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giovedì 30 settembre 2021

La lampada dimenticata


MANUEL SCORZA

LA LAMPADA

Come la lampada dimenticata
arde invisibile nel giorno,
così il mio cuore si è consumato
senza che tu lo vedessi.

Ma già trascorsero i raccolti,
e lenti gli anni,
io so che adesso
i tuoi occhi cercano
le tracce rosse della mia passione.

È sera:
il mio cuore bruciato
sopporta a stento le sue ceneri,
e anche se sei vicina,
e voglio chiamarti
restano muti i fuochi
dove un tempo arsero
dolci voci furiose.

La mia tristezza ora non sopporta
nemmeno il peso della rugiada.

È sera:
la vita si spende in atti vani.

È sera:
dietro i miei occhi non c’è nessuno.

(da Gli addii, 1960)

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Sono versi pieni di disillusione e di amarezza quelli che il poeta peruviano Manuel Scorza dedica dopo tanti anni ad un amore perduto. La vita è trascorsa invano nella sua adorazione: “Come tutte le ragazze del mondo, / anche Lei, / gli uomini che la amavano / l'hanno inventata con i loro sogni. // E io la amavo”. Ma alla fine a prevalere è  la constatazione che il tempo si è interposto tra l’innamorato e la sua amata e che troppo ampio è divenuto lo spazio che li separa: “Ho perso miseramente / la mia giovinezza; / In attesa che venissi agli appuntamenti nei parchi / ho passato gli anni veloci. / Oh caffè fumosi dove fingevo / di leggere i diari della mia feroce malinconia! // Aspettandoti ho perso la giovinezza, / e mi pesa.  / Sono le sette: / e sono solo”.

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LEONID AFREMOV, "PERDUTO AMORE"

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LA FRASE DEL GIORNO
Come la sentinella / che nella torre selvaggia / lotta perché gli occhi non si arrendano all’invincibile sonno / io resisto all’oblio.
MANUEL SCORZA, Gli addii




Manuel Escorza Torres, noto come Manuel Scorza (Lima, 9 settembre 1928 - Madrid, 27 novembre 1983), scrittore, poeta e politico peruviano. Appartenente alla Generazione del ‘50, pose la sua attenzione sui fenomeni sociali e sul recupero del mondo mitico andino. Morì nel disastro del volo Avianca 011 Francoforte-Bogotá, precipitato nei pressi di Madrid.


mercoledì 29 settembre 2021

Mi innamorai dell’irrealtà


LAWRENCE FERLINGHETTI

UNA CONEY ISLAND DELLA MENTE, 20

Il negozietto di caramelle dietro la soprelevata
è lì che per la prima volta
                                         mi innamorai
                                                      dell'irrealtà
Gelatine luccicavano nella penombra
di quel pomeriggio di settembre
Sul bancone un gatto si insinuava tra
                                           bastoncini di liquirizia
                             e barrette al cioccolato
              e cicche Oh Boy

Fuori le foglie morivano e cadevano
Il vento aveva spazzato via il sole

Una ragazza entrò di corsa
Aveva i capelli zuppi di pioggia
Il seno ansava nella stanzetta

Fuori le foglie cadevano
                            e piangendo dicevano
                                  Troppo presto! troppo presto!

(da Una Coney Island della mente, 1955 – Traduzione di Leopoldo Carra)

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Come poeta, a volte mi immagino ancora nei panni di un reporter onnisciente venuto dallo spazio, che invia i suoi dispacci a un caporedattore supremo convinto della necessità di rappresentare senza censure le tragicomiche pagliacciate di quelle creature bipedi note col nome di esseri umani” scrisse il poeta statunitense Lawrence Ferlinghetti nel 2011 presentando una nuova edizione di Una Coney Island della mente. Ed è questo dunque il reportage della scoperta di settembre, dell’avvio dell’autunno, dell’innamoramento per quella dolcezza malinconica ingigantita da ogni minuscolo dettaglio.

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SCENA DAL FILM "BROOKLYN" DI JOHN CROWLEY

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LA FRASE DEL GIORNO
L’occhio del poeta vede oscenamente / vede la superficie del mondo tondo.
LAWRENCE FERLINGHETTI, Una Coney Island della mente




Lawrence Ferlinghetti (Yonkers, New York, 24 marzo 1919 – San Francisco, California, 22 febbraio 2021), poeta ed editore statunitense. Nel 1955 fondò la City lights rocket bookshop a San Francisco che divenne il centro culturale del movimento beat. Parte della sua poesia è di protesta politica e si pone in opposizione alla violenza. La sua opera, pur lirica, è caratterizzata da un vivo senso dello humour e della satira.


martedì 28 settembre 2021

Preferisco la notte


ALAÍDE FOPPA

IL TEMPO, IV

La mattina mi fa male.
Vorrei
fosse già notte
e il giorno
un'altra goccia
di passato
un'esigenza in meno
di risposta.
Preferisco la notte
che perdona
la mia stanchezza
e promette sogni.

(da Le parole e il tempo, 1979)

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La poesia di Alaíde Foppa ha una costante attenzione al tempo, “flusso profondo e insostituibile, (…) /, più mio che il mio sangue: / il filo ininterrotto dei sogni / e il corso spezzato dei pensieri”. Chiaro che sia la notte il suo momento preferito, quando il tempo è rallentato e nell’oscurità si trova tempo di riposare, abbandonando i pensieri alla spalliera del sogno.

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SALLY STORCH, "STORIE NOTTURNE", PART.

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LA FRASE DEL GIORNO
Passa attraverso il sogno / l’onda calma / del mio respiro.
ALAÍDE FOPPA, Elogio del mio corpo




Alaíde Foppa Falla (Barcellona, Spagna, 22 marzo 1914 – Città del Guatemala, 19 dicembre 1980),  poetessa, scrittrice e traduttrice guatemalteca. Esule in Messico, vi fondò la rivista femminista Fem. Tornata in Guatemala per rinnovare il passaporto dopo l’assassinio del figlio, guerrigliero nella EGP, fu rapita in pieno giorno dai corpi paramilitari e presumibilmente assassinata.


lunedì 27 settembre 2021

Si cerca sull’atlante


EUGENIO MONTALE

L’EUFRATE

Ho visto in sogno l’Eufrate,
il suo decorso sonnolento tra
tonfi di roditori e larghi indugi in sacche
di fango orlate di ragnateli arborei.
Chissà che cosa avrai visto tu in trent’anni
(magari cento) ammesso che sia qualcosa di te.
Non ripetermi che anche uno stuzzicadenti,
anche una briciola o un niente può contenere il tutto.
È quello che pensavo quando esisteva il mondo
ma il mio pensiero svaria, si appiccica dove può
per dirsi che non s’è spento. Lui stesso non sa nulla,
le vie che segue sono tante e a volte
per darsi ancora un nome si cerca sull’atlante.

(da Satura, Mondadori, 1971)

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Eugenio Montale ha sempre inseguito nella sua ricerca poetica la parola o il nesso filosofico che potesse superare l’incomunicabilità delle nostre vite: in questo dialogo a distanza con Clizia, il “tu” della poesia – la donna-angelo che lo induce a riflessioni esistenziali - l’Eufrate visto in sogno è un fiume che scorre, ma scorrono anche il pensiero del poeta, il suo inconscio, il suo io lirico che procede per pretestuose associazioni di idee senza però mai riuscire a raggiungere quella meta che sa già irraggiungibile.

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JOHN DANIEL REVEL, "VEDUTA DI HIT, EUFRATE"
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LA FRASE DEL GIORNO
Dicono che la poesia al suo culmine / magnifica il Tutto in fuga, / negano che la testuggine / sia più veloce del fulmine.
EUGENIO MONTALE, Satura




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano. Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.


domenica 26 settembre 2021

Lasciali dire


ANONIMO GRECO

DICONO QUELLO CHE VOGLIONO

λέγουσιν
ᾇ θέλουσιν
λεγέτωσαν
οὐ μέλι μοι
σὺ φίλι με
συνφέρι σοι

Dicono
quello che vogliono
lasciali dire,
non mi importa.
Tu amami
e ne avrai beneficio.

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Si tratta di una poesia anonima risalente al I o al II secolo dopo Cristo che veniva spesso incisa su gemme, medaglioni e cammei, sebbene vi sia anche un graffito rinvenuto a Cartagena. È un concetto già noto nel mondo antico, dall’Anacreonte di “Chi si cruccia delle critiche della gente / non avrà gran gioia dalla vita” al Catullo di “Godiamoci la vita, mia Lesbia, l’amore, / ed ogni mormorio dei vecchi più acidi / consideriamolo un soldo bucato” del Carme V. Secondo il professor Tim Withmarsh, docente a Cambridge, questo breve testo fa luce sulla storia della poesia antica, retrodatando l'emergere della poesia accentata di almeno tre secoli.

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IL GRAFFITO RINVENUTO A CARTAGENA

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LA FRASE DEL GIORNO
Ritieniti soddisfatto dell'agire bene, e lascia che gli altri parlino di te come fa loro piacere.
PITAGORA

sabato 25 settembre 2021

Centenario di Cintio Vitier


Ricorre il centenario della nascita del poeta cubano Cintio Vitier. Nacque infatti il 25 settembre 1921 a Cayo Hueso, in Florida. Crebbe a Cuba, dove si laureò in Diritto Civile. All’Università conobbe la poetessa Fina García Marruz, che sposò e che fu sua compagna per tutta la vita. Compito del poeta, secondo Vitier, è dare un nome nuovo, immediato e necessario alla cose, in un dialogo continuo e angoscioso con la realtà: andare al di là del limite formale per cercare la vera essenza. Dare nome a una cosa significa farla esistere, e questo in poesia può accadere solo arrivando alla radice del linguaggio, come si può apprezzare nelle due poesie proposte, un inno alla parola, unico mezzo che può condurre il poeta nella tana del nulla per raggiungere finalmente quella pienezza che però rimane irraggiungibile, solo e continuamente desiderata.

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ULTIMO CANTO NUZIALE

Ma se infine vieni, spoglia
dei tuoi fiori nuziali, nell’ora
in cui tutto il mondo si disfiora
e lo sguardo di cenere si copre;

se allora, con la bocca gelata
dal tramonto postumo che divora
ogni illusione e fatalmente incorona,
se mi dici all’orecchio: sono il nulla,

ti dirò grazie di lasciarti vedere
e abbracciarti nuda, d’essere mia
seppure nell’istante che ti perdo;

e dormirò nel letto che il mio cuore
ha fatto, sognando che la morte
è il tuo ultimo velo, poesia.

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IL VOLTO

Ti ho cercato nella scrittura degli uomini che ti hanno
amato. Non miravo alla lettera, ma volevo sentire la
voce che a volte miracolosamente passa attraverso;
ascoltare come loro, vedere coi loro occhi.
Volevo esser loro, viverli, per vederti.

Eri lì, certo; ma sempre dopo, come le parole di una poesia;
imprendibile come il centro di una melodia; disperso,
come i petali d’un fiore che il vento ha strappato.

E più m’inoltravo nella soave, ardente frenesia del boschetto,
più ti allontanavi. Eri quel luccichìo di foglia
o d’ala? Eri quel lungo rumore, o sibilo? Quel silenzio,
quei massi d’un tratto così pallidi?

Eri tutto questo, certo; ma come ricomporti, pezzo a pezzo,
da luccichìi, rumori, pause? Stavi dietro, respirando
e brillando intero: astro che loro avevano visto di
fronte, o intravisto nella nebbia o cercato come io ti
cercavo, e allora tutto ciò che mi restava in mano era
sempre la notte del desiderio, il tremito della speranza.

Ti cercai nei paesaggi vergini d’ogni alfabeto, dove nessuno
è sceso a mettervi un sudario, e che stanno in palmo
di mano a Dio come reliquie: lo sguardo nuziale
delle cordigliere della Sierra o il puro idillio pensante
della Hanabanilla,

e quella sera, dal belvedere di San Biagio, come
nel primo vaporoso mattino del mondo,

e quella notte, sotto l’aspra e dolce stellata dell’Escambray,
sul capo di Cristo giacente che guarda il Padre
viso a viso: la conca dell’occhio della roccia, la narice
e le labbra di roccia, i capelli e le barbe di alberi enormi
e innocenti.

E certo stavi lì; ma un velo ci separava, sottile e insuperabile.
Nel respiro della natura, sempre lontana, sentivo
il tuo silenzioso richiamo e dono, ma non potevo rispondergli,
perché eri e non eri lì, il tuo esser diffuso
era un indicarmi un luogo altro che non sapevo trovare;
me ne tornavo eccitato e triste, il raggio di grazia
scivolato di mano, la gloria soave che ripiomba in petto
e si dissolve.

E anche ti cercavo sempre in me stesso. Non eri forse del
mio lignaggio, del mio sangue? Non eri in qualche
modo me stesso? Non mi bastava infatti calarmi nella
memoria per riplasmarti, nei sapori più segreti, come
l’orfano che al buio tasta i lineamenti della madre?

Ma è davvero possibile ricostruire un’alba? E poi, non
ero io stesso il maggior ostacolo? Quella continua coscienza
di una perdita, di una caduta, di un impossibile,
non era proprio quanto sempre m’impediva di
afferrare la tua realtà?

Ti ho cercato senza tregua, tutta la vita, e ogni volta più
ti travestivi, lasciando mettere al tuo posto grottesche
simulazioni, immagini di vuoto e di vergogna.

Diventavi l’enigma di una follia, un banale quiz, e più non
sapevamo chi eravamo, da dove venivamo, il sapore
dei cibi del corpo e dello spirito.

Invece oggi finalmente ti vedo, volto di patria mia! È stato
semplice come aprire gli occhi.

So che la visione presto cesserà, sta già svanendo, e che
l’abitudine minaccia di nuovo di invadere tutto con le
sue vaste mareggiate. Perciò mi affretto a dire:

Il volto vivo, mortale ed eterno della mia patria è nel volto
di questi uomini umili che son venuti a liberarci.

Io li guardo come uno che beve l’unica cosa che può saziarlo.
Li guardo per riempire l’anima di verità. Perché
essi sono la verità.

Perché in nessun libro, in nessuna poesia né paesaggio né
coscienza né ricordo, ma in questi contadini, si
verifica la sostanza della patria come nel giorno della
resurrezione.

6.1.59

(da Testimoni, 1968 - Traduzione di Nicola Licciardello)

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Altre poesie di Cintio Vitier sul Canto delle Sirene:

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è sempre pura, ed è sempre sociale. Ed è sempre rivoluzionaria, sebbene l’ideologia del poeta non lo sia.
CINTIO VITIER




Cintio Vitier (Cayo Hueso, Florida, Stati Uniti, 25 settembre 1921 – L’Avana, 1° ottobre 2009​), poeta, narratore, saggista e critico letterario cubano. Nella sua opera, influenzata dal poeta nicaraguense Ernesto Cardenal: la parola si fa veicolo di conoscenza, alla ricerca del significato ultimo dell'essere e delle cose.


venerdì 24 settembre 2021

Perché sei una donna bella


ODYSSEAS ELYTĪS

ADAGIO

Vieni con me a contendere al sonno l'indolente cuscino che naviga nella luna accanto. Teste al riparo da tempeste scivolando insieme dondolando riempiremo la spiaggia di alghe o d'astri. Perché avremo molto vissuto il bagliore delle lacrime e ameremo la giusta calma.

Se non sono angeli gli angeli che con prodighi violini riaccendono le nottate di luci screziate e anime a campana! Flauti mandano per l'aria desideri leggeri, coricati. Baci tormentati o baci perle su remi acquatici. E più dentro nei ribes rossi in fiamme, pian piano i pianoforti della voce bionda, le meduse che ci tratterranno il viaggio votato alla lentezza. Terreni con pochi alberi meditabondi.

Vieni con me a fondare i sogni, vieni con me a vedere la bonaccia. Non ci sarà più nel cielo deserto se non il cuore impregnato di amarezza se non il cuore impregnato d'incanto, non ci sarà se non il cuore che appartiene al nostro cielo deserto.

Vieni sulla mia spalla a sognare perché sei una donna bella. Sì, sei una donna bella. Sì, sei bella. Bella.

(da Poesie, Crocetti, 2021 - Traduzione di Filippomaria Pontani)

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Orientamenti, l’opera prima del Premio Nobel greco Odysseas Elytīs, da cui è tratta Adagio, è fortemente surrealista. Siamo prima della guerra, in cui servirà come sottotenente contro l’invasione italiana del 1940: il poeta celebra ancora il paesaggio ellenico femminizzandolo in un gioioso mondo di godimento sensuale e di purezza morale e la poesia è un atto di interpretazione delle proprie percezioni in relazione con un Altro femminile: “Davanti ai miei occhi eri luce / Davanti all’Amore amore / E quando ti colse il bacio / Donna”.

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KSENIA YAROVAYA, "PASSEGGIANDO SULLE ONDE"

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LA FRASE DEL GIORNO
Il tempo è una fugace ombra di uccelli / I miei occhi spalancati sulle sue immagini.
ODYSSEAS ELYTĪS, Orientamenti




Odysseas Elytīs, pseudonimo di Odysseas Alepoudellīs (Candia, 2 novembre 1911 – Atene, 18 marzo 1996), poeta greco, tra i maggiori Surrealisti, è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1979 per “il desiderio di libertà intellettuale e sviluppo della creatività, che traspare dalla sua poesia”.


giovedì 23 settembre 2021

Loro esclusiva eco


FERNANDO BANDINI

VOCI SERALI

Adesso il mondo non è più remoto.
Sta tutto addosso a noi,
tutto pigiato nelle
stanze sgomente delle nostre case.
Ma ci sono giù in strada dei bambini
che si gridano «ciao».
Una volta, due volte – mentre l’uno
dall’altro si allontana – tre volte, quattro volte,
senza voltarsi indietro.
E le voci si librano nell’aria
finché l’azzurro della sera è solo
loro esclusiva eco.
Cinque volte, sei volte, sette volte.
Forse perché si accordano
ai battiti del tempo, ne scandiscono
la diastole e la sistole.
O forse il loro modo di contare
somiglia un poco al mio
quando conto le sillabe dei versi
stoltamente sperando che una grazia celeste
mi rimanga impigliata tra le dita.

(da Dietro i cancelli e altrove, Garzanti, 2007)

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Il poeta vicentino Fernando Bandini fotografa perfettamente il mondo moderno, isolato nelle sue stanze spesso digitali – la pandemia e il lockdown hanno se possibile acuito questa autoreclusione. Eppure l’eco dei saluti dei bambini che rientrano a casa dopo aver giocato all’aperto risuona come un grido di vita e di speranza, si armonizza con l’attitudine del poeta a scrivere, a incasellare versi nella metrica con l’aspirazione che in essi realmente alberghi miracolosamente la poesia.

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FOTOGRAFIA © DIGITAL COLLEGE

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LA FRASE DEL GIORNO
Fossero i miei versi di bella fattura ma nutriti di umana realtà.
FERNANDO BANDINI, In modo lampante




Fernando Bandini (Vicenza, 30 luglio 1931 - 25 dicembre 2013),  poeta, scrittore e docente italiano di stilistica e metrica presso l'Università di Padova. Aveva la capacità di scrivere non solo in italiano ma anche nel dialetto vicentino e in latino, lingua che aveva appreso nonostante non avesse praticato studi classici.


mercoledì 22 settembre 2021

Le foglie riarse


NINA CASSIAN

SMORFIA

Nel mezzo dell’estate
le foglie riarse impongono
la loro grinzosa durata.
Graffiano la tovaglia,
si rimpiattano a volte dietro
le nuove generazioni
e poi, d’un tratto, scoprono i loro volti di megera,
dal ghigno giallognolo-caffè.
Nell’avvizzire sono assai costanti,
assai coerenti nell’aggressività.
Dirò questo soltanto:
le foglie tenaci hanno becchi e artigli.
Come quasi tutti noi
invecchiano male.
Come alcuni di noi
sono immortali.

(da C’è modo e modo di sparire, Adelphi, 2013)

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Si avvicina a grandi passi l’autunno. Le foglie continuano ad essere verdi ma qua e là si notano i prodromi della nuova stagione sotto forma di foglie ingiallite, quelle cui rivolge l’attenzione la poetessa rumena Nina Cassian riflettendo sulla vecchiaia e sulla cattiveria che essa talora comporta.

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FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
Correre, cadere e ridere per terra adorna / del tuo bacio giallo dalle mille labbra, autunno!
NINA CASSIAN, C’è modo e modo di sparire




Nina Cassian, pseudonimo di Renée Annie Cassian-Mătăsaru (Galați, 27 novembre 1924 – New York, 15 aprile 2014), poetessa, scrittrice e traduttrice rumena. Esponente del Modernismo, nel 1985 si rifugiò negli Stati Uniti per sfuggire alla repressione del regime di Ceausescu, e lì rimase non solo a vivere, ma anche a scrivere poesie nella lingua del suo nuovo paese.


martedì 21 settembre 2021

Tanto mondo


WISŁAWA SZYMBORSKA

COMPLEANNO

Tanto mondo a un tratto da tutto il mondo:
morene, murene e marosi e mimose,
e il fuoco e il fuco e il falco e il frutto –
come e dove potrò mettere il tutto?
Queste foglie e scaglie, questi merli e tarli,
lamponi e scorpioni – dove sistemarli?
Lapilli, mirtilli, berilli e zampilli –
grazie, ma ce n’è fin sopra i capelli.
Dove andranno questo tripudio e trifoglio,
tremore e cespuglio e turgore e scompiglio?
Dove porti un ghiro e nascondi l’oro,
che fare sul serio dell’uro e del toro?
Già il biossido è cosa ben preziosa e cara,
aggiungi la piovra, e in più la zanzara!
Immagino il prezzo, benché esagerato –
grazie, io davvero non l’ho meritato.
Non è troppo per me il sole, l’aurora?
Che cosa può farne l’umana creatura?
Sono qui un istante, un solo minuto:
non saprò del dopo, non l’avrò vissuto.
Come distinguere il tutto dal vuoto?
Dirò addio alle viole nel viaggio affrettato.
Pur la più piccola – è una spesa folle:
fatica di stelo, e il petalo, e il pistillo,
una volta, da mai, a caso sulla Terra,
sprezzante e precisa, fragile e altera.

(da Ogni caso, 1972 – Traduzione di Pietro Marchesani)

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Il mondo in questa poesia di Wisława Szymborska – ancor più di come è nello stile della poetessa polacca, che lo interpreta classificando elenchi – è un’accozzaglia di cose che rimano musicalmente. Ma a perdersi in quel marasma è l’io lirico, inerme di fronte a questo affollamento, a questo disordine in cui la lingua sembra essere quella sorta dalla confusione nata dopo la caduta della Torre di Babele.

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DIPINTO DI JACEK YERKA

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LA FRASE DEL GIORNO
C'è dunque un mondo / di cui reggo le sorti indipendenti? / Un tempo che lego con catene di segni? / Un esistere a mio comando incessante?
WISŁAWA SZYMBORSKA, Uno spasso




Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012), poetessa e saggista polacca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”.


lunedì 20 settembre 2021

Aquilino Duque


Il poeta spagnolo Aquilino Duque, uno degli esponenti di punta della letteratura andalusa, è morto sabato scorso a Siviglia. Affermava che “il posto della poesia nella mia opera letteraria è centrale e totale, poiché per me la poesia non è un genere ma un dono o una vocazione”. La natura e i tori erano al centro della sua opera, così come le città e i luoghi visitati nei numerosi viaggi – dopo aver studiato a Cambridge e Dallas, intraprese una carriera di funzionario internazionale che lo portò a risiedere a Roma e Ginevra.

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CURRICULUM VITAE

Sono stato felice sui banchi di scuola,
felice in caserma e in collegio,
e in quelle estati senza altra acqua
di quella del pozzo nel cortile
Se ho avuto dispiaceri
ho saputo  dimenticarli a tempo debito.
Ho viaggiato su un treno sospeso su un fiume
tra foreste e fabbriche,
e in vaporetto tra i canali
di città marine.
La mia vita è stata azzurra come il mare,
bianca come la neve,
e ho avuto, naturalmente, le mie ore tristi,
di quelle che aprono nell’anima il solco,
difficile da riempire, dei rimpianti.

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ALBA NELL’ALFARAJE

Ho aperto una finestra
su alcuni alberi dorati
per vedere come passa la mattina
Cieli graffiati, costole in fuga…
Il vento illumina un sonoro bosco di lecci,
una torre di calce tra gli ulivi.
Riposa uno stormo di cicogne
sulla terra rosa di un maggese…
Negli occhi le barche lungo il fiume!
E il galoppo di un puledro nel petto!

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LA FRASE DEL GIORNO
Il nostro male è lo stesso di tutta l’umanità da Freud ( e Rousseau): incolpare la società o chi per essa di tutto ciò che ci accade invece di assumercene le responsabilità.
AQUILINO DUQUE, El Mundo, 6 maggio 2017




Aquilino Duque Gimeno (Siviglia, 6 gennaio 1931 - 18 settembre 2021), poeta e scrittore spagnolo. Appartenente alla Generazione del’50, ricevette il Premio Nazionale di Letteratura nel 1974 per La scimmia azzurra, amara riflessione sulla guerra civile spagnola.


domenica 19 settembre 2021

Il primo sogno


BILLY COLLINS

IL PRIMO SOGNO

Il vento girovaga attorno alla casa stanotte
e mentre mi appoggio alla soglia del sonno
inizio a pensare alla prima persona che mai abbia sognato,
come dev’essere sembrata tranquilla, il mattino dopo

mentre gli altri se ne stavano attorno al fuoco
con addosso pelli di animali
parlando tra di loro solo con le vocali,
perché questo certo accadde molto prima dell’invenzione delle consonanti.

L’uomo, forse, se ne è andato da solo per sedersi
su una pietra a guardare la foschia di un lago
mentre cercava di spiegarsi cos’era successo,
come era andato da qualche parte senza andarci,

come aveva steso le braccia attorno al collo
di una belva che gli altri potevano toccare
solo dopo averla uccisa con le pietre,
come aveva sentito il suo respiro sul suo collo nudo.

D’altro canto, il primo sogno potrebbe averlo fatto
una donna, anche se si sarebbe comportata,
immagino, più o meno allo stesso modo,
allontanandosi per stare da sola vicino all’acqua,

tranne che la curva delle sue giovani spalle
e l’oscillare del suo capo chino
l’avrebbero fatta apparire terribilmente sola,
e se tu fossi stato lì, a vedere la scena,

avresti forse finito per essere la prima persona
che si sia mai innamorata della tristezza di un’altra.

(da L’arte di affogare, 1995 – Traduzione di Franco Nasi)

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Come accade per il primo fischiatore di Wendell Berry, anche in questa poesia di Billy Collins appare una prima esperienza umana, agli albori della preistoria: l’intangibile esperienza del sogno, la sensazione di avere vissuto un’altra vita, astratta e ancora inesplicabile, capitata al primo uomo – o alla prima donna.

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DIPINTO PREISTORICO DELLE GROTTE DI LASCAUX

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LA FRASE DEL GIORNO
Poi scivoleremo sotto la superficie della notte / per miglia d’acqua, inabissandoci / nel fondo buio e senza suoni / fino a quando il peso dei sogni ci spingerà ancora più a fondo, / sotto gli strati argillosi della roccia, / sotto gli strati della fame e del piacere, / fin dentro le ossa rotte della stessa terra, / dentro il midollo dell’unico posto che conosciamo.
BILLY COLLINS, L’arte di affogare




William Collins, detto Billy (New York, 22 marzo 1941), è un poeta statunitense. Dopo aver insegnato letteratura inglese al Lehman College nel Bronx per oltre 50 anni, ora è in pensione. Le sue poesie raccontano con ironia la vita dell’America borghese e suburbana.


sabato 18 settembre 2021

Le rondini


CLAUDE ROY

RONDINI

Perché le rondini
si posano leggere
sui fili telefonici
con sguardi ironici?

Lo fanno per distrarre
e tenere occupati i bambini
che saggi come illustrazioni
restano con il naso in su
ad ascoltare le chiacchiere
delle rondini sotto la veranda.

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Chi solleva il naso, il cielo lo ricompensa” diceva lo scrittore e poeta francese Claude Roy: non a caso era appassionato di astronomia e di ornitologia. A quest’ultima passione va assegnata la delicata poesia dedicata alle rondini pronte alla migrazione autunnale.

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FOTOGRAFIA © HARVINDER CHANDIGHAR

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LA FRASE DEL GIORNO
Ammiro la forza che non si può vedere, quella del ragno, della rondine, della formica.
CLAUDE ROY, Strade incrociate




Claude Pierre Marie Félicien Roy (Parigi 28 agosto 1915 – 13 dicembre 1997). Scrittore e poeta francese. Impegnato politicamente, aderì nel 1943 al Partito comunista, da cui fu espulso nel 1957 per la sua condanna della repressione della rivolta ungherese. La sua opera riflette speranze e delusioni di un autore legato ai valori della libertà.


venerdì 17 settembre 2021

Nel mistero del giorno nuovo


PIERLUIGI CAPPELLO

LETTERA PER UNA NASCITA

Scrivo per te parole senza diminutivi
senza nappe né nastri, Chiara.
resto un uomo di montagna,
aperto alle ferite,
mi piace quando l'azzurro e le pietre si tengono
il suono dei "sì" pronunciati senza condizione,
dei "no" senza margini di dubbio;
penso che le parole rincorrano il silenzio
e che nel tuo odore di stagione buona
nel tuo sguardo più liscio dei sassi di fiume
esploda l'enigma del "sì" assordante che sei.

Scriverti è facile; e se potessi verserei
la conoscenza tutta intera delle nuvole
la punteggiatura del cosmo
la forza dei sette mari, i sette mari in te
nel bicchiere dei tuoi giorni incorrotti.

Ma non sono che un uomo, e quest'uomo
ti scrive da un tavolo ingombro
e piove, oggi, e anche la pioggia ha le sue beatitudini
sulla casa dalle grondaie rotte
quando quest'uomo ti pensa e fra tutte le parole da scegliere
non sa che l'inciampo nel dire come si resta
e come si preme
nel mistero del giorno nuovo in te
che prima non c'era
adesso c'è.

(da Mandate a dire all'imperatore, Crocetti, 2010)

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Pierluigi Cappello scrive questi versi in occasione della nascita della nipotina Chiara, cui dedicherà quando sarà più grandicella anche le poesie di Ogni goccia balla il tango. Non sono versi di circostanza ma una specie di consigli di un “fratello più grande”, per farle conoscere – un giorno – il mondo attraverso le parole.

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FOTOGRAFIA © ANNE GEDDES

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è il silenzio che si fa lettera e precipita sulle pagine, è la lettera che coglie la sfuggente occasione di dare un ordine, fosse pure precario da una parte, fosse pure minuscola dell’universo.
PIERLUIGI CAPPELLO, Un prato in pendio




Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 8 agosto 1967 – Cassacco, 1º ottobre 2017), poeta italiano. La sua vita è stata gravemente segnata da un incidente stradale occorsogli quando aveva sedici anni: dallo schianto della sua moto contro la roccia uscì con il midollo spinale reciso e una perenne immobilità. Ha scritto numerose opere, anche in lingua friulana.


giovedì 16 settembre 2021

Antonio Martínez Sarrión


Un infarto si è portato via l’altro ieri a Madrid il poeta spagnolo Antonio Martínez Sarrión, esponente di punta del gruppo dei “nuovissimi”, corrente nata al principio degli Anni ‘70 che segnò una rottura con i poeti del dopoguerra. Nato ad Albacete nel 1939, applicò nei suoi versi, in una “sintesi tra cultura e vita”, quella libertà e quell’ispirazione creativa rivendicata dal gruppo in contrasto con il realismo fino ad allora imperante. La sua poesia, accostata al Surrealismo ma differente per la mancanza di casualità nella creazione, assembla citazioni, conversazioni, digressioni, ricordi, canzoni, realizzando sequenze che rompono la forma sintattica.


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IL CINEMA DEL SABATO

meraviglie del cine gallerie       
di luce intermittente in mezzo ai fischi
bambini con le mamme giù in platea       
tra le pantere un indiano si sforza       
di raggiungere frutti più dorati
ivonne de carlo balla in sherazade       
non so se una danza musulmana o un tango       
amore dei miei quindici anni marilyn       
fiumi della memoria così amari       
e poi la cena fredda e insipida
e gli occhi brucianti come fari

(da Teatro di operazioni, 1967 – Traduzione di M. P. Lamberti)

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ALTRA POETICA IMPROBABILE

Non arma carica di futuro,
né con il fardello del passato
che comporti estrarre dalla manica
uno stupido negozio di perline
con l’intenzione occulta di radunare efebi.
La poesia è fabbrica dai muri rigorosi
con un alto lucernario che solo per caso filtra
la luce più effimera del sogno.

(da Dall’accidia, 1986)

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia, come tutto, è in gran parte apprendimento, una continua incorporazione.
ANTONIO MARTÍNEZ SARRIÓN, in “Nove nuovissimi poeti spagnoli”




Antonio Martínez Sarrión (Albacete, 1°febbraio 1939 - Madrid, 14 settembre 2021),​ poeta, saggista e traduttore spagnolo. Membro della generazione del ‘68, fu uno dei “nuovissimi poeti spagnoli”, gruppo di rottura con il realismo del dopoguerra. La sua poesia si avvale del collage e delle tecniche surrealiste.


mercoledì 15 settembre 2021

Innamorato


GESUALDO BUFALINO

CONFIDENZA A UN AMICO IMMAGINARIO

Innamorato d’una, innamorato
per tutti i balli da maggio a settembre,
per tutti i balli di lunga luna,
col grammofono sghembo su due pietre,
e una guancia bruna che s’accalda
e si difende dietro la duna…

Ce n’è voluto di favole e versi,
e frodi di guerra malvagia!
Andavano le amiche sottobraccio,
serie e bambine sul filo di spiaggia:
due così serie per una che rise,
guastandosi una ciocca con le dita.

Un nastro rosso caduto nel mare
cerco e non trovo da quella volta,
e una canzone che nessuno ascolta
mi s’è messa nel capo a cantare,
e sulla sabbia non scrivo che un volto:
innamorato, dunque, innamorato…

(da L’amaro miele, Einaudi, 1989)

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È una poesia che risale alla “festa breve” che fu la gioventù di Gesualdo Bufalino, un’ironica confessione del poeta siciliano sul contrastato e non ricambiato amore per Gessica, che appare anche in altre liriche: “Addio, Gessica, addio, viso perduto: / già remota, con gesti di sonno / navighi un fiume d’aria / fra uno sterminio docile di fiori”.

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DIPINTO DI VLADIMIR VOLEGOV

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LA FRASE DEL GIORNO
Innamorarsi è un lusso, chi non può permetterselo finge.
GESUALDO BUFALINO, Il malpensante




Gesualdo Bufalino (Comiso, 15 novembre 1920 – Vittoria, 14 giugno 1996), scrittore, poeta e aforista italiano. Insegnante, si rivelò tardi alla letteratura pubblicando nel 1981 Diceria dell'untore, con cui vinse il Premio Campiello. Con il romanzo Le menzogne della notte vinse nel 1988 il Premio Strega. Il suo stile ricercato, ricco e  "anticheggiante" gli deriva dall’abilità linguistica e da una vasta cultura.


martedì 14 settembre 2021

Settimo centenario di Dante


La notte del 14 settembre del 1321, dopo aver contratto la malaria di ritorno da un’ambasciata a Venezia per conto di Guido Novello, moriva a 56 anni nell’esilio di Ravenna Dante Alighieri, il massimo poeta della letteratura italiana, padre della lingua italiana, da lui plasmata e indirizzata a partire dal toscano in quel capolavoro che è la Commedia, testo chiave anche per comprendere il pensiero medievale.

Direi che non c’è altro da aggiungere, solo da (ri)leggere qualche suo testo, di quelli che abbiamo studiato a fondo durante gli anni delle nostre scuole superiori: il sonetto dedicato a Guido Cavalcanti, altro esponente del Dolce Stil Novo, e il celeberrimo canto di Ulisse della Divina Commedia

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STATUA DI DANTE DAVANTI A SANTA CROCE, FIRENZE - FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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GUIDO I’ VORREI CHE TU E LAPO ED IO

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

(da Le Rime)

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INFERNO, CANTO XXVI

     Godi, Fiorenza, poi che se’ sí grande,
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!
     Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
e tu in grande orranza non ne sali.
     Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai, di qua da picciol tempo,
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna;
     e se già fosse, non saria per tempo:
cosí foss’ei, da che pur esser dèe!
ché più mi graverà, com più m’attempo.
     Noi ci partimmo, e su per le scalee
che n’avean fatte i borni a scender pria,
rimontò il duca mio e trasse mee;
     e proseguendo la solinga via,
tra le schegge e tra’ rocchi de lo scoglio
lo piè senza la man non si spedia.
     Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi;
e più lo 'ngegno affreno ch’i’ non soglio,
     perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m’ha dato ’l ben, ch’io stesso noi m’invidi.
     Quante il villan ch’al poggio si riposa,
nel tempo che colui che ’l mondo schiara
la faccia sua a noi tien meno ascosa,
     come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giú per la vallea,
forse colà dov’e’ vendemmia e ara:
     di tante fiamme tutta risplendea
l’ottava bolgia, si com’io m’accorsi
tosto che fui là ’ve ’l fondo parea.
     E qual colui che si vengiò con li orsi
vide ’l carro d’Elia al dipartire,
quando i cavalli al cielo erti levorsi,
     che nol potea sí con li occhi seguire,
ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
si come nuvoletta, in su salire;
     tal si move ciascuna per la gola
del fosso, ché nessuna mostra il furto,
e ogni fiamma un peccatore invola.
     Io stava sovra ’l ponte a veder surto,
sì che s’io non avessi un ronchion preso,
caduto sarei giù senz’esser urto.
     E ’l duca, che mi vide tanto atteso,
disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
ciascun si fascia di quel ch’elli è inceso».
     «Maestro mio,» rispos’io «per udirti
son io più certo; ma già m’era avviso
che così fosse, e già voleva dirti:
     chi è in quel foco che vien si diviso
di sopra, che par surger de la pira
dov’Eteòcle col fratei fu miso?»
     Rispose a me: «Là dentro si martira
Ulisse e Diomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l’ira;
     e dentro da la lor fiamma si geme
l’agguato del caval che fe’ la porta
onde uscì de’ Romani il gentil seme.
     Piangevisi entro l’arte per che, morta,
Deidamia ancor si duol d’Achille,
e del Palladio pena vi si porta».
     «S’ei posson dentro da quelle faville
parlar,» diss’io «maestro, assai ten priego
e riprego, che il priego vaglia mille,
     che non mi facci de l’attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna:
vedi che del disio ver lei mi piego!»
     Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
di molta loda, e io però l’accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna.
     Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto
ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
perché fur greci, forse del tuo detto».
     Poi che la fiamma fu venuta quivi,
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi:
     «O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi, mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco
     quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l’un di voi dica
dove per lui perduto a morir gissi».
     Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando
pur come quella cui vento affatica;
     indi la cima qua e lá menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando
     mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno lá presso a Gaeta,
prima che si Enea la nomasse,
     né dolcezza di figlio, né la pièta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelope far lieta,
     vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
     ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno, e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
     L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola de’ Sardi,
5e l’altre che quel mare intorno bagna.
     Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta,
dov’Ercule segnò li suoi riguardi
     acciò che l’uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.
    ' O frati, ' dissi ' che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
     de’nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo senza gente.
     Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza ’.
     Li miei compagni fec’io si aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
     e volta nostra poppa nel mattino,
dei remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
     Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
     Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
     quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza; e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
     Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto:
     tre volte il fe’ girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’ altrui piacque,
     infin che ’l mar fu sopra noi richiuso»

(dalla Divina commedia)

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Altri testi di Dante Alighieri sul Canto delle Sirene:

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LA FRASE DEL GIORNO
Apri la mente a quel ch'io ti paleso / e fermalvi entro; ché non fa scïenza, / sanza lo ritenere, avere inteso.
DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia




Durante di Alighiero degli Alighieri, noto con il solo nome Dante (Firenze, tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321), poeta italiano. Considerato il padre della lingua italiana, è universalmente noto per la Divina Commedia, espressione della cultura medievale. Spaziò all'interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana e la cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il "Sommo Poeta".


lunedì 13 settembre 2021

José Verón Gormaz


Dopo una lunga malattia lo scorso venerdì si è spento a 75 anni  nella sua Catalayud il poeta aragonese José Verón Gormaz. Era anche fotografo e questa sua attività ha certamente influenzato i suoi versi e il suo modo di intendere la poesia – inseguitore di paesaggi, si trovava spesso immerso nella natura. “La fotografia e la poesia sono forme di espressione in certo modo vicine” disse in un’intervista, “credo di essere un poeta che fa fotografie”. Amava paragonare il suo modo di scrivere a quello di un illustre concittadino, il poeta latino Marziale, “e in lui, come in me, c’è qualcosa di Catullo, e in tutti e tre senza dubbio un vento universale che ci ispira: la condizione umana e le sue miserie”.

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FOTOGRAFIA © HERALDO

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ISTRUZIONI PER ATTRAVERSARE UN PONTE

Se ti disponi ad attraversare,
se stai per percorrere la misteriosa lunghezza del ponte,
pensa alle acque del fiume che scorre,
pensa alle acque come al tuo stesso sangue,
pensa ad esse, che scorrono incessanti
sotto le pietre prigioniere dell'arco,
senza pensare quale fu il loro inizio
né a quale fine scivolano in fretta.

Se vuoi passare all'altra sponda,
prima impregnati del posto che lasci,
senti dentro di te
il pugno di terra che calpestano le tue scarpe,
contempla il boschetto che ti ha prestato la sua ombra
e forse non tornerai più a guardare.

Quando attraversi con decisione il ponte,
strada della riva che verrà,
sospetta dei tuoi passi,
i tuoi passi che mentre avanzi senti
con il suono di passi che si allontanano.

E quando calpesti l'altra sponda,
fallo come se fosse un terreno sacro;
il posto che ti accoglie con tutti i tuoi ricordi,
con tutte le miserabili ombre
che credevi di aver abbandonato dall'altra parte.

(da Istruzioni per attraversare un ponte, 1983)

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PRELUDIO

Prima del buio, che nella distanza
si veste di tenebre,
le ore bruciano sull’acqua fredda.

Vento e terra dialogano in silenzio
di assenze e di abissi.

Sotto i segni misteriosi della notte
ascolto i sussurri delle orme interiori,
la scia delle parole percepite,
la solitudine del viandante
che non aspetta di arrivare alla meta.

(da Il vento e la parola, 2011)


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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è un enigma che mi ha dato una visione più da vicino della realtà
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JOSÉ VERÓN GORMAZ




José Verón Gormaz (Calatayud, 6 settembre 1946- 10 settembre 2021)​, poeta, narratore e fotografo spagnolo.  Accademico della Real Academia de Nobles y Bellas Artes di San Luis. La sua attività di fotografo ha certamente influenzato anche i suoi versi e il suo modo di intendere la poesia, “bellezza inscritta nel mistero”.


domenica 12 settembre 2021

Jaime Jaramillo Escobar (X-504)


Il poeta colombiano Jaime Jaramillo Escobar noto anche come X-504, è morto venerdì scorso a Medellín all’età di 89 anni. Fu uno dei principali esposti del nadaismo, corrente d’avanguardia considerata la versione sudamericana dell’esistenzialismo, sorta in contrasto con la tradizione, la chiesa, l’accademia e l’ambiente culturale degli Anni ‘60. Come l’esistenzialismo fondava la conoscenza della realtà attraverso l’esperienza immediata della propria vita. Jaramillo iniziò a pubblicare con lo pseudonimo X-504: “La X è anche per chiedere chi sono. È una domanda. Lo sconosciuto che ti interroga. Quello che passa per le tue mani senza farsi conoscere e se ne va dopo averti dato tutto, tranne il suo nome. Io sono il nome falso della verità. X-504 esiste affinché Jaime Jaramillo Escobar possa vivere liberamente, senza il peso della letteratura e dell'ammirazione”. Le sue poesie lasciano ampio spazio all’ironia, al sarcasmo, alla parodia e sono sovente una satira della società.

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VISITA DELLA BALENA

Ed ecco che una balena è venuta a trovarmi.
Dalle lontane regioni del mare è venuta a trovarmi, e mi saluta con tre getti di nebbia,
trattenendosi all'entrata della mia grotta per chiedermi udienza.
Ed accorro a ricevere la balena (che Dio la protegga) ed essendo entrati tutti e due in intimità immediatamente,
le parlo della mia giovinezza in una caverna dell'alto picco dell'Aconcagua,
e del sorgere del sole dietro le mie orecchie,
e dandole pacche sull'impenetrabile pelle ce la ridiamo come due amici,
la balena, autobus dei mari, e io che ricevo la sua visita all'entrata della mia grotta,
e chiacchieriamo fino al tramonto, riposando sul brillante arazzo delle sabbie penetrate di luce.

Lei mi racconta ciò che ha visto nelle profondità degli oceani,
i naufraghi che vivono nelle barche sommerse e le loro strane abitudini,
e quello che succede nel mare durante la notte.
Dopo che la balena ha fatto uso della parola secondo le leggi dell'ospitalità,
e delle norme che reggono il comportamento dei visitatori,
io comincio a parlarle delle profondità della mia anima
e quando faccio una pausa, all'ora del crepuscolo, non mi risponde: è affogata.
Allora la trascino e la deposito in riva al mare perché questo la raccolga
e all'alba, quando la marea si ritira, la saluto con la mano in alto.
La balena (che Dio la rispetti e la protegga) si allontana rapidamente in alto mare e va a schiantarsi contro il disco del sole che è appena apparso all'orizzonte.
Girando le spalle a questo spettacolo ritorno alla grotta a baciarle gli scorpioni della mia angoscia,
oh, Mostri che mi avete recluso in questo monte,
al fine di proteggere il mondo dalla mia strana malvagità!

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IL DESIDERIO

Oggi desidero incontrarti per strada,
e che ci sediamo in un caffè a parlare a lungo delle
piccole cose della vita,
a ricordare quando eri un soldato,
o di quando ero giovane e uscivamo insieme
per  la città, e in periferia, sull'erba, ci sdraiamo
per vedere come il tramonto ci circondava.
Poi abbiamo ascoltato il nostro sangue con cautela e noi
restavamo silenziosi.
Poi ritornavamo e tu mi salutavi sempre nello stesso angolo
fino al giorno dopo,
con quell'indifferenza che si vorrebbe avere tutta la vita,
ma che accade solo in gioventù,
quando dormi tranquillo ovunque senza un centesimo
in tasca,
e hai convinzioni e fiducia
così nel mondo come in te stesso.

E voglio parlare ancora con te,
Beh, hai diciotto anni e potremmo divertirci questa
notte con birra e musica,
e poi io continuare a vivere come se niente fosse…
o andare in ufficio e lavorare dieci o dodici ore,
mentre la Morte mi aspetta nell'armadio per
mettermi il cappotto nero
all'uscita,
io che cerco la porta di emergenza,
la scala antincendio che porta all'inferno,
tutte le uscite sorvegliate da estranei.
Ma oggi non potrò incontrarti perché vivi in ​​un'altra città.
Mentre la sera trascorre
evocherò il muro sul cui davanzale ci siamo seduti
per dire le ultime parole ogni notte,
o quando siamo andati a uno spettacolo di wrestling e uscendo
o capito che ti amavo
e insomma tante altre cose che succedono

(da Le poesie dell’offesa, 1968)

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LA FRASE DEL GIORNO
Tutti possiamo essere felici, perché la felicità è il nostro stato naturale. L’importante è che tu oggi decida di evolvere. La verità è che, se non lo fai tu, nessuno potrà farlo al tuo posto. Ricorda sempre che dove va la tua mente, là va anche il tuo cuore
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JAIME JARAMILLO, Ti amo ma sono felice anche senza di te




Jaime Jaramillo Escobar noto anche come X-504 (Pueblorrico, 25 maggio 1932 - Medellín, 10 settembre 2021), poeta e saggista colombiano. Cofondatore con Gonzalo Arango e altri scrittori del nadaísmo, movimento di carattere contestatario simile all’esistenzialismo. La sua opera è caratterizzata dall’ironia, dalla parodia, dall’irriverenza e dalla satira della società.


sabato 11 settembre 2021

Il mondo mutilato


ADAM ZAGAJEWSKI

PROVA A CANTARE IL MONDO MUTILATO

Prova a cantare il mondo mutilato.
Ricorda le lunghe giornate di giugno
e le fragole, le gocce di vino rosé.
Le ortiche che metodiche ricoprivano
le case abbandonate da chi ne fu cacciato.
Devi cantare il mondo mutilato.
Hai guardato navi e barche eleganti;
attesi da un lungo viaggio,
o soltanto da un nulla salmastro.

Hai visto i profughi andare verso il nulla,
hai sentito i carnefici cantare allegramente.
Dovresti celebrare il mondo mutilato.
Ricorda quegli attimi, quando eravate insieme
in una stanza bianca e la tenda si mosse.
Torna col pensiero al concerto, quando la musica esplose.
D’autunno raccoglievi ghiande nel parco
e le foglie volteggiavano sulle cicatrici della terra.
Canta il mondo mutilato
e la piccola penna grigia persa dal tordo,
e la luce delicata che erra, svanisce e ritorna.

(da Dalla vita degli oggetti, Poesie 1983-2005, Adelphi, 2012 - Traduzione di Krystyna Jaworska)

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Ricorre il ventennale degli attacchi dell’11 settembre 2001: quel giorno tutti sappiamo esattamente dove ci trovassimo, come accadde alle generazioni precedenti per l’assassino di Kennedy o la dichiarazione di guerra del 1940. Fu un evento epocale, lo spartiacque tra due mondi, quello che conoscevamo con tute le sue certezze e quello che ci siamo ritrovati in questo ventennio – il recente ritiro della NATO dall’Afghanistan ha riportato indietro quella regione al 2001 o giù di lì. Quel giorno, che Giovanni Paolo II definì "il più buio nella storia dell'umanità", due aerei di linea furono dirottati e infilati nelle Torri Gemelle di New York, un terzo fu fatto precipitare su un’ala del Pentagono e un quarto diretto a Washington, il volo United 93, cadde per l’eroico intervento dei passeggeri a Shanksville, in Pennsylvania.

La poesia di Adam Zagajewski assurta a emblema di quel giorno – l’autore polacco, scomparso quest’anno, era noto soprattutto negli U.S.A. come il “poeta dell’11 settembre” - in realtà fu scritta prima dell’evento, ma come accade spesso, fu interpretata alla luce di ciò che accadde dopo che il New Yorker la pubblicò sull’ultima pagina del suo speciale su quella tragedia che spaccò in due il mondo. Un critico scrisse che era “come se l'America fosse entrata per la prima volta nell'incubo della storia e solo un poeta polacco potesse indicarle la strada”.

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COPERTINA DI TIME

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LA FRASE DEL GIORNO
Siamo entrati nel terzo millennio attraverso una porta di fuoco. Se oggi, dopo l'orrore dell'11 settembre, vediamo meglio, e vediamo oltre, ci renderemo conto che l'umanità è indivisibile. Le nuove minacce non fanno distinzione tra razze, nazioni o regioni
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KOFI ANNAN, Discorso per il Nobel, 10 dicembre 2001




Adam Zagajewski (Leopoli, Ucraina, 21 giugno 1945 – Cracovia, 21 marzo 2021), poeta, scrittore e saggista polacco. Esordì nel 1972 con Komunikat. Esponente della New Wave polacca, nel 1976 aderì al Comitato per la Difesa degli Operai e la dittatura comunista gli impedì di pubblicare. Cominciò allora il suo esilio a Houston e Parigi. Tornò a risiedere a Cracovia nel 2002.


venerdì 10 settembre 2021

Una Dea che si chiama Paolina


UMBERTO SABA

PAOLINA

Paolina, dolce
Paolina,
raggio di sole entrato nella mia
vita improvviso;
chi sei, che appena ti conosco e tremo
se mi sei presso? tu a cui ieri ancora
«Il suo nome – chiedevo – signorina?»;
e tu alzando su me gli occhi di sogno
rispondevi: «Paolina».

Paolina, frutto
natio,
fatta di cose le più aeree e insieme
le più terrene,
nata ove solo nascere potevi,
nella città benedetta ove nacqui,
su cui vagano a sera i bei colori,
i più divini colori, e ahimè! sono
nulla; acquei vapori.

Paolina, dolce
Paolina,
che tieni in cuore? Io non lo chiedo. È pura
la tua bellezza;
vi farebbe un pensiero quel che un alito
sullo specchio, che subito s’appanna.
Qual sei mi piaci, aureolata testina,
una qualunque fanciulla e una Dea
che si chiama Paolina.

(da Cose leggere e vaganti, 1920)

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La prima volta che il personaggio di Paolina appare nel Canzoniere di Umberto Saba – in Cose leggere e vaganti, raccolta del 1920 - si presenta come una sorta di dea locale, un etereo spiritus loci femminile che vaga per Trieste, un’apparizione capace di cancellare la malinconia del vivere: commessa della libreria antiquaria del poeta, incarna la potenza di un sogno magico dove le tinte sono evanescenti ma non cancellano la delicata sensualità che soffia leggera in tutta la poesia.

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FOTOGRAFIA © NASTYA BOYKO/500PX

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LA FRASE DEL GIORNO
Durano sì certe amorose intese / quanto una vita e più. / Io so un amore che ha durato un mese, / e vero amore fu.
UMBERTO SABA, Cose leggere e vaganti




Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957), poeta italiano tra i massimi del ‘900. Di famiglia ebraica, fu avviato agli studî commerciali, e fu per lunghi anni direttore e proprietario di una libreria antiquaria a Trieste. La sua poesia, quasi intimo diario e confessione, indaga le cose ultime, la donna, l’amore, il senso atavico del dolore. La sua opera è raccolta nel Canzoniere.