due categorie gli scrittori: quelli che fanno pensare, leggendoli, che “Ecco, è proprio vero” e quelli che fanno pensare “Perdio, mai avrei supposto che potesse essere così”.
Elio Vittorini appartiene senza dubbio a questo secondo genere: non si limita a confermare che la realtà è davvero come la si vede, ma la definisce, ne rivela gli aspetti sotterranei, i reconditi collegamenti, tanto che poi ci si stupisce di non averli colti.


Elio Vittorini (a sinistra) con Eugenio Montale - Pubblico dominio



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LA FRASE DEL GIORNO
Dietro ogni libro c'è un uomo. Un uomo che ha dovuto pensarli. Un uomo cui è occorso molto tempo per scriverli, per buttar giù tante parole sulla carta.
RAY BRADBURY, Fahrenheit 451




Elio Vittorini (Siracusa, 23 luglio 1908 – Milano, 12 febbraio 1966), scrittore, traduttore, critico letterario e curatore editoriale italiano. Autore di eccezionali romanzi del neorealismo italiano che rispecchiano l'esperienza del fascismo e le sofferenze sociali, politiche e spirituali dell’uomo del XX secolo.


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