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mercoledì 30 aprile 2014

Come una semplice porta

 

RAFFAELE CARRIERI

ATTESA DI NIENTE

La luce non mi è stata compagna
sulla terra né l'acqua sorella.
L'affabile acqua piovana
che materna addormenta
il vecchio gabelliere
e la giovane rana.
Avrei voluto chiudere il cielo
come una semplice porta
per restare una giornata
acquattato sull'erba
in attesa di niente.

(da Lamento del gabelliere, 1946)

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Riecheggiano Ungaretti questi versi di Raffaele Carrieri, poeta tarantino: c’è l’ansia del “Lasciatemi così / come una / cosa / posata / in un / angolo / e dimenticata”, l’amarezza di una giornata conclusa che non ha portato niente a un “forestiero in ogni luogo”, a un fuggiasco per autodefinizione. E si chiudono con un’invenzione degna di Magritte, quel cielo da chiudere come una porta su un sonno senza sogni. Tanto, domani è un altro giorno…

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RENÉ MAGRITTE, “L’EMBELLIE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Cieco vado col cieco vento, / Il mio corpo mi porta via.
RAFFAELE CARRIERI, Canzoniere amoroso




Raffaele Carrieri (Taranto, 23 febbraio 1905 – Pietrasanta, 14 settembre 1984), scrittore e poeta italiano. A quattordici anni abbandonò la città natale e viaggiò imbarcandosi come marinaio su bastimenti mercantili. Tornato in Italia fu per due anni gabelliere a Palermo. ”La mia poesia è tutta autobiografica; ispirata a fatti realmente accaduti, a viaggi, a soggiorni in paesi stranieri” scrisse di sé.

martedì 29 aprile 2014

Come divino fiore di luce

 

RUBÉN DARÍO

FIORE DI LUCE

Apparve la mia anima come dalla corolla
d’un iris. Essa sapeva d’essere nuda e sola.
Sola, come nell'acqua o nel vento. Leggera,
trasparente, sottile, meravigliosa. Era
come divino fiore di luce o divino
uccello che nell’aria è appena nato.
Non sapeva né udire né vedere né comprendere,
e neppure sapeva dove andava,
né quel che era materia quaggiù né lassù.

(Traduzione di Oreste Macrì)

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Il poeta nicaraguense Rubén Darío, caposcuola del Modernismo ispano-americano, rivela qui il suo riconosciuto debito con i parnassiani e con Verlaine, nella descrizione del momento in cui l’anima si rivela: un desiderio di armonia nell’inarmonico, l’espressione dell’inesprimibile etereo. È uno dei fini cui tende il Modernismo, assimilabile all’europea Art Nouveau: un’ansia di perfezione.

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CAROL CARTER, “BIG BLUE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ama il tuo ritmo e ritma le tue azioni / secondo la sua legge, e insieme i versi; / tu sei un universo di universi / e, nell'anima, fonte di canzoni.
RUBÉN DARÍO




Félix Rubén García Sarmiento, conosciuto con lo pseudonimo Rubén Darío (Metapa, 18 gennaio 1867 – León, 6 febbraio 1916), poeta modernista, giornalista e diplomatico nicaraguense. Rilevante nell'opera di Darío il suo contributo al rinnovamento della poesia latino-americana, grazie all'introduzione di metriche e motivi provenienti dalla poesia francese del tempo.


lunedì 28 aprile 2014

La sete di un solo giorno

 

LUCÍA ALFARO

SETE INCOMPIUTA

Talvolta cammino prima del tramonto
con una pagina incompiuta nelle mie vene.

Discretamente violenterò i miei sogni
per sognare la tua ombra
alla fiamma indifesa della mia candela.

Oltre i miei petali tardivi
e il riflesso strappato delle mie lune,
mi sveglierò, amore,
sentendo che non basta
la sete di un solo giorno per amarti.

(da Nocturno de Presagios, 2010)

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Un amore sensuale è protagonista dei versi della poetessa costaricana Lucía Alfaro, un amore che lascia però sete di sé, che si alimenta con il sogno e con il desiderio: “Mi scombini” dice altrove “e mi sveglio così piena / così tua / così estranea a me / e ai miei contorni”. È un amore totale dunque, che permea ogni istante e ogni cosa, che si impossessa del corpo e dell’anima, del giorno e della notte, del sogno e della veglia.

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ALISA WILCHER, “WOMAN IN WHITE DRESS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Quando non si ama troppo, non si ama abbastanza.
ROGER DE BUSSY-RABUTIN, Massime d’amore per le donne




Lucía Alfaro Araya (San José, 1959), poetessa costaricana. Laureata in Economia Aziendalee Filologia, ha un Master in Letteratura latinoamericana. È membro fondatore del Gruppo Letterario Poiesis, nel quale svolge attività di gestione culturale dal 2007. Ha pubblicato Nocturno de Presagios (2010).


domenica 27 aprile 2014

Solo due porte

 

HILDE DOMIN

DUE PORTE

Solo due porte
sono serrate.
Tutte le altre ti invitano
e aprono al più leggero
tocco della tua curiosità.

Solo queste porte sono
così difficili da aprire
che le tue forze non bastano.
Nessun falegname viene e
le pialla e olia
i catenacci indocili.

La porta che dietro te
si è chiusa e tu sei
fuori.
La porta che davanti a te si sbarra e tu
sei dentro.

(da Gesammelte Gedichte, 1987 - Traduzione di Daniela Maurizi)

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C’è un chiaro simbolismo dietro le due porte di Hilde Domin, poetessa tedesca: sono le porte dell’esilio, certo, quello che la vide fuggire dal nazismo e ritornare in Germania solo nel 1954. Sono però anche altre porte: l’alpha e l’omega della vita, la nascita e la morte; sono tutte le volte che ci poniamo in una situazione senza via d’uscita e abbiamo la sensazione di essere chiusi come in una stanza con la nostra pena.

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PHILIP KOCH, “EDWARD HOPPER’S EASEL”

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LA FRASE DEL GIORNO
Questo è il paradosso: il tempo è solo dove il tempo si ferma: nella pausa. Il miracolo, il concreto piccolo miracolo aspetta sempre dietro l’angolo per colui che vuole percepirlo.
HILDE DOMIN




Hilde Domin, pseduonimo di Hildegard Dina Löwenstein (Colonia, 27 luglio 1909 – Heidelberg, 22 febbraio 2006),  poetessa e scrittrice tedesca. L' esperienza traumatizzante della persecuzione nazista e dell'esilio nella Repubblica Dominicana fu altrettanto formativa per l'identità così come per l'opera poetica della poetessa, che perfezionò la sua padronanza della tecnica dei ritmi liberi con una maestria rara.


sabato 26 aprile 2014

Verso il nostro avvenire

 

FRANCO FORTINI

1944-1947


1

Era la guerra, la notte tremavano
nelle credenze i cristalli al ronzio
delle ondate da ovest ad oriente
o a sud, verso l’Italia. Chi ero io
e tu chi eri? Cominciò così.

Lungo e grigio era il lago di Zurigo
e i tram celesti nell’aria di neve.

 

2

«Sei la mia vita...» Vecchi carri carichi
delle macerie di Milano andavano
verso il nostro avvenire che ora è qui,
la modesta collina del passato
che agita un poco di verde in questo aprile.
Poi fu tanto lavoro, la città
intera e gli anni. Sei così da quella
mattina, la mia vita ancora, gli occhi
che mi guardano ormai
da un luogo nostro che è oltre noi due.

 

3

Scoprivi il mare di sera, era qua
e là verde, qua e là nero vino.
Un’alga lunga era quieta a mezz'acqua.
Così non visto muta un destino.

Non dava segno di vita la «monaca» violetta.
Poi si staccò, calò al fondo su ali eque.
Fu paura, o che? Da allora tacque
la verità ma aspetta.

 

4

Era come dicevano,
un giorno avremmo avuto la vita alle spalle
e tu m'avresti detto: «non sono più giovane».
E io t’avrei risposto soltanto guardandoti
per difendere te, amore mio,
da chi senza rimedio
ci porta insieme via. Come ti guardo
ora, come ti chiedo,
ora che sei di tutto
non so se domanda o sentenza
o giudizio, mia sola
anima che mi tremi
a questo primo buio.

(da Una volta per sempre, Mondadori, 1963)

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Una poesia che va nel privato, nel minimale, anche se la Storia condiziona poi la storia personale di ognuno di noi, così come quella di Franco Fortini: la poesia racconta i quattro anni che vanno dal 1944 al 1947, il passaggio dalla guerra alla pace, dalla desolazione alla ricostruzione. Il 1944 è l’anno da esule in Svizzera, raggiunta dopo l’armistizio dlel’8 settembre ‘43, e dell’innamoramento. Il 1945 segna la fine della guerra, con tutte le sue ferite ancora aperte – le macerie di Milano formeranno quella che ora è il Montestella, la collina della città, e mettere su casa e famiglia è un segno di rinascita. Il 1946 è finalmente il tempo di una maggiore spensieratezza, la possibilità di vivere la vita. Il 1947 sancisce questa certezza e diverse sono le preoccupazioni di due sposi che entrano nella trentina.

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FOTOGRAFIA © FEDERICO PATELLANI / LOMBARDIA BENI CULTURALI

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LA FRASE DEL GIORNO
Noi dal sogno usciremo per esistere / in una sola verità. // Tutti i perfetti amori un solo amore. / Tutti i giorni più belli un solo giorno.
FRANCO FORTINI, Una volta per sempre




Franco Fortini, nato Franco Lattes (Firenze, 10 settembre 1917 – Milano, 28 novembre 1994), poeta, critico letterario, saggista e intellettuale italiano. La sua poesia è testimonianza anche ideologica delle lotte di classe del primo dopoguerra, voce progressista e coscienza critica del fallimento degli ideali.



venerdì 25 aprile 2014

Ma strada, ancora strada

 

EUGENIO MONTALE

A GALLA

Chiari mattini,
quando l'azzurro è inganno che non illude,
crescere immenso di vita,
fiumana che non ha ripe né sfocio
e va per sempre,
e sta - infinitamente.

Sono allora i rumori delle strade
l'incrinatura nel vetro
o la pietra che cade
nello specchio del lago e lo corrùga.
E il vocìo dei ragazzi
e il chiacchiericcio liquido dei passeri
che tra le gronde svolano
sono tralicci d'oro
su un fondo vivo di cobalto,
effimeri...

Ecco, è perduto nella rete di echi,
nel soffio di pruina
che discende sugli alberi sfoltiti
e ne deriva un murmure
d'irrequieta marina,
tu quasi vorresti, e ne tremi,
intento cuore disfarti,
non pulsar più! Ma sempre che lo invochi,
più netto batti come
orologio traudito in una stanza
d'albergo al primo rompere dell'aurora.
E senti allora,
se pure ti ripetono che puoi
fermarti a mezza via o in alto mare,
che non c'è sosta per noi,
ma strada, ancora strada,

e che il cammino è sempre da ricominciare.

(da Poesie disperse, in Tutte le poesie, Mondadori, 2004)


È una delle prime poesie di Eugenio Montale (1896-1981), questa: datata 1919, scritta mentre è allievo ufficiale al 158º Reggimento di Fanteria Liguria, presenta già tutti gli stilemi montaliani. La mattina diventa un universo liquido nel quale il poeta è immerso, anzi meglio galleggia mentre tutto intorno trascorre la vita, quella “vita che dà barlumi, / è quella sola che tu scorgi” delle Occasioni. Non è però consentito rimanere nel momento, sostare nel carpe diem: l’inquietudine ci spinge continuamente, ci sprona a riprendere il viaggio, a ricominciare.

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KEIKO TANABE, “LAGO MAGGIORE, ITALY, VI”

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LA FRASE DEL GIORNO
E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meravigli / com’è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
EUGENIO MONTALE, Ossi di seppia




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

giovedì 24 aprile 2014

Amami

 

ATTILA JÓZSEF

METTI LA MANO

Metti la mano
sulla mia fronte
come se la tua mano
fosse la mia mano.

Sorvegliami, come se
mi si volesse uccidere
come se la mia vita
fosse la tua vita.

Amami, come se
tu lo volessi
come se il mio cuore
fosse il tuo cuore.

(da Non ho padre né madre, 1929 - Traduzione di Edith Bruck)

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Un disperato bisogno d’amore, il desiderio di un amore totale e totalizzante, che protegga al punto da inglobare, da unificare il sentimento dei due innamorati. È quello che pervase la sfortunata vita di Attila József, poeta ungherese: una prima delusione amorosa portò al suo ricovero in una clinica psichiatrica; alla seconda, quando la psicoterapeuta di cui si era innamorato sposò il poeta Gyula Illiès, non trovò altro rimedio che il suicidio.

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Roka

DIPINTO DI CHARLES ROKA

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LA FRASE DEL GIORNO
L’amore del poeta è un fuoco di paglia / perciò è così rapido e vorace.
ATTILA JÓZSEF




Attila József (Budapest, 11 aprile, 1915 - Balatonszárszó, 3 dicembre 1937), poeta ungherese,  incompresa voce del proletariato. Studiò lettere e filosofia a Szeged, Parigi e Vienna; fu redattore della rivista letteraria Szép Szó Il tono della sua lirica è dato dalle amare esperienze dell'infanzia e della giovinezza e dalla sua adesione al socialismo.


mercoledì 23 aprile 2014

I sonetti di Shakespeare

 

William Shakespeare nasceva a Stratford-on-Avon 450 anni fa, il 23 aprile 1564. Non ha certo bisogno di presentazioni: il più grande drammaturgo di tutti i tempi, le cui opere ancora oggi influenzano la cultura occidentale, basti citare la celeberrima Romeo e Giulietta e le altrettanto famose Otello e Amleto. E anche poeta, autore di due poemetti, Venere e Adone e Lo stupro di Lucrezia, ma soprattutto dei 154 Sonetti, scritti tra il 1591 e il 1604, il periodo in cui la peste dilagava per l’Europa causando – tra l’altro – la chiusura dei teatri. Sonetti tutti identici quanto a struttura metrica: 14 pentametri giambici disposti in tre quartine a rima alternata e un distico a rima baciata. E suddivisibili in due tematiche: quelli da 1 a 121 si concentrano sull’amore per un fair friend, un onesto amico, un giovane uomo – amore platonico, filiale, enigmatico: si dibatte su cosa rappresenti, se il mito dell’androgino della filosofia occulta, un simbolo della forma originaria dell’Essere e della ricerca della perfezione edenica, o se sia una persona in carne e ossa e quindi sottintenda una bisessualità del Bardo. Quelli da 127 a 154 propongono in un rovesciamento di forme e di ruoli l’amore per una donna scura, una dark lady definita anche “la mia diavolessa”.

 

Shakespeare

FOTOGRAFIA © JASON PAUL SMITH

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SONETTO 33

Spesso, a lusingar vette, vidi splendere
sovranamente l’occhio del mattino,
e baciar d’oro verdi prati, accendere
pallidi rivi d’alchimie divine.

Poi vili fumi alzarsi, intorbidata
d’un tratto quella celestiale fronte,
e fuggendo a occidente il desolato
mondo, l’astro celare il viso e l'onta.

Anch’io sul far del giorno ebbi il mio sole
e il suo trionfo mi brillò sul ciglio:
ma, ahimè, poté restarvi un’ora sola,
rapito dalle nubi in cui s’impiglia.

Pur non ne ho sdegno: bene può un terrestre
sole abbuiarsi, se è così il celeste.

(Traduzione di Eugenio Montale)

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SONETTO 73

Contempla in me quell’epoca dell’anno
quando pallide foglie, poche o nessuna, pendono
da quei ramoscelli tremanti contro il freddo,
nudi cori in rovina, ove dolce cantarono gli uccelli.

Tu vedi in me il crepuscolo d’un giorno
quale dopo il tramonto svanisce ad occidente,
che a poco a poco si porta via la notte nera
gemella della morte, che tutto sigilla nel riposo.

Tu vedi in me il languire di quel fuoco
che aleggia sulle ceneri della propria giovinezza
come sul letto di morte su cui dovrà spirare
consunto insieme col suo stesso nutrimento.

Questo tu vedi che fa il tuo amore più forte
a degnamente amare chi presto ti verrà meno.

(Traduzione di Alberto Rossi)

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SONETTO 127

Quante volte quando, mia musica, tu eseguisci
Sopra quel legno avventurato il cui scatto dà suono
Insieme alle tue dita dolci e gentilmente muovi
Concordia delle corde che rapisce l’orecchio attento,

Invidia ho di quei salterelli che agili si protendono
A baciare della tua mano l’incavatura tenera,
Mentre le mie povere labbra di quella messe ansiose,
All’ardimento di quel legno accanto a te s’accendono!

Per essere così solleticate, cambierebbero stato
Accorrendo a prendere il posto di quei danzanti trucioli
Sui quali le tue dita scorrono con movenza gentile
Facendo il morto legno più felice di labbra vive.

Se hanno tanta fortuna quei salterelli petulanti,
Dà loro le tue dita da baciare, ma a me le labbra.

(Traduzione di Giuseppe Ungaretti)

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LA FRASE DEL GIORNO
Vi sono in cielo e in terra, Orazio, assai più cose di quante ne sogna la tua filosofia.
WILLIAM SHAKESPEARE, Amleto




William Shakespeare (Stratford-upon-Avon, 23 aprile 1564 - 23 aprile 1616), drammaturgo e poeta inglese, considerato il più  eminente drammaturgo della cultura occidentale. Il suo dono poetico di consiste nella trasformazione dall'interno dei modelli esistenti, dal poemetto ovidiano alla tragedia , dalla commedia plautina a quella romantica o romanzesca, storica o leggendaria.


martedì 22 aprile 2014

Questo posto dove eri

 

JAIME SABINES

NON È NIENTE DEL TUO CORPO

Non è niente del tuo corpo
né la pelle, né gli occhi, né il ventre,
né quel luogo segreto che entrambi conosciamo,
fossa della nostra morte, conclusione della nostra sepoltura.
Non è la tua bocca – la tua bocca
uguale al tuo sesso –,
né l’incontro esatto dei tuoi seni,
né la schiena dolcissima e liscia,
né il tuo ombelico in cui bevo.
Né sono le tue cosce dure come il giorno,
né le ginocchia di avorio infuocato,
né i tuoi piccoli piedi sanguinanti,
né il tuo profumo, né i tuoi capelli.
Non è il tuo sguardo – che cos’è uno sguardo? -
triste luce distratta, pace senza padrone,
né il quaderno del tuo udito, né la tua voce,
né le occhiaie che ti lascia il sonno.
Neppure è la tua lingua di vipera,
freccia di vespe nell’aria cieca,
né il calore umido dell’asfissia
che sostiene il tuo bacio.
Non è niente del tuo corpo,
né un filo, né un petalo,
né una goccia, né un granello, né un momento.

È solo questo posto dove eri,
queste mie braccia ostinate.

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Il poeta messicano Jaime Sabines compila una specie di medievale “blasone del corpo femminile” per descrivere quello che è il suo amore: non rimpiange il corpo dell’amata, che seziona anatomicamente senza dimenticarne nessuna parte, ma la sua presenza, per concludere infine che quello che davvero contava era lo stare insieme.

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FOTOGRAFIA © MR. WALLPAPER

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LA FRASE DEL GIORNO
Mi si è buttata addosso la fronte bianca del tempo / e i ricordi più vecchi e la tua assenza nel letto / e la nostra separazione e quello che siamo / mi sono svegliato anche questa mattina / e ti amo.
NÂZIM HIKMET, Poesie d’amore




Jaime Sabines Gutiérrez (Tuxtla Gutiérrez, 25 marzo 1926 – Città del Messico, 19 marzo 1999),  poeta e politico messicano. Noto come “cecchino della letteratura”, la sua poesia tendeva a trasformare la letteratura in realtà. I suoi scritti si basavano sulla sua presenza in vari luoghi quotidiani.



lunedì 21 aprile 2014

L’angelo buono

 

RAFAEL ALBERTI

L’ANGELO BUONO

Venne quello che amavo,
quello che invocavo.

Non quello che spazza cieli senza difese,
astri senza capanne,
lune senza patria,
nevi.
Nevi di quelle che son cadute da una mano,
un nome,
un sogno,
una fronte.

Non quello che ai suoi capelli
legò la morte.

Ma quello che amavo.

Senza graffiare i venti,
senza ferire foglie o agitare cristalli.

Quello che ai suoi capelli
legò il silenzio.

Per scavarmi nel petto, senza farmi male
di luce dolce una riva
e render navigabile la mia anima.

(da Degli angeli, 1929 – Traduzione di Vittorio Bodini)

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Il Lunedì dell’Angelo. Il messaggero che apparve a Maria per annunciare l’incarnazione di Gesù, che apparve ai pastori per segnalarne la nascita, che apparve alle donne al sepolcro per comunicarne la resurrezione. Per il poeta andaluso Rafael Alberti è un altro tipo di angelo, un intimo messaggero che viene dai meandri della psiche, dall’inconscio, dall’io. Come questo, quello “buono”, capace di originare una sorta di illuminazione, di aprire l’anima alla sua consapevolezza.

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Van Eyck

JAN VAN EYCK, “ANNUNCAZIONE”, PARTICOLARE

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LA FRASE DEL GIORNO
A noi venìa la creatura bella, / biancovestito e ne la faccia quale / par tremolando mattutina stella.
DANTE ALIGHIERI, Purgatorio




Rafael Alberti Merello (El Puerto de Santa María, 16 dicembre 1902 - 28 ottobre 1999), poeta spagnolo. Membro della Generazione del ‘27. Il suo lirismo si evolve da una poesia più intellettuale e astratta alla violenza satirica di opere quali Capital de la gloria (1936-1938) e infine a un più delicato e nostalgico intimismo.


domenica 20 aprile 2014

Scampanava la Pasqua per la via

 

DINO CAMPANA

FIRENZE CICISBEA

Scampanava la Pasqua per la via
Calzaioli, le donne erano liete
Quel giorno ed innocenti le fanciulle
Di sotto ai cappelloni ultima moda,
E ingiovanito mi sembrava il duomo...
Ed i piedini andavano armoniosi
Portando i cappelloni battaglieri
Che armavano di un'ala gli occhi fieri
Del lor languore solo, nel bel giorno.
Il cannone tuonò ma non riscosse
Le signorine che andavano a messa
E continuava il calmo cicaleggio.
Una colomba si librava molle.

(da Canti orfici ed altre liriche, 1928)

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L’annuncio gioioso delle campane come emblema della Pasqua, della resurrezione anche della primavera, della rinascita che rinnova ogni cosa, dalle piante ai cuori e ringiovanisce il mondo. Basta quell’endecasillabo iniziale della poesia di Dino Campana a dare il senso della giornata festiva: il suono delle campane, il passeggio delle ragazze fiorentine, la bellezza del mattino, tutto il suo il languore.

Vi auguro una serena Pasqua, amici lettori del Canto delle Sirene.

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Gao

GENWAY GAO, “IL DUOMO DI FIRENZE”

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LA FRASE DEL GIORNO
S'apre / a sé risorta / la terra dopo il gelo / e dopo il travaglio, / si corre incontro, da sé / a sé, si estende in un abbraccio / avido alla sua infinità /o corre in quelle linee /l'onda / leggera e travolgente / della resurrezione, si propaga, /trabocca la sua vinta angoscia, / e la riconsacrata sua potenza?
MARIO LUZI, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini




Dino Carlo Giuseppe Campana (Marradi, 20 agosto 1885 – Scandicci, 1º marzo 1932), poeta italiano. l’unico accostabile ai “maudits” del Decadentismo europeo quali Rimbaud. La sua poesia brucia le scorie della tradizione di Carducci e D’Annunzio con un atteggiamento visionario che va oltre le cose e i dati realisticamente intesi. Di lui è nota l’appassionata relazione con Sibilla Aleramo.


sabato 19 aprile 2014

Fior che si disfiora


VINCENZO CARDARELLI

APRILE


Quante parole stanche
Mi vengono alla mente
In questo giorno piovoso d’aprile
Che l’aria è come nube che si spappola
O fior che si disfiora.
Dentro un velo di pioggia
Tutto è vestito a nuovo.
La umida e cara terra
Mi punge e mi discioglie.
Se gli occhi tuoi son paludosi e neri
Il mio dolore è fresco
Come un ruscello.


(da Poesie, Mondadori, 1949)

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Un dolore che si rinnova come fa la primavera, che nutre il suo variopinto caleidoscopio di fiori con la pioggia d’aprile, una ferita che si riapre e torna a sanguinare, se mai ha smesso. Vincenzo Cardarelli conferma la sua vena di tormentata inquietudine, la malinconia del suo vivere, la “tristezza inevitabile”, la solitudine che lo caratterizzò per tutta la vita.

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FOTOGRAFIA © HD WALLPAPER
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LA FRASE DEL GIORNO
Amore e primavera vanno insieme.
VINCENZO CARDARELLI, Poesie




Vincenzo Cardarelli, nato Nazareno Caldarelli (Corneto Tarquinia, 1º maggio 1887 – Roma, 18 giugno 1959), poeta, scrittore e giornalista italiano. Sorta dall’Avanguardia degli Anni Dieci, la sua poetica rivela influssi dell’espressionismo linguistico e del frammentismo, ad esprimere  temi come lo sradicamento, il viaggio, l'adolescenza, la perdita di identità.



venerdì 18 aprile 2014

Un figlio con sua madre

 

MARIA LUISA SPAZIANI

VENERDÌ SANTO

Lei credeva di stringere in quel corpo
disincarnato, esangue, il suo ragazzo
morto a trentatré anni per oscure
trame di tribunali.
Se le avessero detto che stringeva
a sé l'intero mondo e la sua Storia
non l'avrebbe capito. Erano solo
un figlio con sua madre.

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La Storia e la storia. La poetessa Maria Luisa Spaziani mette in scena per il Venerdì santo la tragedia di una madre – la perdita di un figlio è per una donna la più straziante delle esperienze. E se quella madre è Maria, allora l’evento è ingigantito, il suo dolore diventa quello del mondo, la storia personale diventa la Storia.

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MICHELANGELO, “LA PIETÀ”

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LA FRASE DEL GIORNO
La storia nostra è storia della nostra anima; e storia dell'anima umana è la storia del mondo.
BENEDETTO CROCE, La storia come pensiero e come azione




Maria Luisa Spaziani (Torino, 7 dicembre 1922), poetessa italiana formatasi nel clima postermetico di chiara ascendenza montaliana. La sua poesia è venuta via via distendendosi dal mottetto o epigramma a forme narrativo-discorsive.


giovedì 17 aprile 2014

Invisibile inganno del visibile

 

ANDONIS FOSTIERIS

PAESAGGI DAL NULLA

Di nuovo il talvolta e la spada dell’inamovibile
Di nuovo la tenebra della mente. Ma infine non ha niente
Di realmente suo
Un breve istante? Prende a prestito qualcosa dal prima
Qualcosa dal domani
E lo ripaga con il risparmio
Degli altri. D’aria
Però ti preme sul petto come acciaio -
Precisamente
Come l’universo cinge: d’acciaio.
Tutto fori di mari di vuoto
Paesaggi del nulla
In cui galleggiano isolette di neutroni
E galassie. Invisibile
Inganno del visibile
Sulla bacchetta alata
Di una vertigine,

Che elettrizzata
Traveste il niente
In nessun luogo e il mai

In mondo.

(da Paesaggi dal nulla, 2014 - Traduzione di Nicola Crocetti)

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Il n. 292 di Poesia, aprile 2014, propone stralci dall’ultima raccolta del poeta greco Andonis Fostieris, Paesaggi dal nulla: è una riflessione sull’essenza stessa della poesia, sul suo essere tramite tra il nulla e il reale, tra l’interno e l’esterno, sulla sua capacità non solo di decrittare e interpretare quell’invisibile, ma anche di trasfigurare e rivestire di parole quei paesaggi, di comunicarli. Un compito arduo e forse anche impossibile e inutile, ma è tutto quello che si può fare per andare oltre la nostra finitudine, se è vero che “Dopo la poesia / I poeti / Si sentono tristi. // Come gli animali / Dopo l’amore”.

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JOYCE OWENS, IMAGINED IN MARBLE PSYCHIC LANDSCAPE”

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LA FRASE DEL GIORNO
[La poesia:] Metafore similitudini appese / Come ex-voto. Ne aggiungo una: // Elisir di parole.
ANDONIS FOSTERIS, Paesaggi dal nulla




Andonis Fostieris (Atene, 16 maggio 1953), poeta greco, è considerato uno dei più importanti della Generazione dei Settanta. Le sue opere sono caratterizzate da un linguaggio chiaro e intimistico. Dal 1981 dirige il periodico letterario I Léxi.

mercoledì 16 aprile 2014

Come due specchi

 

MARGHERITA GUIDACCI

LASCIA SIA IL VENTO

Lascia sia il vento a completar le parole
che la tua voce non sa articolare.
Non ci occorrono più le parole.
Siamo entrambi il medesimo silenzio.
Come due specchi, svuotati d’ogni immagine,
che l'uno all'altro rendono
un semplice raggio. E ci basta.

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Il non detto può uccidere un amore o un’amicizia o almeno incrinarli. Oppure può, al contrario, essere il risultato di un’intimità e di un’intesa così perfetta da non avere bisogno di parole. La poetessa fiorentina Margherita Guidacci è evidentemente incappata in questo secondo tipo di rapporto, capace di dare un senso anche ai silenzi, di dare espressione al non detto.

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Erwitt

ELLIOT ERWITT, “CALIFORNIA KISS, 1955”

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LA FRASE DEL GIORNO
Quando si sta bene insieme non si ha nessun bisogno di mentirsi, di rassicurarsi. Direi, anzi, che la gioia la si riconosce dal silenzio. Quando la comunione è vera e intera, senza infingimenti, solo il silenzio può esprimerla.
ROMAIN GARY, Cocco mio




Margherita Guidacci (Firenze, 25 aprile 1921 – Roma, 19 giugno 1992), poetessa e traduttrice italiana. Dopo la crisi del suo matrimonio, negli Anni’60, superò un decennio di grave sofferenza psichica che culminò nel ricovero in una clinica neurologica. Tra i poeti da lei tradotti John Donne, Emily Dickinson, T.S. Eliot ed Elizabeth Bishop.


martedì 15 aprile 2014

Il filo dell’amore

 

ROBERTO JUARROZ

SECONDA POESIA VERTICALE, 67

Un filo più sottile del pensiero,
un filo senza alcuno spessore,
unisce i nostri occhi quando non ci guardiamo.

Quando ci guardiamo
ci uniscono tutti i fili del mondo,
ma manca questo,
che solo dà ombra
alla luce più segreta dell’amore.

Dopo che ce ne andiamo,
forse resta questo filo
a unire i nostri posti vuoti.

(da Seconda poesia verticale, 1963)

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Un filo che ci lega, un filo invisibile che connette le nostre anime, che comunica tra i nostri corpi: spirito, emozione, sentimento. Ecco cos’è l’amore – dice il poeta argentino Roberto Juarroz - un legame sottile e profondo che sa esistere anche senza di noi. Quel filo che, secondo una leggenda orientale, unisce quanti sono destinati a incontrarsi, nonostante il tempo, i luoghi e le circostanze: si aggroviglia, si tende, si annoda, ma non si spezzerà mai.

filo rosso

FOTOGRAFIA © FACEBOOK

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore è un capriccioso soffio che Eros invia tra gli uomini per ingarbugliar le matasse dei loro destini.
NINO SALVANESCHI, Il tormento di Chopin




Roberto Juarroz (Coronel Dorrego, 5 ottobre 1925 – Buenos Aires, 31 marzo 1995), poeta, saggista e bibliotecario argentino. La sua opera, salvo le prime Sei poesie scelte del 1960 è riunita con il titolo unico di Poesia verticale. Varia solo il numero d'ordine, da raccolta a raccolta, fino alla quattordicesima, uscita postuma nel 1997.


lunedì 14 aprile 2014

Amarti è il rischio più alto

 

PEDRO SALINAS

VI. PAURA. DI TE. AMARTI

Paura. Di te. Amarti
è il rischio più alto.
Molteplici, la tua vita e tu.
Ti ho, quella di oggi;
ormai ti conosco, penetro
in labirinti, facili
grazie a te, alla tua mano.
E i miei ora, sì.
Però tu sei
il tuo stesso più oltre,
come la luce e il mondo:
giorni, notti, estati,
inverni che si succedono.
Fatalmente, ti trasformi,
e sei sempre tu,
nel tuo stesso mutamento,
con la fedeltà
costante del mutare.
Dimmi, potrò io vivere
in quegli altri climi,
o futuri, o luci
che stai elaborando,
come il frutto il suo succo,
per un domani tuo?
O sarò appena qualcosa
nata per un giorno
tuo (il mio giorno eterno),
per una primavera
(in me fiorita sempre),
e non potrò più vivere
quando giungeranno
successive in te,
inevitabilmente,
le forze e i venti
nuovi, le altre luci,
che attendono già il momento
di essere, in te, la tua vita?

(da La voce a te dovuta, 1933 - Traduzione di Emma Scoles)

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È il momento in cui il poeta spagnolo Pedro Salinas fa il punto sulla situazione del suo amore per Katherine R. Whitmore: è l’analisi di quell’innamoramento che apre scenari differenti, che mette in discussione il suo matrimonio con Margarita. “Se mi chiamassi, sì, / se mi chiamassi! / Io lascerei tutto, / tutto io getterei” aveva scritto poco prima. Qui, in un sussulto di realtà, considera il rischio di quell’amore, le sue conseguenze, il fatto della distanza tra la Spagna e il paese di lei, gli Stati Uniti, paventa la presenza di “altre luci”. Ma, poiché “al cuor non si comanda”, la storia proseguirà, anche se quel fiore d’amore, dopo avere regalato una settantina di poesie, appassirà: Katherine sposerà un altro nel 1939 e Pedro resterà con Margarita.

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Angel

JACK VETTRIANO, “ANGEL”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non respingere i sogni perché sono sogni. / Tutti i sogni possono / essere realtà, se il sogno non finisce.
PEDRO SALINAS, La voce a te dovuta




Pedro Salinas y Serrano (Madrid, 27 novembre 1891 – Boston, 4 dicembre 1951), poeta spagnolo appartenente alla generazione del 1927. La voce a te dovutaRagione d’amore e Lungo lamento formano una trilogia poetica sull’amore per Katherine Prue Reading, docente americana, interrotto dopo il tentato suicidio della moglie Margarita.


domenica 13 aprile 2014

Giorno, non andar via

 

ATTILIO BERTOLUCCI

PER UN BEL GIORNO

Un cielo così puro
un vento così leggero
che non so più dove sono
dove ero.

O gaggìa nuda,
bruna violetta
che nel calore fugace
appassisci...

Giorno che te ne vai
e non sai nulla di me e della violetta
che tanto amo
e del ramo
nudo della gaggìa,
giorno, non andar via.

(da Lettera da casa, 1951)

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Ci sono giorni così, come quello che mette in versi il poeta parmense Attilio Bertolucci:  dolcissimi, perfino languidi, nei quali ci sentiamo in armonia con noi stessi, con gli altri, con il mondo, con la natura. Giorni che ci dispiace vedere finire, sciogliersi in un tramonto, temendo che quella felicità anche immotivata che proviamo non ritorni l’indomani.

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Acacia

MICHAEL VIGLIOTTI, “ACACIA TREE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ci sono giorni nella vita in cui non succede niente, giorni che passano senza nulla da ricordare, senza lasciare una traccia, quasi non si fossero vissuti. A pensarci bene, i più sono giorni così, e solo quando il numero di quelli che ci restano si fa chiaramente più limitato, capita di chiedersi come sia stato possibile lasciarne passare, distrattamente, tantissimi.
TIZIANO TERZANI, Lettere contro la guerra




Attilio Bertolucci (San Prospero Parmense, 18 novembre 1911 – Roma, 14 giugno 2000), poeta italiano. Le sue opere poetiche sono il risultato di una felice contaminazione tra eredità ermetica e capacità di tradurre ogni astratta eleganza in un discorso poetico naturale.


sabato 12 aprile 2014

Queste prime foglie

 

FRANCESCO PASTONCHI

NOVITÀ

Novità che m’inebria, e sola, vera
pace all’anima: queste prime foglie
che ritornano e son così felici
di ripetere a’ miei occhi stupiti
il tremore delle altre primavere.

(da Endecasillabi, Mondadori, 1949)

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Francesco Pastonchi era un poeta dal retaggio ottocentesco trapiantato nel XX secolo, come si può notare dallo stile di questi versi soprattutto se li si confronta con quelli coevi di Montale, Luzi e Quasimodo. Eppure, hanno una certa grazia nella loro limpidezza mentre raccontano lo stupore di un’altra primavera che rinnova l’emozione provata ormai tante volte.

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Foglie

FOTOGRAFIA © HD WALLPAPER

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LA FRASE DEL GIORNO
Quando ci sentiamo deboli, tutto ciò che dobbiamo fare è aspettare un po'. La primavera torna, le nevi dell’inverno si sciolgono e le loro acque ci infondono nuova energia.
PAULO COELHO, Aleph




Francesco Pastonchi (Riva Ligure, 31 dicembre 1874 – Torino, 29 dicembre 1953), poeta e critico letterario italiano. La sua poesia si svolse in origine secondo modi parnassiani e soprattutto dannunziani, lontana da ogni vera intimità e sensualmente intesa alla ricerca della bellezza formale, facendosi con il tempo più malinconica e meditativa.


venerdì 11 aprile 2014

In un bacio mi regali una poesia

 

WANG JINGZHI

DISTACCO

Chi amo sei tu,
la tua incomparabile dolcezza!
Come possa il tuo incanto essere così meraviglioso,
come… - non so dirlo.
Al mondo non vi è nulla che possa spiegarlo.

Sai tu che in un bacio mi regali una poesia?
Sai che questa poesia mi prende a morsi il cuore?
Con la poesia tu mi dai la passione,
e mi ubriachi completamente.

La scorsa notte ho sognato di baciarti,
oh che dolci labbra!
Svegliatomi non ho trovato la tua bocca;
spero mi invierai in sogno quel bocciolo.

La scorsa notte ho sognato una tua lettera,
di cui non comprendevo il senso,
solo riconoscevo la parola “amore”,
spero mi scriverai in sogno chiaramente.

Quando dormo, vedo solo te entro la zanzariera;
quando bevo, vedo solo te nel mio bicchiere;
quando leggo, non vedo le parole, vedo solo te;
a scuola, non vedo ciò che l'insegnante traccia sulla lavagna, vedo solo te;
Perché non fai altro che nasconderti,
ti lasci solo vedere e non ti lasci prendere?

Tuo padre in questi giorni è a casa?
Vorrei venirti a trovare,
ma ho paura del sapore del distacco;
ed alla fine non oserò incontrarti.
Se ti incontrassi come potrei poi separarmi da te?
No, anche se il distacco è sofferenza,
è una dolce sofferenza!
Dirò alla mia anima di venirti a cercare stanotte,
preparati a riceverla.

(da Vento di Hui, 1922)

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La poesia d’amore di Wang Jingzhi in Cina, paese che non brilla certo per questo genere letterario, per un periodo venne addirittura giudicata “oltraggiosa”. Ma Wang lottò contro tutti i pregiudizi e i preconcetti di una cultura che chiedeva poesie per la massa e non emozioni private e personali. Sin dalla sua prima raccolta, che raccontava autobiograficamente il  primo amore, quello giovanile, timoroso, pieno di fantasmi, si diresse verso questi temi: l’aspetto centrale della poesia, secondo Wang, doveva essere il sentimento d’amore, doveva essere la passione. Ed è un tema che non abbandonò per tutta la vita.

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Primo amore

DISEGNO © REPUBBLICA

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LA FRASE DEL GIORNO
La magia del primo amore consiste nel non sapere che esso può sempre finire.
BENJAMIN DISRAELI, Henrietta Temple




Wang Jingzhi (Jixi, 1902 – Hangzhou, 1996), poeta cinese. La sua prima raccolta Vento di Hui, con cui esprimeva il desiderio sessuale, fu considerata un atto di sfida contro il decoro confuciano stabilito si ripercosse nella società cinese. Divenne un poeta influente, difeso dal Movimento 4 maggio, per poi cadere nell'oblio all'avvento della Repubblica Cinese.


giovedì 10 aprile 2014

Cupole a mandrie

 

IOSIF BRODSKIJ

STROFE VENEZIANE, 2, III

La luce vi disserra l’occhio come conchiglia; e le conchiglie
degli orecchi vi inonda lo scampanìo dei campanili.
All’abbeveratoio vanno a bere il bagliore della riva
cupole a mandrie.
Dalle imposte spalancate vi battono nelle nari
stracci gualciti, caffè forte, orzo.
Affonda in gola al drago di un San Giorgio d’oro
la picca, come nell’inchiostro
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(da Poesie italiane, 1996 - Traduzione di Giovanni Buttafava e Serena Vitale)

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Dopo una “notte moltiplicata dal mare per due”, Venezia si risveglia. E al poeta russo Iosif Brodskij la città scelta come luogo del cuore, come forma perfetta per la sua anima, rivela come ogni mattina la sua bellezza, il suo splendore che non è solo estetico, ma è anche quello degli infiniti riflessi e bagliori che il sole strappa alla laguna, alle cupole delle cento chiese che suonano all’unisono.

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Venezia

FOTOGRAFIA © TRIPSWITHTOTS

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LA FRASE DEL GIORNO
Venezia! Esiste un nome nelle lingue umane che abbia fatto sognare più di questo?
GUY DE MAUPASSANT, Gil Blas, 5 maggio 1885




Iosif Aleksandrovič Brodskij (Leningrado, 24 maggio 1940 – New York, 28 gennaio 1996), poeta, saggista e drammaturgo russo naturalizzato statunitense, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1987 e nel 1991 fu nominato poeta laureato degli Stati Uniti. Arrestato dal regime sovietico nel 1964 per “parassitismo”, fu costretto ai lavori forzati e successivamente all’esilio negli Stati Uniti. È sepolto nel cimitero di Venezia.

mercoledì 9 aprile 2014

Le cose dell’amore

 

NUNO JÚDICE

GIOCO

Sapendo che ti amo,
e quanto sono difficili le cose dell’amore,
preparo in silenzio il tavolo
da gioco, colloco i pezzi
sulla scacchiera, dispongo i posti
necessari perché tutto
cominci: le sedie
una di fronte all’altra, sebbene sappia
che le mani non possono toccarsi,
e che al di là delle difficoltà,
esitazioni, arretramenti
o avanzamenti possibili, solo gli occhi
trasportano, forse, un’ipotesi
d’intendimento. È allora che arrivi,
è come se un vento di nord
entrasse da una finestra aperta,
tutto il gioco vola per aria,
il freddo ti riempie gli occhi di lacrime,
e mi spingi dentro, dove
il fuoco consuma quel che resta
del nostro rompicapo.

(da Meditazione su rovine, 1994 - Traduzione di Giulia Lanciani)

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L’amore come un gioco: scacchiere, pezzi, posti designati, regole certe. È quello che prefigura il poeta portoghese Nuno Júdice (Mexhilhoeira Grande, 1949), arrivando a scoprire che ogni amore è differente, che nessuna regola è certa e precisa o applicabile, che non c’è tattica o strategia da studiare a tavolino, perché chi ama è spinto da una passione spesso accecante che ignora le convenzioni e che scombina le certezze.

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Scacchi

FOTOGRAFIA © BIEN PO

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LA FRASE DEL GIORNO
Quando l’amore vuole parlare, la ragione deve tacere.
JEAN-FRANÇOIS REGNARD, Il giocatore




Nuno Manuel Gonçalves Júdice Glória (Mexilhoeira Grande, 29 aprile 1949) è un poeta, romanziere e saggista portoghese. Professore universitario alla Universidade Nova di Lisbona, è esperto di letteratura medievale.


martedì 8 aprile 2014

La pelle levigata degli oggetti

 

ADAM ZAGAJEWSKI

DALLA VITA DEGLI OGGETTI

La pelle levigata degli oggetti è tesa
come la tenda di un circo.
Sopraggiunge la sera.
Benvenuta, oscurità.
Addio, luce del giorno.
Siamo come palpebre, dicono le cose,
sfioriamo l'occhio e l'aria, l'oscurità
e la luce, l'India e l'Europa.

E all'improvviso sono io a parlare: sapete,
cose, cos'è la sofferenza?
Siete mai state affamate, sole, sperdute?
Avete pianto? E conoscete la paura?
La vergogna? Sapete cosa sono invidia e gelosia,
i peccati veniali non inclusi nel perdono?
Avete mai amato? Vi siete mai sentite morire
quando di notte il vento spalanca le finestre e penetra
nel cuore raggelato? Avete conosciuto la vecchiaia,
il lutto, il trascorrere del tempo?

Cala il silenzio.
Sulla parete danza l'ago del barometro.

(da Della vita degli oggetti – Poesie 1983-2005, Adelphi, 2012)

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Il visibile e l’invisibile, la luce che dà forma agli oggetti di tutti i giorni: scende la sera, arriva il buio e la percezione cambia. Da qui prende spunto il poeta polacco Adam Zagajewski per ragionare sul destino umano, sul vivere, sulle emozioni che quegli oggetti inanimati non hanno e che ci fanno umani.

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FOTOGRAFIA © ATELIER GIORGIO MORANDI – GRIZZANA

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LA FRASE DEL GIORNO
L'occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose.
ITALO CALVINO, Le città invisibili




Adam Zagajewski (Leopoli, Ucraina, 21 giugno 1945), poeta, scrittore e saggista polacco. Esordì nel 1972 con Komunikat. Esponente della New Wave polacca, nel 1976 aderì al Comitato per la Difesa degli Operai e la dittatura comunista gli impedì di pubblicare. Cominciò allora il suo esilio a Houston e Parigi. Tornò a risiedere a Cracovia nel 2002.