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domenica 31 maggio 2009

Bicentenario di Haydn

Cade oggi il bicentenario della morte di Franz Joseph Haydn: il compositore austriaco si spense a Vienna all’età di 77 anni il 31 maggio 1809. Haydn riveste un importante ruolo nella storia della musica classica: pur non avendo il genio di Mozart e Beethoven, fu l’iniziatore della musica strumentale moderna, traghettando il tardo barocco con il suo stile galante a una piena razionalità costruttiva, preludio di quello che sarà il Romanticismo. Fu Haydn a dare una forma definitiva alla sonata e alla sinfonia, ponendo le basi per la musica da camera, soprattutto con l’utilizzo del quartetto per archi.

Il rigore e l’equilibrio con cui sviluppava i testi, l’eleganza apparentemente semplice della scrittura, la facilità d’invenzione sono le caratteristiche dell’opera di Haydn. La sua intuizione fu decisiva per la forma-sonata, basata su due temi e articolata nell’esposizione, nello sviluppo e nella ripresa, e per la definitiva costituzione in quattro movimenti della sonata, della sinfonia e del quartetto classici: allegro, andante, minuetto, allegro.

 Il catalogo di Haydn conta 108 sinfonie (da citare le sei Parigine e le dodici Londinesi), 50 concerti per strumenti, 47 divertimenti per orchestra, 83 quartetti per archi, 52 sonate per pianoforte, 194 trii. A queste opere strumentali vanno aggiunte le 26 messe, opere teatrali (Il mondo della luna, L’anima dei filosofi), cantate e oratori.

Alla vita e alle opere di Haydn è dedicata una mostra a Eisenstadt, in Austria, dal 1° aprile all’11 novembre 2009: a Palazzo Esterházy si esamina la cultura musicale di corte. Nella casa di Haydn sono esposte testimonianze della vita artistica e privata del compositore. Nel Museo Diocesano si passa in rassegna la musica sacra di Haydn. Il Landesmuseum Burgenland analizza i viaggi del compositore tra varie culture e i rapporti con la musica popolare.

 

Thomas Hardy, “Ritratto di Haydn”

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Se dunque la musica ha un maggior numero di amatori che non la poesia, o l'architettura, o la scultura, questo non si deve al fatto che essa è «più spirituale», come suol dirsi, bensì al fatto inverso: che è più sensuale.
VITALIANO BRANCATI, I piaceri

sabato 30 maggio 2009

La vita non sempre fa male


GESUALDO BUFALINO

RISARCIMENTO

La vita non sempre fa male,
può stracciarti le vele, rubarti il timone,
ammazzarti i compagni a uno a uno,
giocare ai quattro venti con la tua zattera,
salarti, seccarti il cuore
come la magra galletta che ti rimane,
per regalarti nell'ora
dell'ultimo naufragio
sulle tue vergogne di vecchio
i grandi occhi, il radioso
innamorato stupore
di Nausicaa.

(da Il malpensante,  Bompiani, 1987)

 

Il disincantato Gesualdo Bufalino rilegge così l’Odissea, trasformandola in una metafora della vita umana: l’uomo, che ha sopportato ogni sventura, che è stato in balia della sorte – meravigliose le immagini marinare scelte dallo scrittore di Comiso – ritrova un guizzo, il lampo inatteso della speranza, della gioia, rappresentata qui dalla bellezza di Nausicaa, dal suo inspiegabile innamoramento. Questo incanto è il “risarcimento” per tutte le disavventure subite, per quei giorni passati a combattere con il destino.

 

Jean Weber, “Ulisse e Nausicaa”

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Se, come diceva De Vigny, “una bella vita è un pensiero della giovinezza realizzato nell’età matura”, potrei essere soddisfatto, dopotutto, della mia vita.
GESUALDO BUFALINO, Il malpensante




Gesualdo Bufalino (Comiso, 15 novembre 1920 – Vittoria, 14 giugno 1996), scrittore, poeta e aforista italiano. Insegnante, si rivelò tardi alla letteratura pubblicando nel 1981 Diceria dell'untore, con cui vinse il Premio Campiello. Con il romanzo Le menzogne della notte vinse nel 1988 il Premio Strega. Il suo stile ricercato, ricco e  "anticheggiante" gli deriva dall’abilità linguistica e da una vasta cultura.


venerdì 29 maggio 2009

Il Puente del Diablo a Tarragona

Il Puente del Diablo a Tarragona è un imponente acquedotto romano costruito nel I secolo dopo Cristo: sorge a 4 km dalla città catalana, nei pressi del fiume Francolí: lungo 217 metri e alto 27, porta al culmine di due ordini di arcate la conduttura dell’acqua, che in origine era coperta.

Il 20 maggio scorso sono iniziati i lavori per il restauro integrale: l’ambizioso progetto prevede di far passare l’acqua attraverso tutto il canale per mostrare ai visitatori la funzione originale dell’opera vecchia di duemila anni. Il costo dell’operazione è di 2,5 milioni di euro, che saranno finanziati per tre quarti dal Ministero del Turismo e per un quarto dal Municipio di Tarragona.

Non si tratterà solo di restaurare il "Puente del Diablo”: verranno recuperati i giardini romantici e pulito il bosco. Inoltre, l’architetto Joan Albert Adell, incaricato dei lavori, intende analizzare come e quando l’acquedotto è stato costruito. Il restauro avverrà a pezzi per non impedire ai turisti di visitare e fotografare il ponte: il progetto sarà infatti portato avanti per 26 mesi. Il “Puente del Diablo” tornerà come nuovo nel luglio del 2011.


Il Puente del Diablo (Fotografia © Joan Im)

 

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LA FRASE DEL GIORNO
La potenza romana poggia sui costumi e gli uomini antichi.
ENNIO, Annali

giovedì 28 maggio 2009

Stile Oxford


“I poeti che brutte creature” recita un verso di una canzone di Francesco De Gregori. E in un’altra il cantautore romano parla ancora di loro: “ipocriti e gelosi come gatti, / sognano di premi letterari / e pugnalano alle spalle gli amici più cari”. Sembra impossibile che creature capaci di elevare le parole, di dare un tocco etereo a ciò che scrivono, possano finire preda dei peggiori istinti umani. Eppure la rivalità tra Montale e Ungaretti è notoria: non si potevano sopportare.

È dell’altro ieri la notizia di un’incresciosa bega tra poeti capitata a Oxford: la Facoltà di Poesia, una delle più prestigiose dell’Università inglese, era stata assegnata neanche una settimana fa per la prima volta in 301 anni a una donna, Ruth Padel, poetessa che tra i suoi avi conta nientemeno che Charles Darwin. All’ultimo momento era stata preferita al più accreditato Derek Walcott, settantanovenne poeta e drammaturgo caraibico, premiato con il Nobel per la Letteratura nel 1992. Il peso sulla bilancia che ha fatto propendere per la Padel è stata una denuncia per molestie sessuali intentata a Walcott da un’allieva nel lontano 1982, quando il poeta di Saint Lucia insegnava negli Stati Uniti. Ampi stralci del libro in cui Walcott veniva accusato sono stati pubblicati sui quotidiani britannici. Screditato il Premio Nobel, l’Accademia che doveva affidare l’incarico ha dovuto ripiegare sulla seconda in graduatoria, Ruth Padel.

Ebbene, Ruth Padel, dopo pochi giorni sulla prestigiosa cattedra, ha confessato di essere stata lei a far avere ad alcuni amici giornalisti la notizia delle molestie di Walcott: pensava che costoro avrebbero “seguito la storia in maniera responsabile”. Dei giornalisti! Risultato: in seguito alla campagna diffamatoria da lei orchestrata contro Derek Walcott, la Padel si è dimessa, gettando le paladine femministe nello sconforto – non credevano che si sarebbe comportata come un uomo…


Oxford (Fotografia Public Domain Pictures)


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LA FRASE DEL GIORNO
Si può essere più furbi di un altro, ma non più furbi di tutti gli altri.
FRANÇOIS DE LA ROCHEFOUCAULD, Massime e riflessioni, 394

mercoledì 27 maggio 2009

L’amore e la metafora

"L'amore comincia con una metafora. In altri termini: l'amore comincia nell'istante in cui la donna si iscrive con la sua prima parola nella nostra memoria poetica".

Così sostiene Milan Kundera nel suo romanzo più celebre, "L'insostenibile leggerezza dell'essere". La donna che si imprime nella memoria e diventa poesia: se pensiamo a Dante e Beatrice, a Petrarca e Laura dobbiamo convenire con lui. Nel romanzo la metafora rivelatrice è quella della donna, Tereza, "mandata sulla corrente in una cesta", a Tomáš, che la vede così mentre le cura un'influenza: invece di mandarla via, come ha fatto con le altre donne, se ne innamora. Come la biblica figlia del Faraone, trae in salvo Tereza-Mosè.

L'attimo in cui si riconosce l'amore è quello in cui si diventa poeti, ci dice Kundera: amore e poesia sono quindi intimamente legati, come nel famoso assioma di Juan Ramón Jiménez, posto a epigrafe di "Eternidades", «Amore e poesia ogni giorno». Vedere nello sguardo dell'amata il riflesso delle stelle o intuire che la sua presenza ci è necessaria come l'aria - attraverso la metafora - significa dunque comprendere di essere innamorati.


Edmund Blair Leighton, “Corteggiamento”

 

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore è come la poesia.
RAYMOND RADIGUET, Il diavolo in corpo

martedì 26 maggio 2009

L'urgenza della poesia

 

SERGIO SOLMI

ARTE POETICA

Sospirata parola, che alla fine
mi sei giunta, m'hai colto
in un momento di disattenzione,
e ti vuoi improvvisa, non cercata,
sfuggi al gesto raro, alla misura
esorbitante. D'una riga t'orli
di mare, gonfi in nube, ti dibatti
come colomba, sorgi in cima al semplice
respiro della voce, all'indolente
mano che ti scandisce, ed urgi - trepida
cosa tra cose - a collocarti in questa
calda, iridata, precisa esistenza.

(da Levania e altre poesie, 1956)


Il poeta reatino Sergio Solmi osì esprime l'essenza della poesia, l'ispirazione che preme e urge e chiede che i pensieri si tramutino in versi, che nascano sulla carta, attraverso la penna o una tastiera di computer, quasi che sia essa stessa a scriversi, a prendere vita, a respirare.

È un'impellenza che spinge a cercare un foglietto nelle tasche mentre si cammina o a fissare su un'agenda una veloce serie di parole mentre si lavora per rendere fisica quell'ispirazione momentanea e fugace, perché non sfugga come il sogno che dimentichiamo al mattino.

È così che sempre nasce la poesia, emozione non cercata, ma presentatasi improvvisa come un'amica accolta con gioia. È Solmi stesso a spiegarne il motivo: la poesia, che è movimento (mare, nube, colomba...), porta calore e colore nelle nostre vite.

 

Alba-09

 Fotografia © Daniele Riva



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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è un pugno, da cui si ha la vista per un istante abbagliata.
ARTHUR RIMBAUD




Sergio Solmi (Rieti, 16 dicembre 1899 – Milano, 7 ottobre 1981),  scrittore, poeta, critico letterario e saggista italiano. È stato poeta tanto originale quanto radicato nella tradizione italiana nonché felice traduttore. Come critico, si occupò di letteratura francese (Alain, Montaigne, Rimbaud), di paraletteratura e di Giacomo Leopardi.


lunedì 25 maggio 2009

La Treccani gratis online

In un momento in cui i giornali on line dibattono sulla necessità di far pagare tutto, andando probabilmente incontro a morte certa, l’Enciclopedia Treccani sigla invece un ambizioso accordo con il ministero della Pubblica amministrazione e dell’Innovazione.

Lo sviluppo della didattica e della cultura porta la storica enciclopedia a essere disponibile gratis in rete. L’intesa è stata siglata sabato dall’amministratore delegato Franco Tatò e dal ministro Renato Brunetta nell’ambito del programma e-Gov 2012: la digitalizzazione dei contenuti è a carico del ministero.

L’Enciclopedia Italiana di Scienze Lettere e Arti, l’Enciclopedia Treccani Trevolumi, il Treccani sinonimi e contrari, la piccola Treccani, il Dizionario Biografico degli Italiani, il vocabolario Treccani, i Neologismi, l’Atlante storico Treccani  si potranno consultare su tre portali distinti:

  1. www.treccani.it/portale/sito/scuola – il portale dell’istituto
  2. www.italia.gov.it. – il portale governativo per il cittadino
  3. www.innovascuola.gov.it – il sito dedicato agli studenti e agli insegnanti
     

Come ha detto l’alacre ministro Brunetta a Adnkronos, «Altro che Wikipedia, questa è un’altra cosa ed è un esempio di collaborazione per valorizzare il patrimonio esistente».





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LA FRASE DEL GIORNO
La conoscenza è potere. La scrittura è fonte di potere nelle società moderne, perché rende possibile trasmettere conoscenza meglio, più rapidamente e più lontano.
JARED DIAMOND, Armi, acciaio e malattie

domenica 24 maggio 2009

La “peste” di Tucidide

Uno dei grandi misteri della storia è cosa in realtà fu la “peste” che infuriò ad Atene tra il 430 e il 427 avanti Cristo, uccidendo un terzo della popolazione e lo stesso comandante, Pericle, spostando gli equilibri a favore di Sparta e chiudendo l’età dell’oro ateniese. È il morbo di cui parla Tucidide nella “Guerra del Peloponneso”: “A quanto si dice, comparve per la prima volta in Etiopia, al di là dell’Egitto, calò poi nell’Egitto e in Libia e si diffuse in quasi tutti i domini del re. Su Atene si abbatté fulmineo, attaccando per primi gli abitanti del Pireo” (II, 48). Tucidide, da bravo storico, elenca i sintomi: vampe al capo, arrossamento e gonfiore agli occhi, sangue dalla laringe e dalla lingua, respiro fetido e irregolare, febbre, starnuti e raucedine, attacchi di tosse, nausee, vomito, spasimi, eruzione di pustole, ulcerazioni.

Ora gli studiosi, dopo aver battuto svariate vie, sembrano giunti a una conclusione: non conoscono di preciso il tipo di virus, ma hanno limitato a due i responsabili dell’epidemia che avrebbe portato in pochi decenni Atene alla sconfitta. I paleopatologi sono divisi in due schieramenti: i tifosi della “Yersinia pestis” e i sostenitori della “Salmonella typhi” nel suo ceppo ancestrale. La peste, dunque, o la febbre tifoide. Ma molti dei sintomi indicati dallo scrupoloso Tucidide lasciano aperte altre strade: sindrome da shock tossico, antrace, Ebola, febbri emorragiche. O ancora lo scoppio e la diffusione contemporanea di varie epidemie, legate all’alto tasso di mortalità,al sovraffollamento, alle cattive condizioni igieniche e alla vicinanza degli animali.

L’ipotesi che si sia trattato di tifo è invece suffragata dal fatto che il virus attaccasse anche gli animali, e in particolare i cani. Sembra la teoria più verosimile: è sostenuta dai ricercatori dell’Università del Maryland e da A.W. Gomme, uno dei grandi commentatori di Tucidide. Di più, con i mezzi moderni, studiosi greci hanno analizzato frammenti di polpa dentaria di 150 scheletri dell’antico cimitero di Atene, il Kerameikos, isolandovi segmenti di acido nucleico compatibili con il batterio della Salmonella typhi. La difficoltà consiste nel fatto che i virus, proprio come gli uomini, non smettono di evolversi, e sono passati già 2400 anni.

 

La peste ad Atene (Immagine: Planeta Sedna)

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LA FRASE DEL GIORNO
Sii certo che per essere felici bisogna essere liberi e che per essere liberi bisogna mostrare il proprio coraggio, perciò non sottovalutare i pericoli della guerra.
TUCIDIDE, Guerra del Peloponneso

sabato 23 maggio 2009

Progressioni

C'è un metodo di raccontare molto particolare: quello di sviluppare un motivo per progressioni, vale a dire narrare una storia per mezzo di un susseguirsi di eventi o di poche frasi.

Famoso è il modo in cui il giornale "Moniteur" nel marzo 1815 illustrò ai francesi con i suoi titoli la fuga di Napoleone dall'esilio all'isola d'Elba:

9 marzo - Il mostro è evaso dal luogo del suo esilio
10 marzo - L'orco corso è approdato a Cap Juan
11 marzo - La tigre ha fatto la sua apparizione a Cap. Le truppe avanzano da tutte le parti per arrestare la sua avanzata. Egli finirà la sua miserabile avventura di fuggitivo sulle montagne
12 marzo - Il mostro è arrivato a Grenoble
13 marzo - Il tiranno è a Lione. Il terrore lo accompagna
18 marzo - L'usurpatore ha rischiato di avvicinarsi a sessanta ore di marcia dalla capitale
19 marzo - Bonaparte avanza a marce forzate. Non è possibile che raggiunga Parigi
20 marzo - Napoleone arriverà domani sotto le mura di Parigi
21 marzo - L'imperatore Napoleone a Fontainebleau
22 marzo - Ieri sera Sua Maestà l'Imperatore ha fatto il suo ingresso ufficiale alle Tuileries. Niente può uguagliare la gioia universale

Esilarante è qui la progressione che porta il "mostro" a divenire via via "orco", "tigre", "tiranno, "usurpatore" fino a trasformarsi, neanche due settimane dopo in "Sua Maestà l'Imperatore", a tutte iniziali maiuscole.

Dino Buzzati in uno dei racconti che formano la raccolta "Il colombre", intitolato "Il busso alla porta", descrive in pochissime righe la vita di una donna solo con le reazioni davanti a qualcuno che bussa all'uscio di casa:

Toc toc chi sarà? Il babbo coi regali di Natale?
Toc toc chi sarà? Giorgio? Dio mio, se i miei si accorgono!
Toc toc chi sarà? Deve essere lui, scommetto. Non gli passa con gli anni la voglia di fare scherzi al mio Giorgio.
Toc toc chi sarà? Tonino che torna a quest'ora? Oh, questi benedetti figlioli!
Toc toc. Il vento deve essere. O gli spiriti? O i ricordi? Chi mai potrebbe venirmi a cercare?
Toc toc toc.
Toc toc.
Toc.

C'è poi un fulminante "Controcorrente" di Indro Montanelli, che racconta un amore attraverso l'intestazione delle lettere: dal sorgere della passione al suo culmine, il suo scemare, il freddo addio.

"Signora..."
"Cara Signora..."
"Mia dolce Signora..."
"Amore mio..."
"Mia maliarda..."
"Amore caro..."
"Cara Amica..."
"Cara Signora..."
"Signora..."

 

Lisa Kowalski, “Vertical Focus III”

 

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LA FRASE DEL GIORNO
L'opera d'arte è l'esagerazione di un'idea.
ANDRÉ GIDE




Dino Buzzati, all'anagrafe Dino Buzzati Traverso (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972), scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo e poeta italiano. Fu cronista e redattore del Corriere della Sera. Autore di romanzi e racconti surreali e realistico-magici, è celebre per Il deserto dei Tartari.


Indro Alessandro Raffaello Schizògene Montanelli (Fucecchio, 22 aprile 1909 – Milano, 22 luglio 2001), giornalista, saggista e scrittore italiano. Corrispondente e inviato speciale di varie testate, fu redattore del Corriere della sera (1938-73); fondò e diresse  Il Giornale (1974-94) e La Voce (1994-95). Intransigente e anticonformista, dichiaratamente avverso al comunismo e fautore di una destra ideale.


venerdì 22 maggio 2009

L'apocope

Uno degli orrori più frequenti che vengono a violentare la grammatica italiana è quello di trovare scritto «pò» anziché «po'»: purtroppo anche l'infame meccanismo di scrittura automatica dei telefonini, il T9 tende a diffonderlo. E i giornali non sono da meno. Si spera che gli insegnanti siano ancora in grado di correggerlo.

Questo preambolo per esemplificare l'apocope, che altro non è se non la caduta della sillaba finale, indipendentemente dalla lettera iniziale della parola seguente. Un altro errore che è capitato in tempi recenti va ascritto alla canzone scritta da Claudio Baglioni per le Olimpiadi di Torino del 2006: si intitolava «Và» e non «Va'» come sarebbe stato giusto. Il cantautore si è poi riabilitato, inserendo il brano con il titolo corretto nel cofanetto "Gli altri tutti qui".

Dunque l'apocope è indicata con l'apostrofo e non con l'accento, a segnalare che dopo quella sillaba ce n'era un'altra: «po'» era «poco»; «va'» era «vai». Altri imperativi ne sono soggetti: «da'» e «fa'» per «dai» e «fai»; «di'» per il suo antenato latino «dic», il colloquiale «ve'» per «vedi». Altri casi non vi sono, se non l'uso obsoleto di certe forme di preposizioni articolate, diffuso nelle poesie anteriori al Novecento: "Sotto i limpidi soli e tra le molli / ombre de' lauri a' mormorii de l'acque" scriveva ad esempio Giosue Carducci nel sonetto "Val d'Arno" e quel «de'» e quell'«a'» erano due casi di apocope.

 

Fotografia: Photo.Spriggs

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Chiunque può sbagliare; ma nessuno, se non è uno sciocco, persevera nell'errore.
CICERONE, Filippiche, XII, 5

giovedì 21 maggio 2009

Il tentativo (inutile) del Dossi

"La desinenza in A" di Carlo Dossi è un romanzo didascalico che vorrebbe descrivere attraverso vari bozzetti il genere femminile: dipingendo svariate scene l'autore mostra sfaccettate figure di donne, dall'educanda alla meretrice, dalla suora all'adultera, dalla giovane in cerca di marito all'amante sfrenata.

Insomma, il Dossi si muove tra Decadentismo e Scapigliatura. Ma l'aspetto interessante di quest'opera, che risale al 1884, è il tentativo del Dossi di riformare la punteggiatura della lingua italiana: infatti vengono adottate alcune norme di base per regolamentare il testo scritto:

1) l'accento grave obbligatorio su tutte le parole ad eccezione di quelle piane - quindi tronche, semitronche, sdrucciole, bisdrucciole e trisdrucciole.

2) l'uso del punto interrogativo e del punto esclamativo all'inizio di una frase interrogativa o esclamativa, come avviene nella lingua spagnola.

3) un nuovo segno di punteggiatura, il "due virgole", indicato da due virgole sovrapposte, a indicare una pausa intermedia tra la virgola e il punto e virgola.

Il testo è, sulla base di queste norme, all'inizio francamente illeggibile, poi si riesce a fare l'abitudine.

Un esempio:

O Pùbblico, o solo mio Rè, si fà porta. Due lire e tu sei in teatro. !Ànimo! risparmia un pajo di guanti, un nastro, un fiore, un sacchettino di dolci, e ardisci di non scroccarmi il biglietto. ¿Chi è mai, che con un cinque-centèsimi in tasca avrebbe tanta impudenza di domandare, per grazia, a un panettiere un panuccio?

Una riforma a ben guardare inutile, vanamente studiata per complicare le cose semplici. Pensare di usare tutti quegli accenti e quei segni di interpunzione fa passare la voglia di scrivere...

 

Immagine da Pinterest

 


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LA FRASE DEL GIORNO
L'originalità in arte ha più spesso radici in difetti che non in virtù.
CARLO DOSSI, La desinenza in A, Margine




Alberto Carlo Felice Pisani Dossi (Zenevredo, 27 marzo 1849 – Cardina, 17 novembre 1910), scrittore, diplomatico e archeologo italiano. Tra i più importanti esponenti della scapigliatura milanese, apprezzato per il  linguaggio ricercato ma comprensibile a tutti, le sperimentazioni linguistiche dialettali milanesi e la spiccata ironia con la quale mosse critica al suo tempo e alla sua società, sia in ambito politico che sociale.


mercoledì 20 maggio 2009

Mario Benedetti

Il poeta uruguayano di chiare origini italiane Mario Benedetti si è spento domenica sera all’età di 88 anni nella sua casa di Montevideo. Il suo lascito è racchiuso in oltre ottanta opere suddivise in raccolte di poesie, racconti e saggi.

Benedetti è un poeta dell’amore e del quotidiano, ma fece scalpore nel 1956 la pubblicazione di “Poemas de la oficina”, dove trattava un tema considerato poco poetico – a torto: si pensi a Volponi. Con il suo stile diretto e colloquiale Benedetti ha saputo descrivere le situazioni e le sensazioni che gravitano attorno all’amore, alla morte, al tempo. Ma il poeta uruguayano, che viveva in una terra di lotte e dittature quale era il Sudamerica, seppe toccare anche temi sociali: la povertà, l’ingiustizia, la solitudine, la speranza, tutte le inquietudini che caratterizzano l’umanità.


Due poesie di Mario Benedetti:


TATTICA E STRATEGIA

La mia tattica è guardarti
imparare come sei
volerti come sei
la mia tattica è parlarti
costruire con parole
un ponte indistruttibile
la mia tattica è rimanere nel tuo ricordo
non so come
né so con quale pretesto
ma rimanere in te
la mia tattica è essere franco
e sapere che tu sei franca
e che non ci vendiamo simulacri
affinché tra i due
non ci sia teloni
né abissi
la mia strategia è
invece
molto più semplice
e più elementare
la mia strategia è
che un giorno qualsiasi
non so con che pretesto
finalmente abbia bisogno di me.





TI AMO

Le tue mani sono la mia carezza,
i miei accordi quotidiani
ti amo perché le tue mani
si adoperano per la giustizia
se ti amo è perché sei
il mio amore la mia complice e tutto
e per la strada fianco a fianco
siamo molto più di due
i tuoi occhi sono il mio esorcismo
contro la cattiva giornata
ti amo per il tuo sguardo
che osserva e semina il futuro
la tua bocca che è tua e mia
la tua bocca che non si sbaglia
ti amo perché la tua bocca
sa incitare alla rivolta
se ti amo è perché sei
il mio amore la mia complice e tutto
e per la strada fianco a fianco
siamo molto più di due
e per il tuo aspetto sincero
e il tuo passo vagabondo
e il tuo pianto per il mondo
perché sei popolo ti amo
e perché l’amore non è un’aureola
né l’ingenuo finale di una favola
e perché siamo una coppia
che sa di non essere sola
ti voglio nel mio paradiso
ossia quel paese
in cui la gente vive felice
anche senza permesso
se ti amo è perché sei
il mio amore la mia complice e tutto
e per la strada fianco a fianco
siamo molto più di due.



[L’immagine è tratta da El Boomeran(g)]



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LA FRASE DEL GIORNO
L’amore non è ripetizione. Ogni atto d’amore è un ciclo in se stesso, un’orbita chiusa nel suo rituale. È - come posso spiegarti? – un pugno di vita.
MARIO BENEDETTI, Rincón de Haikus




Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano. Figlio di immigrati italiani, fece parte della Generazione del’45. Nel 1973 fu costretto all’esilio dal golpe militare. Rientrò nel 1983.


martedì 19 maggio 2009

Città fasciste

Latina, Aprilia, Pontinia, Sabaudia, Carbonia... Sono le città italiane di fondazione: un progetto urbano edificato su un territorio praticamente vergine. Così nel Rinascimento nacquero Pienza e Sabbioneta, a fine Seicento dopo una serie di terremoti Cerreto Sannita, Noto e Ragusa.

Ma le vere "città di fondazione" sono quelle del Ventennio, fondate dal nulla o ristrutturate dal regime fascista: la bonifica dell'Agro Pontino fu una palestra eccezionale per gli architetti razionalisti dell'epoca. Come rileva Antonio Pennacchi in "Viaggio per le città del Duce", queste 143 città sono l'emblema dell'ordine: larghi viali che conducono al municipio, alla chiesa, alla caserma, alla casa del fascio. Un'architettura moderna e ambiziosa - si pensi all'imponenza dell'EUR a Roma - che prova a collegare la Roma antica e il Bauhaus, saltando a piè pari il Rinascimento e il Barocco, che la cultura dell'epoca riteneva periodi decadenti. Linee semplici e razionali, dunque.

Il regime rispondeva così all'esigenza di sanità pubblica in una delle zone più povere d'Italia: con nuove città intendeva portare uno sviluppo favorevole anche al resto dell'economia del paese. Ora, come giudicare questi agglomerati? Condannare l'architettura come si è condannato il fascismo? O accettare che dal regime sia nato qualche cosa di positivo? Credo sia condivisibile il pensiero rilasciato a Le Monde lo scorso anno da un grande architetto, Massimiliano Fuksas: "Non esiste uno stile fascista, ma solo un'architettura moderna. Si è confuso l'architetto e il fascista. Questa mescolanza di storicismo e Bauhaus era il parto di gente colta".


DSC_0503 Latina, Palazzo Comunale in Piazza del Popolo

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Il destino dell'architetto è il più strano di tutti. Molto spesso mette tutta la sua anima, tutto il suo cuore e passione nel creare edifici nei quali non entra mai di persona.
JOHANN WOLFGANG GOETHE

lunedì 18 maggio 2009

Isaac Albéniz

Cento anni fa, il 18 maggio 1909, all'età di quarantanove anni si concludeva la vita di Isaac Albéniz. Vita avventurosa per un musicista. Era nato nel 1860 a Camprodon, in Catalogna, da un ispettore delle tasse che ne intuì subito il talento musicale e lo istradò verso una carriera da bimbo prodigio: a quattro anni il piccolo Isaac fece il suo debutto improvvisando ad un concerto pubblico, a sette sua madre lo portò a Parigi per studiare con il maestro di Bizet e Debussy, Jean-François Marmontel.

Ma difficile è la vita dei bambini prodigio: tornato in Spagna, Albéniz fuggì di casa, visse all'aperto mantenendosi come suonatore acrobata negli spettacoli di vaudeville. In pratica, vestito come un moschettiere, con tanto di spada, suonava la tastiera posta dietro la schiena con le nocche, tenendo i palmi in su!
Aveva dodici anni quando, dopo incidenti e traversie, si imbarcò da clandestino su una nave per Buenos Aires, città che lasciò poi per Cuba e per gli Stati Uniti, dove iniziò a dare concerti a New York e a San Francisco. Tornò in Europa e suonò a Liverpool, Londra e Lipsia.

Il suo spirito libero - aveva allora solo quindici anni! - non tollerava vincoli e catene, non era in grado di sottostare alla disciplina necessaria per portare avanti studi regolari: Albéniz si affidava esclusivamente al suo talento. Furono gli incontri con altri geni della musica a indicargli la strada, a condurlo per mano: Liszt a Budapest, Dukas a Parigi e Felipe Pedrell in Spagna. Costui, studioso del folklore e delle danze popolari, convinse Isaac a diventare un compositore, servendosi della lingua spagnola. Il trentenne Albéniz si dedicò alla zarzuela, l'opera spagnola, mettendola in scena a Parigi, prima di musicare dietro compenso i libretti del banchiere inglese Money-Coutts. Con il passare degli anni, la sua musica per pianoforte, con quel gusto spagnolo che mediava folklore e impressionismo, gli diede notorietà: Parigi, Barcellona e Nizza se lo contendevano. Fu proprio allora che il destino si accanì contro di lui: la giovane figlia morì, la moglie venne colpita da un male incurabile, lui stesso sviluppò la malattia di Bright.

Albéniz fu un precursore di quella scuola spagnola che avrebbe portato a Granados, De Falla e Turina: seppe fondere gli elementi folkloristici, memore certo del vaudeville e degli insegnamenti del musicologo Pedrell: la sua ispirazione, se anche la struttura pianistica ha un grosso debito con Liszt, è tutta spagnola, dalle chitarre ai ballerini di flamenco, dai ritmi esuberanti alle melodie sensuali.

DISCOGRAFIA ESSENZIALE

Ibéria. Navarra. Suite Española - Alicia de Larrocha Decca 417 887-2DH2 (126’)
Ibéria - Marc-André Hamelin Hyperion CDA67476/7 (126')
Albeniz. Granados. Rodrigo - Julian Bream RCA Navigator 74321 17903-2 (77')




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LA FRASE DEL GIORNO
Non sarebbe la musica una lingua perduta, della quale abbiamo dimenticato il senso, e serbata soltanto l'armonia?
MASSIMO D'AZEGLIO, I miei ricordi, X

domenica 17 maggio 2009

Elpidio Jenco

Poeta poco noto è Elpidio Jenco, napoletano trapiantato in Versilia, che fu tra i fondatori del Premio Viareggio con Rèpaci, Conti e Colantuoni. Eppure la sua è una poesia pura, espressa con uno stile nitido che ha imparato la lezione degli studi dell'haiku giapponese e che risulta melodica e decorativa.

Jenco racconta una vita amorosa e segreta, un intimo sguardo sotto la traccia delle cose per sorprendere il barbaglio leggero della bellezza, colta in senso platonico.


CONGEDO

Mi libero negli spazi
da questo grumo di argilla pesa,
e mi sento affiorare
alla superficie dell'infinito,
come una polla d'acqua
che salga alle radici del mare.

(da Poemi della primalba, La Diana, 1918)

 

RESPIRO

Questo tremor d'acque argentate
è il respiro pacifico della montagna
che tutta amorosa dolcezza
di chine nel lago si bagna,
alla luna di mezza estate...

(da Cenere azzurra, Augustea, 1932)

 

MAGGIO

Questa notte di lucciole,
pei silenzi odorosi
del fieno e del grano,
sanno di fresco di luna
le rugiade sull'erba....

(da Essenze, Degli Orfini, 1933)

 

 



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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è come la pittura.
ORAZIO, Arte poetica




Elpidio Jenco (Capodrise, 9 febbraio 1892 – Viareggio, 30 marzo 1959) è stato un poeta italiano. Esordì con Poemi della primalba (1918), di un panismo e colorismo dannunziani; redattore-capo della rivista letteraria italo-giapponese Sakura, tradusse in italiano numerosi "haikaisti" moderni, e dei loro modi tenne conto, poi, nelle proprie liriche con effetti di essenzialità affini a quelli dell'ermetismo.


sabato 16 maggio 2009

Dolce tristezza


GUIDO GOZZANO
L'ULTIMA INFEDELTÀ

Dolce tristezza, pur t'aveva seco,
non è molt'anni, il pallido bambino
sbocconcellante la merenda, chino
sul tedioso compito di greco...

Più tardi seco t'ebbe in tuo cammino
sentimentale, adolescente cieco
di desiderio, se giungeva l'eco
d'una voce, d'un passo femminino.

Oggi pur la tristezza si dilegua
per sempre da quest'anima corrosa
dove un riso amarissimo persiste,

un riso che mi torce senza tregua
la bocca... Ah! veramente non so cosa
più triste che non più essere triste!

(da I colloqui, 1911)


Ha un secolo questo sonetto di Guido Gozzano, stampato il 5 luglio 1909 su "La Donna", ma composto l'anno prima. L'ultima infedeltà, quella che dà un senso all'intera poesia, è l'abbandono della tristezza che ha accompagnato il poeta negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza, periodo mitizzato da Gozzano: quella dolce tristezza che gli veniva dalla mancanza di un vero affetto si è dileguata con il tramontare della giovinezza, si è trasformata in un riso amaro e sarcastico. Aver perso quella compagna malinconica - ricordiamo la "felicità di essere triste" di Victor Hugo - è allora la vera tristezza.

"Dolce tristezza": non è un ossimoro la fusione di questi due concetti, ma un amalgama sorprendente come certe volte capita in cucina - il risotto con l'uva fragola, i dessert con le melanzane... Dolce può essere la tristezza e molti esempi sono riscontrabili soprattutto nel periodo a cavallo tra la metà dell'Ottocento e l'inizio del Novecento:

"Nulla è più dolce e triste
de le cose lontane".

GABRIELE D'ANNUNZIO, "Invito alla fedeltà"

"È che la dolce tristezza di questo pacifico spettacolo entrava in comunione simpatica con la tristezza dolce di cui si impregnava il loro sogno comune".
HENRI MURGER, "Il paese latino"

"E tutto il triste dolce di una cosa finita
e tutto il triste dolce di una cosa perduta".

GEORGES RODENBACH, "Del silenzio"

Come si può notare, il confine tra dolcezza e tristezza è davvero labile.


Jacques Van Loo, “Malinconia”

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Le cose diventano più dolci quando sono perdute.
FRANCIS SCOTT FITZGERALD, Belli e dannati




Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – 9 agosto 1916),   poeta italiano, fu il capostipite della corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Inizialmente si dedicò alla poesia nell'emulazione di D'Annunzio e del suo mito del dandy. Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti, accomunati dall'attenzione per "le buone cose di pessimo gusto". Morì di tisi a 32 anni.


venerdì 15 maggio 2009

Tivoli, Villa d’Este

Lo scorso sabato ho visitato Villa d’Este a Tivoli, un’opera voluta dal cardinale Ippolito II d’Este, figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia. Ippolito, papa mancato nel Conclave del 1550 che elesse Giulio III, fu ricompensato con la carica di governatore a Tivoli. Arrivatovi il 9 settembre, scoprì che la residenza del governatore era un antico convento: iniziò allora a concepire l’idea di edificare una villa gemella della residenza in costruzione a Roma e di dotarla di un ampio giardino. Quello di Villa d’Este, che è nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, è il progenitore di tutti i “giardini all’italiana”.

L’architetto Pirro Ligorio sovrintese sia ai lavori della villa sia all’ideazione del giardino, affiancato da numerosi artigiani. Il cardinale acquistò terreni e due chiese per realizzare l’opera e fece convogliare le acque dell’Aniene per alimentare i giochi d’acqua. Se la villa è mirabile, il giardino è meraviglioso: si articola fra terrazze e pendii, con un asse longitudinale centrale e cinque assi trasversali principali, collegati e raccordati con scalinate che superano con maestria le diverse pendenze. I numeri sono impressionanti:  35.000 mq complessivi di giardini, 250 zampilli, 60 polle d’acqua, 255 cascate, 100 vasche, 50 fontane, 20 esedre e terrazze, 300 paratoie, 30.000 piante a rotazione stagionale, 150 piante secolari ad alto fusto, 15.000 piante ed alberi ornamentali perenni, 9.000 mq di viali, vialetti e rampe.

Le “Cento Fontane” lasciano a bocca aperta, come i mascheroni che riversano acqua e che fecero scrivere questi versi a Gabriele D’Annunzio nelle “Elegie romane”: “Parlan fra le non tocche verzure le Cento Fontane, / parlan soavi e piane come femminee bocche, mentre sui lor fastigi che il sole di porpora veste, / splendono (oh Gloria d’Este”) l’aquile e i fiordiligi”. Aquile e gigli, che sono nello stemma della famiglia d’Este, sono sparsi un po’ ovunque nel giardino: statue, mattonelle, bassorilievi .

Le “Cento Fontane”

Imponente la “Fontana dell’Organo”, che, attraverso un sistema idraulico, a ore stabilite permette a un organo di suonare automaticamente quattro arie rinascimentali. Analogamente la “Fontana della Civetta” aziona un automa musicale che consente agli uccellini di bronzo di pigolare all’arrivo di una civetta.

La “Fontana dell’Organo”, particolare

Nelle “Peschiere” si mescolano il cielo e le piante circostanti in un gioco sempre nuovo di riflessi. La “Fontana di Rometta” apre uno scorcio sulla città sottostante e riporta ancora una volta nella mitologia, così come la “Fontana di Nettuno”. Passeggiare nell’atmosfera rilassante del giardino significa entrare nella cultura classica, lanciarsi in un mondo di allegorie e miti: a Villa d’Este, nel meraviglioso connubio di arte e natura, si comprende la vera essenza del Rinascimento.

La “Fontana di Rometta”, particolare

DSC_0371 Le “Peschiere”

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Laudato si', mi Signore, per sor'acqua, la quale è molto utile et humele et pretiosa et casta.
SAN FRANCESCO D’ASSISI, Cantico delle Creature

giovedì 14 maggio 2009

Latina 2009, emozioni

Ogni Adunata nazionale degli alpini lascia le sue emozioni: anche Latina 2009 non ha fatto eccezione. Mi sono portato a casa il groppo in gola nel vedere Nelson Cenci, Carlo Vicentini e il generale Luigi Morena reggere il Labaro dell’Associazione con le medaglie d’oro; mi sono portato via il calore della gente e negli occhi ho ancora i tricolori che pavesavano la città. Una sfilata di oltre due chilometri sotto un sole cocente mitigato appena da un venticello che arrivava dal mare. Goduta metro dopo metro, passo dopo passo, viso dopo viso oltre le transenne.

E il sabato l’incontro con gli amici dell’Abruzzo, conosciuti quattro anni fa. Questa volta è stato più difficile ridere e scherzare, ma abbiamo sentito più saldo il legame che ci stringe mentre il fumo degli arrosticini che cuocevano sulla brace si diffondeva per i locali della Fiera. Si è finiti per cantare tutti insieme con un’incrinatura nella voce quando si è intonato “Abbruzze mè” e “Reginella campagnola”.

Per nuove emozioni, tutti a Bergamo l’8 e 9 maggio del 2010…

 DSC_0465 DSC_0505 DSC_0506 DSC_0510DSC_0520DSC_0524Dall’alto in basso: Un momento di allegria alla Fiera / La Torre civica di Latina / La Fontana con la sfera / Il benvenuto della città / Una fanfara durante la sfilata / Il ministro della Difesa Ignazio La Russa tra gli alpini di Lecco.

 

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LA FRASE DEL GIORNO
I veci che recentemente abbiamo ammirato per l’abnegazione ed il coraggio con cui sono intervenuti per fornire soccorso e sostegno alle genti d’Abruzzo, costituiscono esempio e guida per tutti gli uomini e le donne della specialità che servono l’Italia nelle missioni internazionali per la stabilità e la pace.
GIORGIO NAPOLITANO, Messaggio all’A.N.A., 8 maggio 2009

mercoledì 13 maggio 2009

Da un porto sicuro


MARIO LUZI
SULLA RIVA

I pontili deserti scavalcano le ondate,
anche il lupo di mare si fa cupo.
Che fai? Aggiungo olio alla lucerna,
tengo desta la stanza in cui mi trovo
all'oscuro di te e dei tuoi cari.

La brigata dispersa si raccoglie,
si conta dopo queste mareggiate.
Tu dove sei? ti spero in qualche porto.
L'uomo del faro esce con la barca,
scruta, perlustra, va verso l'aperto.
Il tempo e il mare hanno di queste pause.

(da Onore del vero, Neri Pozza, 1957)

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Non temo il mare, ma faccio sempre tesoro della saggezza degli antichi: "Com'è dolce guardare il mare da terra!" scrisse il greco Archippo, e, al sicuro del porto, Orazio vorrebbe "guardare il mare che infuria lontano". È quello che fa Mario Luzi in questa che è una delle sue poesie più celebri.

Il mare non è solo quello reale, ma anche quello figurato della vita, del tempo che scorre con le sue mareggiate e le sue bonacce. E accompagna il viaggio, questa sorta di Odissea che è il vivere. Lo stesso Luzi in un'intervista del 1998 a Il foglio clandestino disse della poesia, legandola indissolubilmente alla sua vita: "È un po’ un viaggio alla ricerca di se stessi, ma anche di una verità oggettiva, possibilmente. L’identità non ci viene data fin dal principio, la dobbiamo scoprire. Solo da ultimo si capisce, se si capisce, chi siamo. E solo dopo aver visitato parecchi luoghi della nostra mente, della nostra anima e dell’esperienza che è stata conservata. È un grande lavorio per conoscersi rispetto ad un mondo che rimane sempre un mistero, celato nella sua magnificenza e nei suoi abissi. Comunque, la mia poesia è più ricca di interrogazioni che di affermazioni, ha proposto sempre più inviti ad andare avanti".

Sulla riva è una poesia molto montaliana: attraverso il suo schema di simboli (la tempesta, la mareggiata), Luzi delinea una situazione negativa in cui l'unica via di salvezza sembra essere una pausa, quindi non un momento felice, ma un'assenza di infelicità. La differenza con Montale è nella speranza: il cristiano Luzi vede la salvezza, spiegata con tutti quei gesti (aggiungere olio alla lucerna, tenere desta la stanza). L'uomo del faro è l'uomo della luce, l'uomo del barlume...

Dunque non temiamo il mare, non temiamo la vita, ma affrontiamo il viaggio con coraggio e determinazione.


Faro di Four, Bretagna - Fotografia da Panoramio

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Un poeta è un mondo racchiuso in un uomo.
VICTOR HUGO




Mario Luzi (Castello di Firenze, 20 ottobre 1914 – Firenze, 28 febbraio 2005), poeta italiano, fu uno dei grandi rappresentanti dell’Ermetismo. Più volte candidato al Nobel, fu insignito della Legion d’Onore. Fu Accademico della Crusca e senatore a vita.


martedì 12 maggio 2009

Acronimi

Non ho mai amato gli acronimi, così come le abbreviazioni. Ma adesso, in questo mondo che va di fretta, con un'ansia di consumare tutto velocemente, anche i sentimenti e le emozioni, sono diffusissimi.

T.V.T.B. è un acronimo, come ACAB, RAM e TAC. Piccole paroline o sigle formate dalle iniziali di altre parole, per brevità. Quindi "Ti Voglio Tanto Bene", "All Cops Are Bastard", "Random Access Memory" e "Tomografia Assiale Computerizzata". Il termine deriva dal greco: άκρος (ákros), "la parte più alta o più estrema", è unito a όνομα (ónoma), "nome".

Non è, come può sembrare, una novità moderna: i latini, al termine o all'inizio di una lettera scrivevano il nome del mittente con il nome del destinatario e SPD (salutem plurimam dicit): "Cicero Attico S.P.D.", Cicerone saluta molto cordialmente Attico. Come saluto conclusivo ponevano la sigla SVBEEV, "Si vales bene est ego valeo", se sei in salute va bene, io sto bene.

In tempi più recenti c'è un acronimo che ricorda l'ACAB di cui sopra, ovvero usato in ragione cospirativa: durante il Risorgimento italiano, quando Milano era occupata dagli austriaci, la scritta W VERDI nascondeva sotto l'innocua forma di una lode al noto musicista, l'esaltazione dell'Unità d'Italia: Viva Vittorio Emanuele Re D'Italia.

Ora è tutto un fiorire di acronimi: la maggior parte delle televisioni vengono indicate così (RAI, BBC, CNN, ZDF) e anche molte società (FIAT, ENI, IRI, BMW), applicazioni scientifiche e tecnologiche (CD, DVD, HD, DDT), enti e prodotti finanziari (SPA, SRL, BOT, CCT), partiti politici (PDL, PD, DC, PRI), organismi internazionali (NATO, ONU, OCSE, UE), agenzie governative (CIA, FBI, MI6, DIA) interi stati (USA, EAU), oggetti d'uso comune (CPU è il computer, per i francesi VTT è la mountain bike). Quelli militari (PAO, CPS, CPR, SRCM) con la sospensione della leva sono in disuso.



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LA FRASE DEL GIORNO
Quel che è buono, se è breve, diventa buono il doppio; e perfino il male, se è poco, pare minore: fanno più le quintessenze che le farragini.
BALTASAR GRACIÁN, Oracolo manuale e arte di prudenza

lunedì 11 maggio 2009

La luce della poesia

GIORGIO CAPRONI

PERCH'IO...

... perch'io, che nella notte abito solo,
anch'io, di notte, strusciando un cerino
sul muro, accendo cauto una candela
bianca nella mia mente - apro una vela
timida nella tenebra, e il pennino
strusciando che mi scricchiola, anch'io scrivo
e riscrivo in silenzio e a lungo il pianto
che mi bagna la mente...

(da Il seme del piangere, 1959)

Che splendida poesia questa di Giorgio Caproni: è una metafora dell'ispirazione poetica, dello scrivere. Tutti noi che ci dilettiamo con racconti e poesie siamo come chi si sveglia di notte e rischiara il buio con la debole e tremolante fiamma di una candela: l'ispirazione, l'intuizione, l'analogia fulminante che costituisce il nocciolo stesso di una poesia, la trama segreta che sostiene un racconto. Il pensiero, l'immaginazione, la fantasia è quella luce che spazza angoli della mente, anche con dolore o angoscia o malinconia: noi poeti con le nostre candele dell'amore e del ricordo.

 

Fotografia: Pxhere

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Sul foglio di carta / il poema si fa / come il giorno / sulla palma dello spazio.
OCTAVIO PAZ, Ritorno




Giorgio Caproni (Livorno, 7 gennaio 1912 – Roma, 22 gennaio 1990), poeta, critico letterario e traduttore italiano. Partito come preermetico attirato da uno scabro espressionismo, approdò a un ermetismo rivestito di un impressionismo idillico. Nella sua poesia canta soprattutto temi ricorrenti (Genova, la madre e Livorno, il viaggio, il linguaggio), unendo raffinata perizia metrico-stilistica a immediatezza e chiarezza di sentimento.



domenica 10 maggio 2009

Festa della Mamma


ALFONSO GATTO

UNA MADRE CHE DORME

Una madre che dorme
piove in dolcezza dentro di sé
come una grotta
e in fondo al lume ha il suo bambino.
Una madre che dorme
dorme al panneggio ardente d'una fiera
che la guarda mansueta.
È una dolce sera
in mezzo alla pupille
della sua onda quieta.

(da La forza degli occhi, 1953)


A mia mamma, da Latina, dove mi trovo per l’Adunata degli Alpini, dedico questa poesia di Alfonso Gatto. Grazie, mamma! Auguri!

Mamma in italiano, e negli altri paesi del mondo?

  • mama in Spagna, Polonia e Slovacchia
  • mom negli Stai Uniti
  • mum e mummy nel Regno Unito, in Canada, Olanda, Singapore, Australia e Nuova Zelanda
  • māma (妈妈/媽媽) in Cina
  • máma nella Repubblica Ceca
  • maman in Francia e Iran
  • ma, mam o mammy in Irlanda
  • mamma in Islanda
  • mãe in Portogallo
  • maa, aama e mata, matrika in India
  • a mi nel Punjab
  • anya in Ungheria
  • mama in Sudafrica
  • eema (אמא) in Israele
  • o in Vietnam
  • mam in Galles
  • eomma (엄마) in Corea
  • ema in Estonia
  • mama in Giappone
  • amma, ammu, oma, ammi, ummi in varie parti dell’Asia e del Medio Oriente

 

William Bougereau, “Affection maternelle”

 

 

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LA FRASE DEL GIORNO
I figli sono per la madre ancore della sua vita.
SOFOCLE, Fedra




Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976), poeta e scrittore italiano. Ermetico, ma di confine, giornalista e pittore, insegnante di Letteratura all'Accademia di Belle Arti, collaboratore di “Campo di Marte”, la sua poesia è caratterizzata da un senso di morte che si intreccia al vivere.


sabato 9 maggio 2009

Il cappello alpino

Mi trovo a Latina per l’82a Adunata Nazionale degli Alpini: il tema scelto quest’anno per le cerimonie e per la lunga sfilata che inizierà alle otto di domani per terminare dieci ore dopo è “Dai ghiacciai alle paludi con tenacia a difesa del dovere” ed è arricchito da un senso di fratellanza con gli abruzzesi, popolazione di montagna e quindi vasto serbatoio delle truppe alpine.

Per spiegare cosa significhi essere alpino, riporto una delle più belle descrizioni del cappello alpino, rinvenuta nelle tasche di un caduto in Grecia:


SAPETE COS’È UN CAPPELLO ALPINO?

E' il mio sudore che l'ha bagnato e le lacrime che gli occhi piangevano e tu dicevi: "nebbia schifa".
Polvere di strade, sole di estati, pioggia e fango di terre balorde, gli hanno dato il colore.
Neve e vento e freddo di notti infinite, pesi di zaini e sacchi, colpi d'armi e impronte di sassi, gli hanno dato la forma.
Un cappello così hanno messo sulle croci dei morti, sepolti nella terra scura, lo hanno baciato i moribondi come baciano la mamma.
L'han tenuto come una bandiera.
Lo hanno portato sempre.
Insegna nel combattimento e guanciale per le notti.
Vangelo per i giuramenti e coppa per la sete.
Amore per il cuore e canzone di dolore.
Per un Alpino il suo CAPPELLO E' TUTTO.

alpini

 

È una poesia che spiega bene il senso di appartenenza che lega chi ha servito in questo corpo e che tuttora "serve" facendo quello che può e quello che sa, molto spesso più del necessario. Non è solo quello che viene definito "spirito di corpo", è qualcosa che va oltre, è un temperamento che si è venuto formando, che ha forgiato il carattere. E sì, c'entrano anche le montagne, o meglio la disciplina e i sacrifici che la montagna esige, perché lassù nulla si improvvisa e nulla si lascia al caso.

E allora quando c'è da rimboccarsi le maniche, che sia per un'emergenza come quella del sisma in Abruzzo, come furono quelle dei terremoti in Friuli, in Armenia e in Umbria, o per un gesto di riconoscenza come la costruzione di un asilo a Rossosch, in Ucraina, dove si svolse la tremenda ritirata del 1942-43, o ancora per l'attivazione di un ospedale da campo sempre pronto quale è quello dell'A.N.A., l'alpino c'è. Ma anche per quelle che possono sembrare piccole cose, come le raccolte di fondi per le associazioni umanitarie o la Colletta Alimentare di fine novembre. C'è, l'alpino, con il suo cappello e la sua gentilezza un po' rude delle genti di montagna. C'è e se deve dare una mano non lesina a muoversi in prima persona. Orgoglioso di quel cappello che ne ha viste tante: no, non le guerre e i loro orrori, ma certamente le piogge e il fango delle marce e delle alluvioni, la polvere dei sentieri e dei terremoti, il sole a picco delle giornate passate con la Protezione Civile. Quel cappello che onora perché tanti con esso hanno sofferto.


 

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LA FRASE DEL GIORNO
Buoni e semplici come eroi e fanciulli; audaci e prudenti come soldati di razza; robusti, resistenti come il granito dei loro monti; calmi, sereni come pensatori o filosofi; col cuore pieno di passione malgrado la fredda scorza esteriore, al pari  di vulcani coperti di ghiacci e di neve tali apparvero, nell'alpe nostra gli alpini d' Italia.
CESARE BATTISTI (il patriota, non il brigatista)

venerdì 8 maggio 2009

Le ninfee di Monet

C’è una famosa opera di Raymond Queneau, “Esercizi di stile”, nella quale lo scrittore francese racconta in 99 modi diversi un identico fatto di cronaca. Ebbene, a quest’opera mi hanno fatto pensare le ninfee di Monet: un esercizio di stile che coglie un medesimo soggetto in differenti condizioni di luce.

Nel 1890, a cinquant’anni, Claude Monet era abbastanza ricco da comperare la casa lungo la Senna che abitava a Giverny ormai da sette anni. Accanto al giardino francese ne realizzò uno giapponese, con il famoso ponte ritratto in uno dei suoi capolavori e soprattutto lo stagno con i salici e le ninfee.

Lavorando nello studio costruito nel verde, Monet inseguì la sua ossessionante ricerca della luce per oltre trent’anni, fino alla morte occorsa nel 1926.

"Non dormo più per colpa loro" - scrisse - "di notte sono continuamente ossessionato da ciò che sto cercando di realizzare. Mi alzo la mattina rotto di fatica [...] dipingere è così difficile e torturante. L'autunno scorso ho bruciato sei tele insieme con le foglie morte del giardino. Ce n'è abbastanza per disperarsi. Ma non vorrei morire prima di aver detto tutto quel che avevo da dire; o almeno aver tentato. E i miei giorni sono contati".

Quell’ossessione per la luce e per i riflessi disegnati nell’acqua è rappresentata in decine di dipinti raccolti al Museo Marmottan di Parigi. Ora, nel più grande prestito realizzato da quell’istituzione, venti di quelle tele sono in mostra a Milano, a Palazzo Reale, dal 29 aprile al 27 settembre.

Finazzer Flory, assessore milanese alla Cultura, ha dichiarato: "Con Monet - il tempo delle ninfee - abbiamo voluto porre tre questioni: Monet non e' il padre dell'impressionismo ma dell' 'immersionismo', dobbiamo immergerci nelle cose per vederle. La seconda questione è che questa mostra è dedicata a chi vuole imparare a guardare, perché guardiamo in modo superficiale, approssimativo e incapace di generosità e precisione. La terza è di politica culturale. Abbiamo voluto Magritte, abbiamo scelto Monet e desideriamo l'anno prossimo Cezanne. Il tema è sempre lo stesso: ripensare il nostro rapporto con la natura, il paesaggio e l'identità dei luoghi”.



MONET. IL TEMPO DELLE NINFEE

Milano, Palazzo Reale (Piazza Duomo, 12)

Dal 30 aprile 2009 al 27 settembre 2009
Biglietti: Euro 9 intero, Euro 7,50 ridotto

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Il colore è la mia ossessione giornaliera, gioia e tormento.
CLAUDE MONET, in “Claude Monet: Les Nymphéas”