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venerdì 31 maggio 2013

Un tè con Marianne Moore

 

GRACIELA CROS

IL TÈ

Quando Marianne e sua madre

/Mrs. Moore/ conversano
attraverso il vapore che sale dalle tazze
la leggerezza si installa nella scena
così
domestica

Parlano
come se quel che dicono
fosse già stato scritto

"Dovremmo uscire
sotto l’ombrello del nostro contagio"

/ propone l’anziana
e Miss Moore concorda
con brevi sospiri

Le mie figlie entrano
e ascolto le loro voci
che si incorporano alla scena:

"Non dimenticare che un uomo deve essere letto
Bisogna leggerlo
                          non solo ascoltarlo

La sua voce non sempre è la sua parola"
risponde una all’altra
e sento che parlano
come se quel che dicono
fosse
già stato scritto.
 

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Qualche tempo fa avevo proposto una poesia di Lina Kostenko in cui la poetessa ucraina immaginava di ospitare nella sua casa Aleksandr Blok. Le meraviglie di chi legge, commentavo, la fantasia che permette di conversare con i grandi o piccoli scrittori del passato. Così fa anche l’argentina Graciela Cros, che si imbuca in un tè tra la poetessa statunitense Marianne Moore e sua madre Mary. Quando arrivano le figlie di Graciela, irrompe anche la realtà nella fantasia…

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two-women-having-tea

FRANK DESCH, “TWO WOMEN HAVING TEA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ogni tazza di tè rappresenta un viaggio immaginario
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CATHERINE DOUZEL




Graciela Cros (Carlos Casares, 1945), poetessa e scrittrice argentina. Ha esordito nel 1968 con Poemas con bicho raro y cornisas cui sono seguiti Pares Partes (1985), Flor Azteca (1991), Cordelia en Guatemala (2001), Libro de Boock (2004) e  Cantos de la gaviota cocinera, antologia del 2013.


giovedì 30 maggio 2013

La musa del nostro tempo

 

EUGENIO MONTALE

AL MARE (O QUASI)

L'ultima cicala stride
sulla scorza gialla dell'eucalipto
i bambini raccolgono pinòli
indispensabili per la galantina
un cane alano urla dall'inferriata
di una villa ormai disabitata
le ville furono costruite dai padri
ma i figli non le hanno volute
ci sarebbe spazio per centomila terremotati
di qui non si vede nemmeno la proda
se può chiamarsi così quell'ottanta per cento
ceduta in uso ai bagnini
e sarebbe eccessivo pretendervi
una pace alcionica
il mare è d'altronde infestato
mentre i rifiuti in totale
formano ondulate collinette plastiche
esaurite le siepi hanno avuto lo sfratto
i deliziosi figli della ruggine
gli scriccioli o reatini come spesso
li citano i poeti. E c'è anche qualche boccio
di magnolia l'etichetta di un pediatra
ma qui i bambini volano in bicicletta
e non hanno bisogno delle sue cure
Chi vuole respirare a grandi zaffate
la musa del nostro tempo la precarietà
può passare di qui senza affrettarsi
è il colpo secco quello che fa orrore
non già l'evanescenza il dolce afflato del nulla
Hic manebimus se vi piace non proprio
ottimamente ma il meglio sarebbe troppo simile
alla morte (e questa piace solo ai giovani).

(da Quaderno di quattro anni, Mondadori, 1977)

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Un’amara ironia pervade tutta questa tarda poesia di Eugenio Montale: attesta la precarietà del nostro tempo, il crollo di ogni valore ben rappresentato dal declino ambientale - già il titolo è una diminutio con quel “quasi” – dall’inquinamento, dall’abusivismo edilizio, dal degrado. Quello che rimane è quindi solo una parvenza di realtà, ben lontana ad esempio da quella dei tempi d’anteguerra, rievocati dal riferimento a D’Annunzio con la “pace alcionica”. Come recitano i versi di un’altra poesia di Quaderno di quattro anni, intitolata “L’educazione intellettuale”: “E passò molto tempo. / Tutto era poi mutato. Il mare stesso / s’era fatto peggiore. Non vedo ora / crudeli assalti al molo, non s’infiocca / più di vele, non è il tetto di nulla, / neppure di se stesso”. È un decadimento progressivo e inevitabile che porta al parossismo la celebre “teologia negativa” di Montale: è in questa scena da “day after” che siamo destinati a vivere.

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Lazzaro

WALTER LAZZARO, “SIESTA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non c’è stato / nulla, assolutamente nulla dietro di noi, / e nulla abbiamo disperatamente amato più di quel nulla
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EUGENIO MONTALE, Quaderno di quattro anni




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

mercoledì 29 maggio 2013

La geometria di un cigno

 

NELLY SACHS

IL CIGNO

Nulla
sulle acque
è già sospesa a un battito di ciglia
la geometria di un cigno
radicata nell'acqua
s'inerpica
e si china nuovamente
Inghiottendo polvere
e misurando con l'aria
l'universo -

(da Aldilà della polvere, Einaudi, 1966 - Traduzione di Ida Porena)

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Amo passeggiare sulle sponde dell'Adda o sul lungolario, e resto sempre ammirato dall'elegante bellezza dei cigni - animali voraci e anche cattivi quando difendono la cova o i loro “brutti anatroccoli”. È la grazia di quel collo lungo e flessuoso, di quel piumaggio candido che canta la poetessa tedesca Nelly Sachs, esule in Svezia dal 1940 e Premio Nobel 1966.

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Cigno010

FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
La grazia, più bella ancora che la bellezza.

JEAN DE LA FONTAINE, Adonis




Nelly Sachs (Berlino, 10 dicembre 1891 – Stoccolma, 12 maggio 1970), poetessa e scrittrice tedesca naturalizzata svedese, insignita nel 1966 del Premio Nobel per la letteratura.  Nelle sue poesie si fondono il destino personale e quello del popolo di Israele, ossessivamente evocati tramite un linguaggio immaginifico che si fonda su tradizioni antiche personalmente recuperate. 




martedì 28 maggio 2013

O giorno luminoso!

 

CATULLO

CARME 107

Se contro ogni speranza ottieni
ciò che desideravi in cuore,
una gioia insolita ti prende.
E questa è la mia gioia,
più preziosa dell'oro:
a me tu ritorni, a me, Lesbia,
a un desiderio ormai senza speranza,
al mio desiderio ritorni,
a me, a me tu ti ridai.
O giorno luminoso!
Chi vivrà più felice?
chi potrà mai pensare vita
più, più desiderabile di questa?

(da Carmina – Traduzione di Mario Ramous)

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Questi versi con cui il poeta latino Catullo sembra finalmente coronare il suo sogno d’amore duraturo e felice con Lesbia non è in realtà che l’ennesima illusione: lo stesso “povero Catullo” che nel Carme VIII sembra rinsavire e riesce a dire: “basta con le illusioni: / se muore, credimi, ogni cosa è perduta. / I tuoi giorni felici li hai consumati / quando correvi dove voleva il tuo amore” invece ci ricasca, forse travolto dalla nostalgia di quella donna con la quale scambiare “così tanti baci / che i curiosi non possano contarli”. Ma è la stessa Lesbia di sempre, quella che lo ricopre d’insulti, quella che spreme la gioventù romana negli angiporti, quella che infine, ancora una volta gli spezzerà quel suo cuore così fedele.

 

Catullus_at_Lesbia's_by_Sir_Laurence_Alma_Tadema

SIR LAWRENCE ALMA-TADEMA, “CATULLUS AT LESBIA’S”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ma ciò che dice una donna a un amante impazzito / devi scriverlo sul vento, sull'acqua che scorre.
CATULLO, Carme 70




Gaio Valerio Catullo (Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.), poeta romano. È noto per l'intensità delle passioni amorose espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo Catulli Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e degli Alessandrini in generale.

lunedì 27 maggio 2013

Ammainata come una vela

 

ANGELO BARILE

LAMENTO PER LA FIGLIA DEL PESCATORE

Nel fresco giorno ha calcato
sì poca terra il tuo piede scalzo!
Hai fatto questi due passi
fra l’orlo del mare e la piana
soglia iridata di salso
della tua casa a terreno.

Eri sul lembo del suolo
che il grande azzurro frantuma.
Da questa ruga di spuma
vacillavi già in braccio al sereno
come sull’uscio del mondo.

Oh, sulla nostra marina
il tuo soggiorno fu mite
e sottovoce, fanciulla
ammainata come una vela
nel bianco dei tuoi pensieri.
Ora canti sull’altra tua riva.
Noi tristi che non ti vedremo
più cucire le bionde reti,
riempir di guizzo i panieri,
i suoi occhi di calmo celeste.
Ora tuo padre ha dipinto
le sue barche di un filo di lutto,
gli tremi viva nel flutto
battuto dal lacrimante remo.

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Una decina di giorni fa un attento e assiduo lettore del blog mi ricordava che la poesia non è soltanto frutto di bellezza e amore ma, essendo parte della vita, ne rispecchia anche i momenti brutti e dolorosi. Ed è naturalmente vero. Così ho pensato a quel discorso rileggendo questi versi di Angelo Barile, poeta ligure collaboratore di Solaria: il dramma esistenziale è la morte di una ragazza, figlia di un pescatore, precocemente strappata al soggiorno terrestre, approdata – si noti la metafora marinara con chiara connotazione evangelica – all’altra riva.

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Hawthorne

CHARLES W. HAWTHORNE, “FISHERMAN AND HIS DAUGHTER”

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LA FRASE DEL GIORNO
Fondere assieme i contrari: intensità e chiarezza, spontaneità e rigore... non è la poesia un equilibrio di resistenze?

ANGELO BARILE, Quasi sereno




Angelo Barile (Albissola Marina, 12 giugno 1888 – Albisola Capo, 20 maggio 1967),  poeta italiano. Sottotenente di fanteria durante la Prima guerra mondiale, fu poi antifascista. La sua poetica, sullo sfondo dell’amato borgo marino, è fortemente influenzata dalla fede cattolica e quindi dalla sua visione profondamente religiosa della vita.

domenica 26 maggio 2013

Vagheggiato ritorno

 

CONCEIÇÃO LIMA

RESIDENZA

Visione di mio padre che torna a casa da
sua madre, Sam Nôvi, a Budo-Budo

Ritornerai per il vecchio viottolo
Senza preavviso.
Sarà come ieri, al crepuscolo:
lontano, improvviso, il fischio.
E in strada, un diffuso singhiozzo
di festa.
La luce sarà umida
la pioggia intima
sul segno dei tuoi piedi.
Dito a dito, foglia a foglia
sfiorerai i profumi,
le magie della terra:
il piccolo limoneto della nonna
il decrepito
izaquenteiro
l’ocá
così ombreggiato,
il
kimi
ritorto
E, all’ingresso, impresso nel fango
il fantasma del capretto bianco.
Il gradino scricchiolerà al tuo primo passo.
Salirai lento, concreto
senza calpestare l’asse traballante del pavimento.
La porta sarà aperta, la candela accesa.

(da O útero da casa, 2004)

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“La nostalgia è la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare” scrive Milan Kundera nel suo romanzo L’ignoranza. Ma è un guanto che si può rovesciare: nostalgia è anche desiderio di un ritorno, come in questi versi di Conceição Lima, poetessa di São Tomé e Príncipe. Una nostalgia che veste al contempo i panni dell’attesa e quelli del desiderio, che coniuga passato e futuro in un presente che forse è l’unico tempo in cui quel desiderio vive e resta acceso come una candela.

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OZIAS LEDUC, “CANDLELIGHT STUDY”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il ritorno fa amare l’addio
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ALFRED DE MUSSET




Maria da Conceição de Deus Lima nota anche come Conceição Lima (Santana, 8 dicembre 1961), poetessa di São Tomé e Príncipe. La sua poesia interroga la coscienza europea a causa della sofferenza che si è verificata per secoli nella società di São Tomé e dà voce anche al malcontento degli ideali non realizzati dopo l'indipendenza.



sabato 25 maggio 2013

Difesa della moglie di Lot

 

WISLAWA SZYMBORSKA

LA MOGLIE DI LOT

Guardai indietro, dicono, per curiosità,
ma potevo avere, curiosità a parte, altri motivi.
Guardai indietro rimpiangendo la mia coppa d'argento.
Per distrazione - mentre allacciavo il sandalo.
Per non dover più guardare la nuca proba
di mio marito, Lot.
Per l'improvvisa certezza che se fossi morta
non si sarebbe neppure fermato.
Per la disobbedienza degli umili.
Per tendere l'orecchio agli inseguitori.
Colpita dal silenzio, sperando che Dio ci avesse ripensato.
Le nostre due figlie stavano già sparendo oltre la cima del colle.
Sentii in me la vecchiaia. Il distacco.
La futilità del vagare. Il torpore.
Guardai indietro posando per terra il mio fagotto.
guardai indietro non sapendo dove mettere il piede.
Sul mio sentiero erano apparsi serpenti,
ragni, topi di campo e piccoli avvoltoi.
Non più buoni né cattivi - ogni cosa vivente
semplicemente strisciava e saltava in un panico collettivo.
Guardai indietro per solitudine.
Per la vergogna di fuggire di nascosto.
Per la voglia di gridare, di tornare.
O forse fu solo un colpo di vento
che mi sciolse i capelli e alzò la veste.
Mi parve che dai muri di Sodoma lo vedessero
e scoppiassero in risa fragorose più e più volte.
Guardai indietro per l'ira.
Per saziarmi della loro grande rovina.
Guardai indietro per tutti questi motivi.
Guardai indietro non per mia volontà.
Fu solo una roccia a girarsi, ringhiando sotto di me.
Fu un crepaccio a tagliarmi d'improvviso la strada.
Sul bordo trotterellava un criceto ritto su due zampette.
E fu allora che entrambi ci voltammo a guardare.
No, no. Io continuavo a correre,
mi trascinavo e sollevavo,
finché il buio non piombò dal cielo,
e con esso ghiaia rovente ed uccelli morti.
Mancandomi l'aria, mi rigirai più volte.
Chi mi avesse visto poteva pensare che danzassi.
Non escludo che i miei occhi fossero aperti.
È possibile che io sia caduta con il viso rivolto alla città.

(da Grande numero, 1976 - Traduzione di Piero Marchesani)

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La poetessa polacca Wislawa Szymborska, Premio Nobel 1996, si diverte a vestire i panni di un personaggio biblico, la moglie di Lot. La storia è raccontata nella Genesi (19,1-26): quando Dio decide di distruggere Sodoma e Gomorra, invia due angeli perché avvertano Lot: uno di loro gli dice “Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!”. Prese con sé la moglie e le figlie, Lot abbandona Sodoma: “Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Zoar, quand'ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti
delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale
”. Questo è il momento che attira l’attenzione poetica della Szymborska: elabora, secondo il suo tipico stilema, un elenco di motivi per cui la moglie di Lot, della quale la Bibbia non ha tramandato il nome, si sarebbe potuta voltare ancora una volta a guardare la città perduta, non solo per femminile curiosità…

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MICHEL WOLGEMUT, “LOT FUGGE DA SODOMA”, CRONACHE DI NORIMBERGA

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LA FRASE DEL GIORNO
Pochi resistono alla tentazione di voltarsi indietro nel desiderio di restituire alle cose una durata che di per sé non hanno
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LUIGI PINTOR, Servabo




Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012), poetessa e saggista polacca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”.


venerdì 24 maggio 2013

Teoria dei colori

 

LUIGI BARTOLINI

COLORI

Nero: sei il nero Inferno, le oscure sue porte,
l’arco di Stige sei, l’ombra di sera, il fiato di notte,
la triste coltre, che in ultimo ci riscopre;
nero, colore dispensiere di Morte.
 
Rosso, oh tu, fra i colori il più giovane,
per te in fuga si pone malinconia;
colore di corolle fragranti e di labbra accese,
sei l’anima dei sensi, oh colore terrestre!
 
Azzurro, mite e puro che i cieli dischiudi;
veste degli angeli, letto del mare: la tua nobiltà
sorride anche nelle umili stelle dei fiordalisi
(tu, caro emblema a Enrico d’Ofterdingen).
 
Verde, color di pace pei campi al mattino;
verde speranza; sopra di te riposarmi vorrei;
sostare ancora una volta alle tue luci, alle tue ombre,
cupo verde dei boschi, di saggine chiaro verde.
 
Viola, trapasso di ore, seduzione dell’infinito;
di doppia vita partecipi, alle albe e ai tramonti;
colore delle nuvole, e di Roma, da Monte Mario,
colore delle distanze e degli attutiti clamori.
 
Giallo, colore dell’Oriente, allegria, infedeltà,
stole trapunte d’oro, vesti d’odalische, raggi di sole;
esuberanti distese di grani maturi fra i tulipani;
ma la tua vita è breve, oh colore senza soste!
 
Bianco, a te solitario, a te amico,
tutto nascondi dietro l’immobile viso,
colore della Sfinge; celata dalle tue ali la sorte
nostra ultima tu già conosci, silenzioso, impenetrabile.

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Un po’ come Goethe che si appassionò alla teoria dei colori e li riteneva da romantico vivi e umani, non solo puro fenomeno fisico e ottico ma un qualcosa che attinge all’animo, il poeta marchigiano Luigi Bartolini, da pittore qual era gioca a tracciare il legame tra i colori e le loro manifestazioni naturali, sociali, storiche: ne ricava una teoria dei colori che riesce a trasformarli in sentimenti.

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Mixing paint

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LA FRASE DEL GIORNO
Il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull'anima. Il colore è il tasto, l'occhio il martelletto, l'anima è il pianoforte dalle molte corde
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VASILIJ KANDINSKIJ, Lo spirituale nell’arte




Luigi Bartolini (Cupramontana, 8 febbraio 1892 – Roma, 16 maggio 1963), incisore, pittore, scrittore e poeta italiano. Come poeta si mosse sempre tra un aperto godimento della natura in tutte le sue manifestazioni e un'ansiosa, ma anche disincantata, partecipazione alla vita delle cose e degli uomini.


giovedì 23 maggio 2013

La serale di faccia alla Bocconi

 

ELIO PAGLIARANI

LA RAGAZZA CARLA, I, 7

È dalla fine estate che va a scuola
                    Guida tecnica per l'uso razionale
                    della macchina
                                
  la serale
di faccia alla Bocconi, ma già più
                    Metodo principe
                    per l'apprendimento
                    della dattilografia con tutte dieci
                    le dita
non capisce se è un gran bene, come pareva in casa,
spendere quelle duemila lire al mese
                    Vantaggi dell'autentico
                    utilità fisiologica, risultato
                    duraturo, corretta scrittura
                    velocità resistenza
                    PIANO DIDATTICO PARAGRAFO PRIMO
La scuola d'una volta, il suo grembiule
tutto di seta vera, una maestra molto bella
i problemi coi mattoni e le case, e già dicevano la guerra
Mussolini la Francia l'Inghilterra.
Qui di gente un campionario: sei uomini e diciotto
donne, più le due che fanno scuola
                    Nella parte centrale del carrello, solidale ad esso
                    ecco il rullo
C'è poca luce e il gesso va negli occhi
                    Nel battere a macchina le dita
                    devono percuotere decisamente
                    i tasti e lasciarli liberi, immediatamente
Come ridono queste ragazze e quell'uomo anziano che fa steno
e non sa, non sa tener la penna in mano
                    Ciascun esercizio deve continuarsi
                    sino ad ottenere almeno
                    tre ripetizioni consecutive
                    senza errore alcuno e perfettamente
                    incolonnate
O quella povera zoppina, la più svelta
a macchina
                    Quando il dispositivo per l'inversione
                    automatica del movimento del nastro, o per difetto
                    di lubrificazione o per mancanza
                    del gancio
                                      non funziona
O Maria Pia Zurlini ch'era nata
ricca e ha già trent'anni e disperati
sorrisini
                                      l'inversione
                    si può provocare in vari modi:
                    colle mani.

(da La ragazza Carla e altre poesie, Mondadori, 1962)

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Ecco ancora un brano da quel “romanzo in versi” che è La ragazza Carla di Elio Pagliarani, un’opera in cui una Milano da neorealismo si affaccia già alle soglie del boom economico. E lo stile si adegua: i temi sono quelli del lavoro, dell’economia, del conflitto sociale e il poema assorbe gli elementi tecnici, in questo caso un manuale di dattilografia, e li mescola ai pensieri di Carla realizzando una sorta di controcanto o di polifonia.

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FOTOGRAFIA © GEORGE PICKOW / THREE LIONS / GETTY IMAGES

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LA FRASE DEL GIORNO
La premessa era quella della necessità dell’ampliamento del linguaggio poetico, anzi direi più rigorosamente della capacità di tutto il linguaggio, comune e non comune, di svolgere anche la funzione poetica; quindi lotta frontale al pregiudizio della parola poetica
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ELIO PAGLIARANI, Ragionamenti, n. 9, 1957




Elio Pagliarani (Viserba, 25 maggio 1927 – Roma, 8 marzo 2012), poeta e critico teatrale italiano. Tra i principali esponenti della neoavanguardia, fu uno dei protagonisti del Gruppo '63, all'interno del quale occupò tuttavia una posizione autonoma e personale. La sua poesia nasce dalla cronaca e dalla vita quotidiana.


mercoledì 22 maggio 2013

Una purpurea rosa

 

SIBILLA ALERAMO

SILENZIO, TEPORE...

C’è silenzio, e tepore,
in questa romita stanza ov'’io ti attendo,
e una purpurea rosa,
già stanca, sul ciglio di languire,
anch’essa ansiosa del tuo bruno sguardo,
così tenera è l’ora
ch’io mi trasmuto in taciturna grazia,
mite rosa,
tepore sulle tue palpebre, carezza d’amore.

(da Selva d’amore, Mondadori, 1947)

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L’attesa dell’amato si trasforma in questi versi di Sibilla Aleramo in un dolce e sensuale languore. E non è solo l’immagine della rosa sul punto di sfiorire a dare a tutta la lirica quel senso di estetismo tipico dei decenni a cavallo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento…

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105400

RAYMOND LEECH, “ONLY A DREAM AWAY”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'attesa del piacere è essa stessa piacere
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GOTTHOLD EPHRAIM LESSING, Minna von Barnhelm




Sibilla Aleramo, pseudonimo di Marta Felicina Faccio detta Rina (Alessandria, 14 agosto 1876 – Roma, 13 gennaio 1960), scrittrice e poetessa italiana. Attiva nell’impegno femminista, esordì con il romanzo autobiografico Una donna. La relazione con il poeta Dino Campana generò un importante carteggio e numerose poesie.

martedì 21 maggio 2013

Il suo nastro di rafia

 

JON JUARISTI

ROSARIO

Io la amavo molto, ma allora
amare e distruggere suonavano identici,
come nelle più confuse poesie di Aleixandre.
Ci sposammo con altri. Forse così perdemmo
il meglio della vita. Chissà. Ci fu una sera
in cui entrambi concordammo che avrebbe potuto essere diverso
il corso di questa storia di colpa e di viltà.
Si tolse il nastro dai capelli scuri
e me lo porse mentre andavo via, non mi voltai a guardarla.
È morta. Non l’ho saputo fino a stasera,
tanti anni dopo, nel suo piccolo paese
davanti alla serena desolazione del mare.
Ora provo a ricordarla, ma svanisce:
Non ho trovato nemmeno il suo nastro di rafia.

(da Tiempo desapacible, 1996)

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La vita è così: ci pone di fronte a bivi e a scelte e poi ci lascia il gusto amaro del rimpianto, il vano dono dell’illusione che gioca con i se. Così è capitato al poeta basco Jon Juaristi, che qui vede svanire il sogno di gioventù della sua Rosario – in spagnolo è nome femminile – amata ma poi abbandonata per un ideale di libertà forse un po’ troppo poetico. Gli errori di gioventù si scontano in vecchiaia, non è solo un proverbio, ma una realtà: e Jon Juaristi resta immobile davanti al mare a constatare in quanti pezzi si possa frantumare un’illusione e come sia impossibile rimetterla insieme.

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Van Gogh

VINCENT VAN GOGH, “RITRATTO DI DONNA CON NASTRO ROSSO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ha messo l’amore ritroso un po’ di dolcezza / nel tuo bicchiere di ombra, oblio e sconforto?

JON JUARISTI, Tiempo desapacible




Jon Juaristi Linacero (Bilbao, 6 marzo, 1951), poeta, saggista e traduttore spagnolo. È stato direttore della Biblioteca Nazionale di Spagna tra il 2000 e il 2001 e dell’Istituto Cervantes dal 2001 al 2004. Partita dall’avanguardia del gruppo Pott, la sua poesia è influenzata da Unamuno, Blas de Otero e Auden.


lunedì 20 maggio 2013

Le mele argentee di Orione

 

ROSE AUSLÄNDER

NOTTE V

Chiude la porta
il tulipano

Le mele argentee di Orione
sono mature

La sorgente
ripete lo spazio
di sogno e gocce
con esatto suono

(da Gedichte, Traduzione di Gio Batta Bucciol)

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Poche parole, pochi versi usa la poetessa tedesca Rose Ausländer per tratteggiare le sensazioni di una notte in cui il tempo – sul cui senso spesso si interroga – scorre finalmente tranquillo. Non è più per lei quello dell’esilio, della fuga dal Reich nazista cui fu costretta, non è quello dettato dall’alienazione delle macchine nella società industriale conosciuta nel dopoguerra negli Stati Uniti, dove riparò. È un tempo fermo, nel quale finalmente riposare.

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430993

KONSTANTIN ALEXEIEVIC KORONIN, “FIGURA IN UN PORTICO UNA NOTTE D’ESTATE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Di notte ogni cosa assume forme più lievi, più sfumate, quasi magiche. Tutto si addolcisce e si attenua, anche le rughe del viso e quelle dell'anima.
ROMANO BATTAGLIA, Ho incontrato la vita in un filo d’erba




Rose Ausländer, nata Rosalie Beatrice Scherzer (Černivci, Ucraina, 11 maggio 1901 – Düsseldorf,  3 gennaio 1988), poetessa ebrea tedesca. Dai tomi fiabeschi della gioventù passò a narrare con dolore la deportazione e lo sterminio degli ebrei e l’alienazione di New York, dove visse a lungo.


domenica 19 maggio 2013

Una tirannia tanto maldestra

  

FRANCISCO BRINES

NON FARE COME LUI

Divinizzò Antinoo
e così, aiutato dalla preghiera altrui,
poté trattenerlo nel ricordo,
serbò il suo dolore.
Alla fine, solo un mendico e un uomo.

Sei più pagano tu, e percepisci che la vita
ha un destino segnato: solo oblio,
e se è opera pietosa: Sostituzione.
È il caso che origina l’amore,
e il cammino casuale, e un colpo del caso
puntualmente lo esaurisce. Se così rude
è la vita, così incivile il sentimento,
così ingiusta la pena,
e nessun mutamento è intervenuto nei secoli,
tu non fare come lui,
non pretendere di rendere degna la vita:
una tirannia tanto maldestra
non merita che la tua naturale indifferenza.

(da Aún no, 1971)

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Quel “lui” preso a paragone di questa poesia dello spagnolo Francisco Brines non è neppure citato. Bisogna conoscere un po’ di storia per estrarne il nome da quella definizione da cruciverba posta all’inizio: fu l’imperatore Adriano a divinizzare Antinoo, il suo giovane amante, morto annegato nel Nilo alla soglia dei vent’anni – un atto riservato solo agli imperatori, che Adriano, distrutto dal dolore (“piange come una donnicciola” scrisse in proposito lo storico suo contemporaneo Elio Sparziano) volle per trasformare il suo ricordo in culto. Dunque Brines vuole differenziarsi da Adriano, vuole considerare la vita come un percorso inevitabile nel quale l’angoscia non deve trovare posto, essendo il caso a tirarne i fili. Il massimo che gli si può opporre, dice il poeta spagnolo, è solo l’indifferenza.

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ANTINOO DI ECOUEN, PARIGI, LOUVRE

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LA FRASE DEL GIORNO
La vita è il prezzo che paghiamo perché il nostro essere possa esistere.

PÄR FABIAN LAGERKVIST, La mia parola è no




Francisco Brines Bañó (Oliva, 22 gennaio 1932),​ poeta spagnolo. Inquadrato nel gruppo della Generazione dei ‘50, se ne distaccava per la sua poesia elegiaca attenta alla bellezza, al malinconico scorrere del tempo e alla caducità del vivere. Ê stato insignito del Premio Cervantes per il 2020.


sabato 18 maggio 2013

Il mare e lo specchio

 

JOSÉ GOROSTIZA

SPECCHIO NO

Specchio no: marea luminosa,
marea bianca.

Del tutto concorde al movimento
dell’acqua che respira

Come si accende nella sua rapida fretta
l’alta marea

e si illumina - che purezza di contorni,
che pelle di fiore - la distanza,

già nuda di peso,
già d’alto chiarore brinata!

Concorde in tutto al languore
del riposo dell’acqua,

come si fa profonda, profonda,
la bassa marea,

e più cristallo che luce, più occhio,
lancia uno sguardo

nel quale – spettri di colori – le forme,
chiare, belle, malamente ferite, sanguinano!

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Uno specchio che riflette il mare: tutto qui. Ed è di questo che vivono i versi qui proposti di José Gorostiza, poeta messicano: luci, riflessi, abbagli, barbagli che il sole genera giocando con le onde e quindi con lo specchio. Un caleidoscopio continuo nel quale l’osservatore è come immerso.

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SANDRA FRANCIS, “SEAGULLS ON THE BEACH”

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LA FRASE DEL GIORNO
Per questo il chiarore, scendendo / in volute di canti, / accende un’allegria di donna / nello specchio grigio del cuore
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JOSÉ GOROSTIZA




José Gorostiza Alcalá (San Juan Bautista, oggi Villahermosa, 10 novembre 1901 – Città del Messico, 16 marzo 1973), poeta e diplomatico messicano. Pubblicò solo due libri: Canzoni da cantare in barca (1925) e Poesie (1964) in cui cercò la purezza e la semplicità con uno spirito sottile e profondo.


venerdì 17 maggio 2013

Un pianto d’iridate parole

 

FRANCESCO PASTONCHI

L’ARTE

«Perché piango? Non so.
Io sono in me a giràndola:
basta un soffio. Noi donne è come un estro
che ci prende di piangere:
piangere, giù, e poi salire altezze
di gioia ch’è vertigine.
Voi non piangete? E ve ne date vanto?
Ma che è poesia se non un pianto
d'iridate parole?
Canta cuore che duole.
Ah, un giorno imparerò
anch’io quest’arte, in cui siete maestro,
di celate tristezze:
piangerò dentro, e forse ne morrò».

(da Versetti, Mondadori, 1931)

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Francesco Pastonchi, poeta ligure, non fu molto apprezzato dai critici del suo tempo, anche per la varietà del suo stile, indeciso tra decadentismo e D'Annunzio, tra Parnasso e alessandrini. In questi versi apprezzabile è lo stratagemma di far parlare una donna - con qualche stereotipo - per esprimere la sua concezione di poesia. Pastonchi la pensa come William Wordsworth, e dunque la poesia è il traboccare di forti sentimenti: il dolore, la passione, l’emozione sono come un pianto che rende visibile al mondo l'intimo tormento.

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CLAUDE MONET, “MÉDITATION, MADAME MONET AU CANAPÉ”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente
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FERNANDO PESSOA, Il poeta è un fingitore




Francesco Pastonchi (Riva Ligure, 31 dicembre 1874 – Torino, 29 dicembre 1953), poeta e critico letterario italiano. La sua poesia si svolse in origine secondo modi parnassiani e soprattutto dannunziani, lontana da ogni vera intimità e sensualmente intesa alla ricerca della bellezza formale, facendosi con il tempo più malinconica e meditativa.


giovedì 16 maggio 2013

Nel mondo della poesia

  

SOPHIA DE MELLO BREYNER ANDRESEN

NELLA POESIA

Trasferire il quadro il muro la brezza
Il fiore il bicchiere la lucentezza del legno
E la fredda e vergine liquidità dell'acqua
Nel mondo della poesia terso e rigoroso

Preservare da decadenza morte e rovina
L'istante reale di apparizione e sorpresa
Serbare in un mondo chiaro
Il gesto chiaro della mano sopra il tavolo distesa

(da Come un grido puro, Crocetti, 2013 - Traduzione di Federico Bertolazzi)

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Contrariamente a quello che pensava Eliot, ritengo che scrivere una poesia sia davvero liberare l’emozione, cementarla in modo tale che non si sgretoli nello scorrere del tempo dentro i meandri della memoria. La poesia è come l’ambra che imprigiona l'insetto: è il modo di bloccare quell’emozione per poterla rivivere. Ed è quello che ritrovo in questa dichiarazione poetica di Sophia de Mello Breyner Andresen, poetessa portoghese: un modo per eternare quello stupore provato di fronte all’universo, anche nella minimale familiarità del giardino di casa.

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EMILIO BOGGIO, “RITRATTO DI SIGNORA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Sappiamo che la vita non è una cosa e la poesia un'altra. (...) Cerchiamo il coincidere dello stare e dell'essere.
SOPHIA DE MELLO BREYNER ANDRESEN




Sophia de Mello Breyner Andresen (Porto, 6 novembre 1919 – Lisbona, 2 luglio 2004), poetessa portoghese, seconda donna a vincere il Premio Camões nel 1999. La sua opera consta di 15 libri di poesia, pubblicati tra il 1947 e il 1999, che riconoscono alla parola un valore intrinseco e per questo sono rigorosi, armonici ed equilibrati. Scrisse anche racconti, opere teatrali e libri per ragazzi


mercoledì 15 maggio 2013

Un fiume di palpiti

 

OCTAVIO PAZ

PRIMA DEL PRINCIPIO

Rumori confusi, incerto chiarore.
Inizia un nuovo giorno,
è una stanza in penombra
e due corpi distesi.
Nella fronte mi perdo
In un pianoro vuoto.
Già le ore affilano i rasoi.
Ma al mio fianco tu respiri;
intimamente mia eppur remota
fluisci e non ti muovi.
Inaccessibile se ti penso,
con gli occhi ti tocco,
ti guardo con le mani.
I sogni ci separano
ed il sangue ci unisce:
siamo un fiume di palpiti.
Sotto le tue palpebre matura
il seme del sole.
Il mondo
non è ancora reale,
il tempo è dubbio:
solo il calore della tua pelle
è vero.
Nel tuo respiro ascolto
la marea dell'essere,
la sillaba scordata del Principio.

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Amore ed erotismo si mescolano alla natura del tempo e a riflessioni su una visione del mondo di derivazione buddhista, come spesso accade nei versi del poeta messicano Octavio Paz insignito del Premio Nobel nel 1990: due amanti che si svegliano la mattina nel letto assurgono così a una dimensione metafisica.

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  November

CLARE ELSAESSER, “NOVEMBER”

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LA FRASE DEL GIORNO
Tra ciò che vedo e dico, / tra ciò che dico e taccio, / tra ciò che taccio e sogno, / tra ciò che sogno e scordo, / la poesia
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OCTAVIO PAZ




Octavio Irineo Paz Lozano (Città del Messico, 31 marzo 1914 – 20 aprile 1998),  poeta, scrittore, saggista e diplomatico messicano, premio Nobel per la letteratura nel 1990. La sua poesia è fatta di sperimentazione e anticonformismo, un continuo mettersi in discussione del linguaggio, “lotta continua contro la significazione”.


martedì 14 maggio 2013

Eravamo un labirinto

 

KIKUO TAKANO

A TE (IV)

Mai ci siamo abbracciati, perché
eravamo per noi stessi un labirinto:
io non sapevo che fare accanto a te,
tu pure accanto a me eri smarrita
e non potevi andare avanti o indietro,
piangevi sommessa e io
ero più scontento di prima.
Da allora son passati dieci anni.
Resistendo a ogni cosa che passa
- al sogno, al tempo e all'ira - mi trovo
ancora dove mi son perso allora.

(da Scarsità d'amore, 1961 - Trad. Yakuto Matsumoto e Paolo Lagazzi)

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Capita che la vita ci collochi in un labirinto dal quale non siamo in grado di uscire: continuiamo a sbattere contro gli stessi muri, a ripercorrere le stesse strade senza trovare la via d'uscita. Oppure restiamo fermi a lungo incapaci di proseguire. Ed è un labirinto che molto spesso siamo proprio noi a creare, come questo amore nelle cui pastoie è prigioniero il poeta giapponese Kikuo Takano: un amore in cui l'uomo e la donna sono "come due specchi / di fronte l'uno all'altro" che riflettono soltanto il vuoto tra i due.

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SIMON PAIS, “BPY TAKING A REST”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il voler bene non si compra, non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si può evitare: il voler bene succede
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JORGE AMADO, Teresa Batista stanca di guerra




Kikuo Takano (Sado, 20 novembre 1927 – Kamakura City, 1º maggio 2006), poeta e matematico giapponese. Cominciò a scrivere le sue prime poesie alla fine della II guerra mondiale. Fonte d'ispirazione sono stati il surrealismo e Heidegger. Ha scritto poesie che si interrogano sul significato dell'esistenza. Ha condotto inoltre ricerche sulla formula del pi greco.



lunedì 13 maggio 2013

Una notte di maggio

 

TOMAS TRANSTRÖMER

PAGINA DI LIBRO NOTTURNO

Sbarcai una notte di maggio
in un gelido chiaro di luna
dove erba e fiori erano grigi
ma il profumo verde.

Salii piano un pendio
nella daltonica notte
mentre pietre bianche
segnalavano alla luna.

Uno spazio di tempo
lungo qualche minuto
largo cinquantotto anni.

E dietro di me
oltre le plumbee acque luccicanti
c’era l’altra costa
e i dominatori.

Uomini con futuro
invece di volti.

(da Poesia dal silenzio, Crocetti – Traduzione di Maria Cristina Lombardi)

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“Leggere la sua poesia non è un percorso lineare: è come entrare in una labirintica chiocciola” scriveva Maria Cristina Lombardi sul numero 265 della rivista Poesia a proposito dello stile poetico di Tomas Tranströmer, Premio Nobel per la Letteratura 2011. Un’oscurità in cui ogni confine si dissolve, in una sinestesia a rovescio che priva del colore gli elementi naturali, che scioglie persino la convenzione universale del tempo. Un arcano universo dove il poeta cerca tracce di luce che almeno per un istante brillino in tutto quel pessimismo cosmico.

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EUGENE FREDRIK JANSSON, “STORMY EVENING, 1898”

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LA FRASE DEL GIORNO
Una poesia non è altro che un sogno che io realizzo alla vigilia. Il sogno e la poesia vengono dalla stessa persona. Io ho una relazione di amore intenso con il sogno. Vado a dormire come a una festa. Il risveglio è quasi sempre una disillusione
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TOMAS TRANSTRÖMER




Tomas Tranströmer (Stoccolma, 15 aprile 1931), scrittore, poeta e traduttore svedese, Nel 2011 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: "perché attraverso le sue immagini condensate e traslucide, ci ha dato nuovo accesso alla realtà". La sua opera è posta tra Modernismo, Espressionismo e Surrealismo.


domenica 12 maggio 2013

A mia madre

 

MARIA LUISA SPAZIANI

ERI UN ROSETO. IL FIATO CHE SI SMORZA

a mia madre

Eri un roseto. Il fiato che si smorza
fu il tuo dono più tuo, estrema rosa.
Chi scrisse su una tomba “qui riposa”
non sa dove comincia la tua forza.

(da Transito con catene, Mondadori, 1977)

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È passato ormai più di un anno. Mamma, da allora non sei più fisicamente con me, ma vivi in ogni mio pensiero, ti sento sempre vicina. Anch’io, come Maria Luisa Spaziani, sento la forza che mi dai. Un mazzo di rose per te oggi, che è la tua festa…

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ROMAN BEN, “ROSES BOUQUET”

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LA FRASE DEL GIORNO
Si ama la propria madre quasi senza saperlo, senza comprenderlo, perché è naturale come vivere; e avvertiamo la profondità delle radici di tale amore solo al momento della separazione finale.
GUY DE MAUPASSANT




Maria Luisa Spaziani (Torino, 7 dicembre 1922), poetessa italiana formatasi nel clima postermetico di chiara ascendenza montaliana. La sua poesia è venuta via via distendendosi dal mottetto o epigramma a forme narrativo-discorsive.


sabato 11 maggio 2013

Il pollice degli astronauti

 

ALFREDO VEIRAVÉ

LA MIA CASA È UNA PARTE DELL’UNIVERSO

Quelli che l’hanno vista dicono che la terra
è una sfera nello spazio, un pianeta
più piccolo
del pollice degli astronauti.
Non lo metto in dubbio perché ho visto le fotografie
e perché adesso sono a quasi mezzo pianeta da casa.
La cosa migliore di tutto ciò è che in questo pollice
anche la mia casa è una parte dell’universo.
Come può non esserlo se nel cortile
c’è un filodendro dalle foglie enormi e lombrichi sotto terra
buoni per la pesca, adesso che mi ricordo
l’odore delle felci contro il muro
il viso di Delfina o Federico tra gli alberi
e quel canarino che volò via una notte?

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Il cortile di casa, i figli che giocano tra gli alberi, le storie che restano nella memoria, come quella di un canarino fuggito una notte dalla sua gabbia. Come quel canarino è il poeta argentino Alfredo Veiravé, che prova la nostalgia di chi si trova molto distante da casa ma trova conforto nella dolcezza del ricordo.

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JEREMY ANNETT, “PARTIE DE CAMPAGNE, 1988”

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LA FRASE DEL GIORNO
La nostalgia è la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare.
MILAN KUNDERA, L’ignoranza




Alfredo Veiravé (Gualeguay, 29 marzo 1928 - Resistencia, 22 novembre 1991), poeta e critico letterario argentino, Collaborò ai giornali El Territorio, La Prensa, La Gaceta, de Tucumán e insegnò Lettere all’Università Nazionale del Nord Est. La sua poesia cerca, senza ledere l’emozione, di combattere lo spirito provinciale argentino e diluire la retorica di derivazione spagnola.


venerdì 10 maggio 2013

La luce della Sicilia

 

LEONARDO SCIASCIA

LA SICILIA, IL SUO CUORE

Come Chagall, vorrei cogliere questa terra
dentro l’immobile occhio del bue.
Non un lento carosello di immagini,
una raggiera di nostalgie: soltanto
queste nuvole accagliate,
i corvi che discendono lenti;
e le stoppie bruciate, i radi alberi
che s’incidono come filigrane.
Un miope specchio di pena, un greve destino
di piogge: tanto lontana è l’estate
che qui distese la sua calda nudità
squamosa di luce - e tanto diverso
l’annuncio dell’autunno,
senza le voci della vendemmia.
Il silenzio è vorace sulle cose.
S’incrina, se il flauto di canna
tenta vena di suono: e una fonda paura dirama.
Gli antichi a questa luce non risero,
strozzata dalle nuvole, che geme
sui prati stenti, sui greti aspri,
nell’occhio melmoso delle fonti;
le ninfe inseguite
qui non si nascosero agli dèi; gli alberi
non nutrirono frutti agli eroi.
Qui la Sicilia ascolta la sua vita.

(da La Sicilia, il suo cuore, 1952)

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Del mio viaggio in Sicilia quello che serbo con maggiore piacere nello scrigno della memoria è quella luce viva, barocca, che discende sulle vecchie pietre, sulle campagne riarse, sugli antichi templi e li tinge di quella sua solarità. Non l’uomo con il carretto intarsiato e colorato fermo a farsi fotografare davanti ai Templi di Agrigento, non le sfarzose luci della festa della santa, non le statue iperrealiste nei duomi, non il gusto un poco kitsch del centro di Taormina. Ma quella luce, quella che anche un siciliano DOC come Leonardo Sciascia ravvisa viva e fatale sulle cose.

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Tempio della Concordia

AGRIGENTO, TEMPIO DELLA CONCORDIA, PARTICOLARE © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
Ha insegnato Leonardo Sciascia che la Sicilia non è una. Ne esistono molteplici, forse infinite, che al continentale, forse al Siciliano stesso, si offrono e poi si nascondono in un giuoco di specchi.

PAOLO ISOTTA




Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989), scrittore e poeta italiano.  Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, all'ansia di conoscere le contraddizioni della sua terra e dell'umanità, unì un senso di giustizia pessimistico e sempre deluso.