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giovedì 31 luglio 2014

La voce dei tuoi occhi

 

EDWARD ESTLIN CUMMINGS

IN UN LUOGO DOVE NON HO MAI VIAGGIATO

In un luogo dove non ho mai
viaggiato, gioiosamente oltre
ogni esperienza i tuoi occhi
hanno il loro silenzio:
nel tuo più fragile gesto
ci sono cose che mi includono,
o che io non posso toccare
perché sono troppo vicine
il tuo sguardo più leggero
facilmente mi schiude,
sebbene io abbia chiuso me stesso
come un pugno,
tu mi apri sempre
petalo per petalo
come la Primavera apre (toccando
sapientemente, misteriosamente)
la sua prima rosa
o se il tuo desiderio
è di chiudermi, io e
la mia vita ci chiuderemo
molto splendidamente,
improvvisamente,
come quando il fiore
di questo cuore immagina
la neve discendere amorosamente
dovunque
nulla che noi si percepisca
in questo mondo eguaglia
il potere della tua intensa
fragilità: la cui trama
mi sbaraglia con il colore
dei suoi paesi,
rendendo la morte e il sempre
a ogni respiro
(non so che cosa sia di te
che chiude e apre, solo
qualche cosa in me capisce che
la voce dei tuoi occhi
è più profonda di tutte le rose)
nessuno, nemmeno la pioggia,
ha così piccole mani.

(da In un luogo dove non ho mai viaggiato, Acquaviva 2005 – Trad. G. D’Ambrosio Angelillo)

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“L'anima che con gli occhi può parlare / anche con lo sguardo può baciare” dice Gustavo Adolfo Bécquer in una delle sue Rimas: l’anima è nello sguardo, e lo sa bene anche il carnale poeta statunitense Edward Estlin Cummings. L’amore si esprime nella sua maniera più profonda attraverso gli occhi: quell’incontro non è più dei corpi ma è già dell’anima, del nostro io più profondo.

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DAVID MACK, “KABUKI”

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LA FRASE DEL GIORNO
Guardarsi negli occhi è più indecente che andare a letto insieme.
BORIS VIAN




Edward Estlin Cummings,  noto anche come e.e. cummings (Cambridge, 14 ottobre 1894 – North Conway, 3 settembre 1962),  poeta, drammaturgo, scrittore e saggista statunitense. È celebre per il suo uso poco ortodosso delle maiuscole e delle regole della punteggiatura, e per il fatto di servirsi delle convenzioni sintattiche in modo avanguardista e innovativo.


mercoledì 30 luglio 2014

La cosa più bella

 

SAFFO

DICONO ALCUNI SULLA NERA TERRA

Dicono alcuni sulla nera terra
esser la cosa più bella uno stuolo
di navi, altri di fanti o cavalieri.
Io, ciò che ami.

È nota a tutti questa verità:
Elena, la più splendida creatura,
lasciò il marito, ottimo fra gli uomini,
senza pensiero

per la figlia né per i genitori
e alla città di Troia andò per mare
tanto l’aveva Cipride sconvolta
di folle amore.

Ed anche a me fa ora ricordare
Anattoria lontana, non più qui:
di lei vorrei dinanzi agli occhi avere
l’amabile figura

e ammirare i bagliori luminosi
del suo volto, piuttosto che dei Lidi
i carri e di soldati tumultuosi
armate schiere.

(Traduzione di Silvio Raffo)

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Qual è la cosa più bella sulla terra? Per la “decima Musa” Saffo, poetessa greca del VII secolo avanti Cristo, la risposta non sta come per altri (Omero, ad esempio) nello splendore esteriore - la potenza di una flotta di triremi a vele spiegate nel mare azzurro di Grecia, un esercito disposto in ordinata schiera con lo scintillio delle lance, degli elmi e degli scudi - ma in un sentimento interiore, in quella luce che emana dal volto dell’amata. Perché, infine, la cosa più bella sulla terra è l’amore, se anche la bellissima Elena, come si è visto l’altro giorno, abbandonò ogni cosa per seguire Paride, per seguire l’amore.

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JOHN WILLIAM GODWARD, “IN THE DAYS OF SAPPHO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Amore di nuovo m’assale, Amore che scioglie le membra, / dolceamara invincibile fiera.
SAFFO




Saffo (Ereso, 630 a.C. circa – Leucade, 570 a.C. circa), poetessa greca antica. Di nobile famiglia, colta e raffinata, istituì un tiaso, un collegio per ragazze, dedicato al culto di Afrodite, in cui si educavano le fanciulle al matrimonio. La sua sensibilità poetica seppe penetrare nell’animo e nelle cose cogliendone l’essenza, tanto che Platone la definì “la Decima Musa”.


martedì 29 luglio 2014

Come si scatena il vento

 

ÁNGEL GONZÁLEZ

QUESTE POESIE

Queste poesie le hai scatenate tu,
come si scatena il vento,
senza sapere da dove né perché.
Sono doni del caso o del destino,
che talora
la solitudine fa mulinare o spazza via;
null’altro che parole che si incontrano,
che si attraggono e si uniscono
irrimediabilmente,
e fanno un suono melodioso o triste,
lo stesso di due corpi che si amano.

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Ángel González, poeta spagnolo, attribuisce alla sua Musa personale – la donna della sua vita – l’ispirazione delle poesie che scrive. Un vortice di parole che nasce così, all’improvviso, così come si origina il vento senza un motivo preciso. E queste parole che volteggiano nell’aria, nel nulla, come particelle di ferro attratte da una calamita si uniscono, si mischiano fino a dare vita alla poesia, che ha il suono dolce e triste dell’amore.

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VLADIMIR KUSH, “VENTO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Scrivere una poesia, riempire di acqua un otre.

ÁNGEL GONZÁLEZ, Muestra de… algunos procedimientos narrativos




Ángel González Muñiz (Oviedo, 6 settembre 1925 – Madrid, 12  gennaio 2008), poeta spagnolo della Generazione del ‘50. Premio Principe delle Asturie nel 1985 e Premio Regina Sofia nel 1996. La sua opera mescola intimismo e poesia sociale con un tocco ironico. Il passare del tempo, l’amore e la civilizzazione sono i suoi temi ricorrenti, giocati su toni di un’ottimistica malinconia.


lunedì 28 luglio 2014

Elena pensa a Paride

 

ODETTE ALONSO

ELENA O L’ALTRO VOLTO DEL SILENZIO

Seduta dietro la rocca
Elena pensa a Paride.
I suoi figli crescono
e Menelao sonnecchia tra le coperte
in un angolo da dove talora la osserva.
Lei fila la rocca
e pensa a Paride
la bellezza e il panico
e qualche volta una lacrima o un batticuore
mentre il filo corre tra le sue dita
e Menelao dorme
e i suoi figli inseguono farfalle
e Paride è un sogno che il tempo le restituisce curato
e ornato vincitore di nulla
in questa sera dolce in cui Elena fila il suo ricordo
con una chiara lacrima o un batticuore.

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Quella di Elena è una figura di donna che ha attraversato i secoli incarnando l’eterno femminino. Nell’Iliade viene sedotta dal principe troiano Paride, abbandona il marito Menelao e parte per Troia: è infine la sua bellezza a dare il via alla guerra di Troia. Nell’Odissea, Elena e Menelao sono invece riconciliati e regnano su Sparta. È a questo momento che si riferisce la poesia della cubana Odette Alonso: Elena è una donna scontenta del suo presente: fila la lana e guarda crescere i figli mentre Menelao continua a dormire, una sorta di “casalinga disperata” di tre millenni fa attratta dal ricordo di Paride, da quel sogno che ancora le fa palpitare il cuore.

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EVELYN DE MORGAN, “ELENA DI TROIA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il ricordo è un compromesso: gli uomini si difendono con quello.
TOMMASO LANDOLFI, Racconti




Odette Alonso (Santiago de Cuba, 23 gennaio 1964), poetessa cubana. Risiede in Messico, dove ha radunato nel 2011 l'Antologia della Poesia Cubana dell'Esilio, la più completa raccolta di poeti cubani residenti fuori dall'isola mai realizzata fino ad oggi, progetto con il quale ha vinto uno dei Premi 2003 del Cuban Artists Fund di New York.



domenica 27 luglio 2014

I posti che insieme ci ebbero

 

RAFAEL ALBERTI

RITORNO DELL’AMORE NEI PAESAGGI ABITATI

Crediamo, amore mio, che quei paesaggi
rimasero addormentati o morti con noi
nel tempo in cui li abitammo;
che gli alberi perdessero la memoria
e che le notti andassero via, dando all’oblio
quello che fece loro belle e forse immortali.
Ma basta il più lieve palpitare di una foglia
o una stella che respira all’improvviso
per vederci noi stessi, allegri, riempire
i posti che insieme ci ebbero.
E così ti riveli, oggi, amore mio, al mio fianco
tra l’albero del ribes e le fragole nascoste
alla difesa del fermo cuore dei boschi.
Lì sta la carezza bagnata di rugiada,
i filamenti delicati che rinfrescano il tuo letto,
i silfi incantati di ornare i tuoi capelli
e gli alti scoiattoli misteriosi che spiovono,
sul tuo sonno il verde fittissimo dei rami.
Sono felice, foglia: non avere mai autunno,
foglia che mi hai portato
col tuo tremore piccolo
l’aroma di tanta cieca età luminosa.
E tu, minima stella persa, che mi apri
le intime finestre delle mie notti più giovani,
non spegnere mai il tuo fuoco
sulle tante stanze da letto in cui dormimmo all’alba!
E quella biblioteca con la luna
ed i libri lievemente caduti
e i monti fuori svegli, che cantano per noi.

(da Ritorni della vita lontana, 1948-1956 - Traduzione di Vittorio Bodini)

 

Nel 1940, terminata la guerra civile, il poeta spagnolo Rafael Alberti fu costretto ad emigrare in Argentina. La raccolta Ritorni della vita lontana è una sorta di diario di questo suo esilio, una ricerca proustiana del tempo perduto, degli anni trascorsi a Cadice, degli amori di allora, della fanciullezza, delle navi che passavano al largo, delle sere trascorse sul mare. “Affettuosi ricatti” li definisce Vittorio Bodini, amico e traduttore di Alberti. Ma da questi ricatti, che sono sì nostalgia e denuncia, nasce la consapevolezza del presente, la pace fatta con la nuova terra, attraverso la scoperta della bellezza dei paesaggi del Paraná. E il ricordo rimane quello che realmente è: un dolce vissuto.

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MARGARET MERRY, “THE BEACH AT LAS NEGRAS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Che conforto senza nome non perdere la memoria, / tenere gli occhi pieni di quei tempi passati, / di quelle notti in cui l’a ore ardeva / come l’unico dio che abitasse i boschi!
RAFAEL ALBERTI, Ritorni della vita lontana




Rafael Alberti Merello (El Puerto de Santa María, 16 dicembre 1902 - 28 ottobre 1999), poeta spagnolo. Membro della Generazione del ‘27. Il suo lirismo si evolve da una poesia più intellettuale e astratta alla violenza satirica di opere quali Capital de la gloria (1936-1938) e infine a un più delicato e nostalgico intimismo.


sabato 26 luglio 2014

Una poesia deve essere

 

ARCHIBALD MACLEISH

ARS POETICA

Una poesia dev'essere palpabile e muta
Come un frutto rotondo,

Silenziosa
Come antiche medaglie sotto il pollice,

Tacita come la pietra levigata dalle maniche
Sui davanzali dov'è cresciuto il muschio –

Una poesia dev'essere senza parole
Come il volo degli uccelli.

*

Una poesia dev'essere immota nel tempo
Come ascende la luna,

Lasciando, come la luna abbandona
Ramoscello per ramoscello gli alberi aggrovigliati alla notte,

Lasciando, come la luna dietro le foglie invernali,
Ricordo per ricordo la mente –

Una poesia dev'essere immota nel tempo
Come la luna sale.

*

Una poesia dev'essere uguale a:
Non una verità.

Per tutta la storia del dolore
Una foglia d'acero e un vuoto portone.

Per l’amore
Le erbe recline e due luci sul mare –

Una poesia non deve significare
Ma essere.

(da Poetry, 1926)

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Che cosa deve essere una poesia, ci dice Archibald MacLeish, poeta statunitense? La poesia deve essere una sensazione, deve originare un’emozione. Ma non solo questo: deve altresì sommuovere qualche retaggio ancestrale che c’è dentro di noi, qualche cosa di umano che ci vibra dentro, deve spalancare mondi alla visione, così come dicono che l’olfatto apra nel cervello dei cani sconfinati paesaggi.

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DIPINTO DI RAFAL OLBINSKI

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LA FRASE DEL GIORNO
La vera poesia può comunicare anche prima di essere capita.
THOMAS STEARNS ELIOT, Dante




Archibald MacLeish (Glencoe, Illinois, 7 maggio 1892 – Boston, Massachusetts, 20 aprile 1982), poeta e drammaturgo statunitense. Modernista, influenzato da Pound e Eliot,  l'elemento sociale si affermò sempre di più nella sua poesia, introducendovi un certo disorientamento, ma, d'altra parte, facendo da freno alla soggettività.




venerdì 25 luglio 2014

Leggere poesie

 

ERICH FRIED

LEGGERE POESIE

Chi
da una poesia
si aspetta la salvezza
dovrebbe piuttosto
imparare
a leggere poesie

Chi
da una poesia
non aspetta alcuna salvezza
dovrebbe piuttosto
imparare
a leggere poesie.

(da È quel che è, Einaudi, 1988 – Traduzione di Andrea Casalegno)

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Variando l’ordine dei prodotti, variando i fattori, mutando persino le variabili, nulla cambia: il poeta austriaco Erich Fried (1921-1988), con questo piccolo apologo che richiama certe storielle zen, consiglia di leggere poesie. Lo consiglia a chi crede che dai versi possa ricavare qualcosa e a chi invece ritiene che sia solo tempo perso o pura emozione estetica. Il punto non è l'esito che si attende ma il modo di leggere una poesia, di intenderla: una poesia dovrebbe interrogare, stupire, colpire; e per fare questo occorre immergersi in essa per poterne cogliere quella che Ungaretti chiamò “meraviglia di un delirante fermento”.

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BALTHUS, “KATIA LISANT”

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LA FRASE DEL GIORNO
Una poesia non deve significare / Ma essere.
ARCHIBALD MACLEISH




Erich Fried (Vienna, 6 maggio 1921 – Baden-Baden, 22 novembre 1988), poeta austriaco naturalizzato britannico. Ebreo, fu costretto ad abbandonare il suo paese nel 1938 dopo l'occupazione nazista. Emigrato a Londra, fu giornalista e commentatore del programma in lingua tedesca della BBC.


giovedì 24 luglio 2014

Tu, poesia

 

MIGUEL OTERO SILVA

TU, POESIA

Tu, poesia,
ombra più misteriosa
della radice oscura degli alberi centenari
più dell’aria nascosta
nelle vene segrete dei profondi minerali,
stella recondita più
della brace imprigionata nelle arche della terra.

Tu, musica tessuta
dall’arpa inintelligibile delle costellazioni,
tu, musica raccolta
al bordo degli ultimi precipizi azzurri,
tu, musica generata
al tam-tam dai battiti e dal cantare del sangue.

Tu, poesia,
nata per l’uomo e il suo linguaggio,
non gabbiano bianchissimo su un mare senza navi,
né bel fiore spuntato sulla piaga di un deserto.

(da Umbral, 1966)

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“La poesia è sempre più di attualità perché rappresenta il massimo della speranza, dell'anelito dell'uomo verso il mondo superiore” disse in una delle sue ultime interviste Andrea Zanzotto. La poesia è un mistero che travalica l’immanenza umana, è un tentativo di leggere tra le righe del mondo per penetrarne l’enigma: qualcosa che è davvero superiore, il poeta in fondo non fa altro che interpretare il reale come facevano un tempo gli antichi aruspici con il volo degli uccelli. Ed è proprio questo che il poeta venezuelano Miguel Otero Silva ritiene essere la poesia, una caratteristica connaturata all’umanità, che sgorga al ritmo del sangue e del respiro.

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Pollock

DIPINTO DI JACKSON POLLOCK

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LA FRASE DEL GIORNO
Credo che esista una categoria di poeti per i quali la poesia è qualcosa di vicino alla religione. Entrambe parlano di ciò che non è dicibile, l'ineffabile. Questo crea un'attesa per qualcosa che non si può dire.
ANA BLANDIANA




Miguel Otero Silva (Barcelona, 26 ottobre 1908 – Caracas, 28 agosto 1985), poeta, scrittore, umorista, giornalista e politico venezuelano. Attraverso la letteratura e il giornalismo ha raccontato numerose pagine della storia venezuelana del  XX secolo.



mercoledì 23 luglio 2014

Maledetto piacere di cantare

 

JUAN GELMAN

MESTIERE

Quando iniziando il verso io mi spiazzo
o non entra un avverbio e mi si spezza
tutta la musica, la forma guarda
col suo mostruoso volto di abortita,
l'aria mi fa male, soffro il sostantivo,
penso che bello andare sotto gli alberi
o far lo spaccapietre o essere passerotto
e preoccuparsi del nido e della
passerotta e i piccoli, sì, che bello,
chi me lo dice di mettermi, endecasillabo,
a cantare, chi me lo dice
di afferrarmi il cervello con le mani,
il cuore con i verbi, la camicia
per le punte ed esprimermi,
chi me lo dice, ti domando, essendo juan,
un juan così semplice coi suoi pantaloni,
i suoi amiconi, il suo lavoro e la sua
condannata abitudine di esser vivo,
chi me lo dice di andare gravido di frasi,
di calzare un cappello immaginario, di andare
ad aspettare una rima lì all'angolo di strada
come un fidanzato puntuale e disgraziato,
chi me lo dice di litigare con la grammatica,
maledirmi la notte, digrignare
fieramente, negarmi, rinnegare,
gemere, piangere, che bello è il passerotto
con la sua passerotta, i suoi piccoli e
il suo nido, il suo capriccio di esser grigio,
o far lo spaccapietre, dammi retta amico,
io scambio sogni e musica e anche i versi
per un piccone, pala e una carriola.
Ad una condizione:
lasciami un poco
di questo maledetto piacere di cantare
.

(da Violín y otras cuestiones,1956 - Traduzione di Laura Branchini)

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“Gridano al poeta: «Davanti a un tornio ti vorremmo vedere! / Cosa sono i versi? / Parole inutili! / Certo che per lavorare fai il sordo»”: ho pensato a Majakovskij leggendo questa poesia di Juan Gelman: il poeta argentino si macera sui versi, sulla necessità di scrivere e sulla sua difficoltà, si domanda se non sia meglio occuparsi d’altro. Ma alla fine la risposta che trova è che nulla può sostituire la poesia, che non è un dovere, ma un piacere.

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Poet

IMMAGINE © WIKISPACES

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LA FRASE DEL GIORNO
Capii ben presto che i poeti componevano le loro opere non facendo uso del cervello ma per una certa disposizione naturale, per una sorta di ispirazione, come gli indovini e i profeti.
PLATONE, Apologia di Socrate




Juan Gelman (Buenos Aires, 3 maggio 1930 – Città del Messico, 14 gennaio 2014), poeta, scrittore e giornalista argentino. Vincitore del Premio Cervantes nel 2007, è autore di una poesia esistenziale con accenti lirici e intimisti, divenuta più sociale con l’avvento della dittatura militare (il figlio e la nuora furono sequestrati e uccisi dal regime, la nipote data in adozione) e l’esilio.


martedì 22 luglio 2014

Kiss me quick, my dear

 

CARLOTA CAULFIELD

STOLEN KISSES ARE THE SWEETEST, LOUVECIENNES, 1932

  Henri:
   Je pense à toi tous le temps.
                                  Anaïs

La sola cosa che voglio sapere è
se dietro lo specchio
mi aspettano i tuoi occhi.

Kiss me quick, my dear,
la vita è breve.

Ti amo ha preso d’assalto
tutti i miei diari.
Ci vediamo dove e come capita.
Voglio che le tue mani
scrivano nelle pieghe
delle mie pagine
tutte le loro avventure,
e che ogni tratto di penna
serva a rendere
meno vergine il mio quaderno
.

 

Carlota Caulfield, poetessa cubana di origini irlandesi che insegna in California, indaga il rapporto amoroso tra Anaïs Nin e Henry Miller: la Caulfield si insinua nei panni della scrittrice francese, celebre per i suoi Diari, compito di una vera grafomane, e scava questi versi quasi che fossero un’altra pagina di quell’opera iniziata dalla Nin nel 1931, appena dopo l’incontro con l’autore di Tropico del Cancro e la moglie di lui, June, con la quale intraprese una relazione saffica e voyeurista. Emerge qua e là lo spettro della Nin dei Diari, come questa: “Vorrei baciare l’uomo la cui passione scorre come lava su un freddo mondo intellettuale. Vorrei rinunciare alla mia vita, alla mia casa, alla mia sicurezza, alla mia scrittura, per vivere con lui, lavorare per lui, essere una prostituta per lui, qualsiasi cosa, persino essere fatalmente ferita da lui”.

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ANAÏS NIN – FOTOGRAFIA © THE RED LINE

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LA FRASE DEL GIORNO
La sola anormalità è l’incapacità di amare.
ANAÏS NIN, Diario




Carlota Caulfield (L'Avana, 16 gennaio 1953), poetessa e traduttrice cubana di origini irlandesi. Laureata in Storia e Filosofia, dopo un peirodo a Dublino e Zurigo, si è trasferita in California. Attualmente è professoressa nel programma di studi ispanici presso il Mills College di Oakland.


lunedì 21 luglio 2014

Sulla paziente storia dei giorni

 

ATTILIO BERTOLUCCI

AT HOME

Il sole lentamente si sposta
sulla nostra vita, sulla paziente
storia dei giorni che un mite
calore accende, d’affetti e di memorie.

A quest'ora meridiana
lo spaniel invecchia sul mattone
tiepido, il tuo cappello di paglia
s’allontana nell'ombra della casa.

(da Lettere da casa, 1951)

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Ancora una volta lo scorrere del tempo – lento e paziente - e ancora una volta i temi classici di Attilio Bertolucci: il poeta di Parma teorizza questo suo minimalismo costituito dalla casa e dalla presenza dell’amata Nina, un saggio accontentarsi di quello che si ha, una confidenza ormai acquisita con il luogo dove ci si sente bene, già espressa in Sequenza familiare, poesia dall’incipit portentoso: “Non chiedere altro, la felicità è in questo / corso paziente, mentre gli anni fuggono / e i giorni così lenti scorrono”.

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Spaniel

JONELLE SUMMERFIELD, “AN ENGLISH COCKER SPANIEL IN ITALY”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il tempo / è un battito di minuti che si sente / a intervalli e si perde e ritrova / senza spavento.
ATTILIO BERTOLUCCI, La capanna indiana




Attilio Bertolucci (San Prospero Parmense, 18 novembre 1911 – Roma, 14 giugno 2000), poeta italiano. Le sue opere poetiche sono il risultato di una felice contaminazione tra eredità ermetica e capacità di tradurre ogni astratta eleganza in un discorso poetico naturale.


domenica 20 luglio 2014

L’inseparabile ombra

 

FRANCISCO ÁLVAREZ

IN TE

Mi piacerebbe essere il tuo pensiero,
l'inseparabile ombra che ti segue
- e se non come amante, come amica,
al sole, alla luna, alla luce di casa.

Vorrei essere il fiato del tuo respiro,
l'amore inquieto che ti avvince,
del tuo edificio colonnato e trave,
delle tue ferite odoroso unguento.

Tanto voglio essere tua, farti mio,
che io lascerei il mio spirito vuoto
perché tu lo riempia con la tua essenza.

Porta il mio profilo sul tuo sentiero,
ombra legata al tuo lieve vagare,
assorbimi nella pelle, nel vivere
.

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Con questo sonetto il poeta spagnolo Francisco Álvarez, poliglotta e viaggiatore instancabile, nel suo pellegrinaggio intimo attraverso le relazioni personali si mette nei panni dell’amata, o almeno della sua amata ideale: ne esce un’adesione totale a un amore, l’aspirazione ad essere totalmente l’uno dell’altra anche a costo di annichilirsi.

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Garassuta

DIPINTO DI ROMAN GARASSUTA

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore è tutto in colui che ama − l'amato non è che un pretesto.
ALPHONSE KARR, Le vespe




Francisco Álvarez (Los Corrales de Buelna, 1935), poeta spagnolo. Laureato in Filosofia e Lettere, ha iniziato a scrivere poesie fin dalla tenera età. Nel 1997 ha concentrato le sue conoscenze sul miglioramento tecnico, ma senza abbandonare le sue radici e lo stile classico. Tra le sue opere Poesie e sonetti, Breverías e Haiku e Luminari.



sabato 19 luglio 2014

Adesso, in questo momento

 

NAZIM HIKMET

CHE STA FACENDO ADESSO?

Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
È a casa? per la strada?
Al lavoro? In piedi? Sdraiata?
Forse sta alzando il braccio?
Amor mio
come appare in quel movimento
il polso bianco e rotondo!
Che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?
Un gattino sulle ginocchia
lei lo accarezza.
O forse sta camminando
ecco il piede che avanza.
Oh i tuoi piedi che mi son cari
che mi camminano sull’anima
che illuminano i miei giorni bui!
A che pensa?
A me? o forse… chi sa
ai fagioli che non si cuociono.
O forse si domanda
perché tanti sono infelici
sulla terra.
che sta facendo adesso
adesso, in questo momento?

1944

(da Lettere dal carcere a Munevver – Traduzione di Joyce Lussu)

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È una bella poesia d’amore questa che il poeta turco Nazim Hikmet scrisse dal carcere di Bursa all’amata Munevver: è l’ansia di ogni innamorato che vive lontano, che si deve affidare all’immaginazione per congetturare che cosa stia facendo l’altro in quel preciso momento, che siano pensieri elevati o pratiche contingenze di ogni giorno.

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Hill

AMY HILL, “DONNA CON GATTO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Chi sa, forse non ci ameremmo tanto / se le nostre anime non si vedessero da lontano / non saremmo così vicini, chi sa, / se la sorte non ci avesse divisi.
NAZIM HIKMET




Nâzım Hikmet Ran (Salonicco, 15 gennaio 1902 – Mosca, 3 giugno 1963), poeta, drammaturgo e scrittore turco naturalizzato polacco. Definito "comunista romantico" o "rivoluzionario romantico, è considerato uno dei più importanti poeti turchi dell'epoca moderna. Considerato sovversivo dal regime, scontò 17 anni di carcere prima dell’esilio nei paesi dell’est europeo.


venerdì 18 luglio 2014

Dolciastro odore di reseda

 

PAUL VERLAINE

DOPO TRE ANNI

Spinta la stretta e vacillante porta,
ho passeggiato nel piccolo giardino
appena illuminato dal sole mattutino
che screzia ogni fiore con un umido guizzo.

Nulla è cambiato. Ho rivisto tutto: l’umile
pergola della vite selvatica con le sedie in giunco...
L’acqua che scorre ha sempre un mormorio argentino
e il vecchio pioppo il suo eterno lamento.

Palpitano le rose come prima: come prima
orgogliosi tremano al vento i grandi gigli.
Conosco ogni allodola che vola e rivola.

E in piedi ho ritrovato la Velleda
il cui gesso si sfalda all’inizio della via,
fragile, nel dolciastro odore di reseda.

(da Poemi saturnini, 1866 - Traduzione di Renato Minore)

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Questa di Paul Verlaine è una poesia dove non sembra succedere niente: un uomo entra in un giardino e lo osserva. Ma in realtà la descrizione attenta degli oggetti, delle piante, dei fiori, del piccolo corso d’acqua che lo attraversa, sono suoni, profumi, sensazioni, impressioni che - per sinestesia - rievocano il ricordo di un amore felice che ebbe la sua casa proprio in quel giardino, tre anni prima. Più che malinconia, vi aleggia una calma e mite nostalgia, come se la ricerca del tempo perduto ne esaltasse solo la dolcezza, simile a quel “dolciastro odore di reseda” che non a caso chiude il sonetto.

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Monet

CLAUDE MONET, “VIALE NEL GIARDINO DI MONET A GIVERNY”

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LA FRASE DEL GIORNO
Io mi ricordo, sì, mi ricordo dell'ora e dei colloqui ed è il migliore dei miei beni.
PAUL VERLAINE




Paul-Marie Verlaine (Metz, 30 marzo 1844 – Parigi, 8 gennaio 1896),  poeta francese. Figura del poeta maledetto, viene riconosciuto come il maestro del Simbolismo. La sua influenza sarà significativa e i posteri accoglieranno questa arte poetica fatta di musicalità e della fluidità che gioca con i ritmi pari e chiede alla poesia di essere un canto discreto e dolce, che traduce delle impressioni incerte.



giovedì 17 luglio 2014

Due donne

 

LOUIS SCUTENAIRE

I VOLTI DELL’AMORE

Un uomo aveva due donne. Affinché sperimentassero per un po’ la vita selvaggia e godessero il fascino dei boschi, ne mise una nella foresta di Saint-Germain e l’altra in quella di Fontainebleau.

Poi, tornò alle sue faccende. Ne fi così assorbito da dimenticare quelle due creature. Arrivarono la neve, il freddo, il vento.

Una sera, l’uomo si ricordò. Corse subito dalle poverette che ritrovò quasi completamente morte d’angoscia e di fame.

La prima si gettò piangendo tra le sue braccia: «Ah, mi avevi dimenticata!». La seconda sorrise con tenerezza: «Ah, ti sei ricordato di me!».

(Traduzione di Paola Décina Lombardi)

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Il poeta surrealista belga Louis Scutenaire si serve di un apologo per descrivere i due volti dell’amore. Non è questione di logica, di giustizia, di etica l’amore. Chi può dire se in una storia ci comporteremmo come la prima donna che quasi sdegnata piange e pone se stessa al centro della coppia o come la seconda che sorride sollevata e pone l’altro al centro? Oppure se ancora il volto del nostro amore sia una via di mezzo, un compromesso paritetico? Ogni amore è storia a sé.

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PAUL ELIE RANSON, “DEUX JEUNES FILLES DEVANT LA TÊTE D'ORPHÉE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ogni amore procede dal vedere: l’amore intellegibile dal vedere intelligibilmente; il sensibile dal vedere sensibilmente.
GIORDANO BRUNO, De gli heroici furori





Jean Émile Louis Scutenaire (Ollignies, 29 giugno 1905 – Bruxelles, 15 agosto 1987), scrittore e poeta surrealista belga. Utilizzò l'automatismo nei Textes automatiques scritti nel 1931 e nei Les Jours dangereux les Nuits noires, composti a partire dal 1928. Assegnò i titoli a numerose opere dell'amico René Magritte.



mercoledì 16 luglio 2014

Nel mare delle parole

 

ÁNGEL CRESPO

COME L’ALLODOLA

Come, di sera, l'uccello
cade dalla terra sull'aria,
vibra le ali per non
continuar la caduta,
e sale finalmente al suolo
- così sprofondo nel mare
delle parole, giù,
mi sbraccio per non
continuar la caduta, e salgo
finalmente al silenzio.

(Traduzione di Oreste Macrì)

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Quella con le parole è una dura lotta per il poeta e critico spagnolo Ángel Crespo, traduttore di Dante, Petrarca e Pessoa: “In conflitto con la parola, / là: / litigo, m'azzuffo / fino a che schizza il sangue”. E l’analogia scelta per significare l’immergersi nelle parole – Crespo praticò il “realismo magico” come García Marquez – risulta onirica, appartiene al territorio dell’immaginazione e della fantasia: l’allodola, uccello passeriforme dal volo particolare: infatti sale fino a qualche centinaio di metri di altezza per poi picchiare verso terra ad ali chiuse, riaprendole solo in prossimità del suolo.

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FOTOGRAFIA © MOORHEN

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LA FRASE DEL GIORNO
Nessuno, mai, riesce a dare l'esatta misura di ciò che pensa, di ciò che soffre, della necessità che lo incalza, e la parola umana è spesso come un pentolino di latta su cui andiamo battendo melodie da far ballare gli orsi mentre vorremmo intenerire le stelle.
GUSTAVE FLAUBERT, Madame Bovary




Ángel Crespo (Ciudad Real, 18 luglio 1926 – Barcellona, 12 dicembre 1995), poeta e critico letterario spagnolo. Intellettuale della Generazione del '50, tradusse in spagnolo Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Fernando Pessoa. Dall'iniziale realismo esistenziale passò al postsurrealismo e poi all'umanismo trascendente.


martedì 15 luglio 2014

Il mio modo di amarti

 

ANTONIO GAMONEDA

AMORE

Il mio modo di amarti è semplice:
ti stringo a me
come se ci fosse un po’ di giustizia nel mio cuore
e io te la potessi dare con il corpo.

Quando ti scompiglio i capelli
qualcosa di bello si forma nelle mie mani.

E quasi non so di più. Io desidero solo
stare con te in pace e stare in pace
con un dovere sconosciuto
che talvolta pesa anche nel mio cuore.

(da Blues castellano, 1982)

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Antonio Gamoneda, poeta spagnolo, non definisce l’amore: lo esprime attraverso sensazioni. Stringere la donna amata in un abbraccio passandole una mano tra i capelli, rimanere così con lei come se il tempo non esistesse più non è una banale iconografia d’amore, è l’amore stesso, nella sua incredibile semplicità.

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FOTOGRAFIA © PINTEREST

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LA FRASE DEL GIORNO
Il vero amore non muore mai. Non conosce stagioni: le ore, i giorni, gli anni sono soltanto frammenti di stelle spente, brandelli di tempo.
ROMANO BATTAGLIA, Com’è dolce sapere che esisti




Antonio Gamoneda (Oviedo, 30 maggio 1931), poeta spagnolo. Figura emblematica della letteratura europea, la sua opera è stata riconosciuta tardivamente come una delle più grandi voci della poesia spagnola contemporanea. Sebbene cronologicamente appartenente alla generazione degli anni cinquanta, la sua opera di fatto è rimasta isolata da qualsiasi tendenza poetica.


lunedì 14 luglio 2014

Oro vivo

 

ELOY SÁNCHEZ ROSILLO

ISTANTE

Come non essere in sintonia proprio adesso
- e magari per sempre - con la vita,
ora che il sole di questa sera fredda e azzurra,
così basso, si insinua nella mia casa
e si addentra fino in fondo senza alcuna esitazione
convertendo al suo passaggio tutto ciò che tocca
in oro vivo e improvviso, in oro
che non durerà ma che riempie
di simpatia il mondo per me in questo istante?

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Un istante solo, un istante in cui la meraviglia della poesia si impadronisce della casa, mentre il sole del tramonto, basso all’orizzonte, tinge ogni cosa d’oro – quella che gli americani amano definire “the golden hour”, l’ora d’oro. Ed è proprio in questa meraviglia, in questo stupore che il poeta spagnolo Eloy Sánchez Rosillo si sente in armonia con il mondo, elevando il suo canto d’amore per la vita.

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KOROVIN KONSTANTIN ALEKSEEVIC, “FËDOR ŠALAPIN”

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LA FRASE DEL GIORNO
Solo una cosa non è vana: la perfezione sensuale dell'istante.
NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, In margine a un testo implicito




Eloy Sánchez Rosillo (Murcia, 24 giugno 1948), poeta spagnolo.  Nelle sue poesie balenano scorci di ciò che era e di ciò che è scomparso. Tra pienezza e malinconia, sono testimonianza della vita di un uomo e della certezza di un mondo, scritte con uno stile scorrevole e senza enfasi.

domenica 13 luglio 2014

Centenario di Gian Pietro Lucini

 

Gian Pietro Lucini, nato a Milano nel 1867 e scomparso per una grave forma di tubercolosi ossea a Breglia, sul Lago di Como, il 13 luglio 1914, può essere considerato l’anello di congiunzione tra l’Ottocento e il Novecento italiano: la sua verve di ribelle lo portò ad essere dannunziano e poi antidannunizano, futurista e poi antifuturista, socialista e poi anarchico. Un artista capace di mettersi sempre in discussione in virtù di una perfetta adesione dell’Arte alla Vita: “Ma se è vero che l'Arte è rifugio e consolazione delli ammalati inquieti, in cui la salute del cuore e dell'intelligenza contrasta colla morbosità degli altri organi, all'Arte mi affidai come alla sposa ed alla madre, che non tradiscono. Ho avuto ragione. Il mio atto di Vita d'allora in poi si è sempre confuso colla mia espressione d'Arte; la mia Azione è la mia Letteratura”.

Divenne così una voce d’avanguardia, un trait-d’union tra la Scapigliatura e il Simbolismo e il Futurismo, anche se spesso il suo verso si faceva confuso e convulso, come se nella sua penna si affollassero parole e concetti che premevano per uscire tutti assieme. E questa inquietudine – per certi versi anche aristocratica - è la caratteristica principale del suo dire poetico.

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ESPETTORAZIONI DI UN TISICO ALLA LUNA

«La chair est triste…»
MALLARMÉ, Brise Marine

Luna,
luogo comune delli sfaccendati;
in ogni prova prosodica
facile rima ai sonetti romantici;
belletti e vernice sentimentale alla bionda e alla bruna
per gustar la primizia dei contatti antematrimoniali;
lenocinio archetipo alle adultere;
mezza maschera vuota di simboli;
tegghia d’ottone a friggervi i capricci di Diana;
crachat maggiore allo stomaco immedagliato del cielo;
Luna, ho creduto in te;
al tuo patrocinio incappai nella ragna tesa
da due sguardi e da quattro parolette,
buscai solennemente
d’una verginità posticcia e macra
l’imberciatura classica.

Luna,
clorotica fortuna d’argento a navigare,
della tua faccia mi feci un altare:
vi ho deposto, in offerta, le più tirchie ed amare soddisfazioni
de’ miei sensi impotenti e castigati,
tutto quanto lasciai, con falsa umiltà,
alle gioie del mondo,
alla tentata e recusatasi felicità.
 
Luna,
il mio cuore ti sospira e si svuota
d’amarezze e ti vomita bestemmie:
sono un povero tisico che rece
coi coaguli rossi il suo buon cuore.
 
Luna,
balzata sul palcoscenico del firmamento,
mongolfiera celeste in convulsione sorretta dal vento,
simulata matrice in gestazione,
per scodellarci questa Primavera;
ho vergogna di te che, senza velo,
balli la danza del ventre sul cielo.
 
Occhiaccio strabico e permaloso,
sbìrciami in terra, sono il tuo sposo;
sogguarda dalla palpebra rossa e purulenta.
Testé, fosti uno specchio verdognolo
gobbuto ad occidente
di un’acida e bacata melarancia:
sarai libidinosa bocca spalancata,
con lunga lingua di luce a imbavare
i bei fianchi alle Nubi vaghe e strane,
prone al divano dell’orizzonte
callipigie e impudiche cortigiane.
 
Questo a te, questo a me
il contagio riserba alla fregola:
anche sopra le cime della notte
stirano e snodano le membra erette dal peplo le Nubi
pazze e infeconde, convulse e corrotte.
 
Luna,
civetta ipocrita a starnazzare
per l’aja insabbiata di stelle
fra il Carro e lo Scorpione,
sopra il catarro e il colascione della poesia classica,
ho le vertigini, non guardarmi più.
Un giovane impotente e smidollato ti squadra le fiche,
Luna smorta, o sorella,
oggi compunta e avvelenata
dispensatrice di atroci virtù.

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PER CHI?

Per chi volli raccogliere
questo mazzo di fiori selvaggi
stringerli in fascio nel gambo spinoso ed acerbo?

Tutti i fiori vi sono di sangue e di lacrime
raccolti lungo le siepi delle lunge strade;
dentro le forre delle boscaglie impervie;
sui muri sgretolati delle capanne lebbrose;
lunghesso i margini che lambe e impingua
il rivolo inquinato dai veleni.
decorso dal sobborgo alla campagna.
Tutti i fiori vi son, che, pei giardini urbani e decaduti,
tra le muffe e i funghi, s’ammalan da morirne,
e gli altri che sboccian sfacciati e sgargianti,
penduli al davanzale d’equivoci balconi meretrici:
tutti i fiori cresciuti col sangue e colle lacrime ai detriti.
Per chi io canto questi fiori plebei e consacrati
dal martirio plebeo innominato,
in codesto sdegnoso rifiuto di prosodia,
per l’odio e per l’amore,
per l’angoscia e la gioia,
e pel ricordo e la maledizione,
per la speranza acuta alla vendicazione?
Ed è per voi, acefale ed oscure falangi,
uscite da un limbo di nebie e di fiumi,
tra il vacillar di fiamme porporine, in sulla sera,
da portici tozzi e sospetti di nere officine?
ed è per voi, pei quali non sorride il sole,
schiavi curvi alla terra, che vi porta,
e rinnovate al torneo dell’armata,
ma non vi nutre, vostra?
ed è per voi, pallide teorie impietosite
di giovani, di vecchie e di bambine
inquiete tra la fède e i desiderii,
tra la tentazione della ricca città
e il pudor permaloso della verginità?

Per chi, per chi, questa lirica nuova,
che bestemmia, sorride, condanna e sogghigna,
accento sonoro e composto dell’anima mia,
contro a tutti, ribelle e superbo,
in codesto rifiuto imperiale d’astrusa prosodia?…

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LA FRASE DEL GIORNO

Quale arte, quale rappresentazione grafica o plastica è possibile che sia l'espressione dei tempi nostri, di questa lotta contro il già fatto per il fare nuovissimo, di questo abbattere il finito e l'incatenato per la libertà?
GIAN PIETRO LUCINI, Il libro delle figurazioni ideali





Gian Pietro Lucini (Milano, 30 settembre 1867 – Breglia, 13 luglio 1914), poeta, scrittore e critico letterario. Complessa e contraddittoria figura di transizione tra Ottocento e Novecento, dalla scapigliatura lombarda si avvicinò al futurismo, da cui si staccò poi clamorosamente. Fu narratore, poeta, critico, sempre animato da acume satirico e impeto polemico italiano. 



sabato 12 luglio 2014

Sei come la Nike

 

MARIA PAWLIKOWSKA

NIKE

Sei come la Nike di Samotracia a Parigi
o insonne amore:
anche ferito, con lo stesso ardore
tendi le braccia mutilate e voli.

(da Baci, 1926 - Traduzione di Marina Marsano Bergey)

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La poetessa polacca Maria Pawlikowska canta l’amore che non si rassegna alla fine, al diniego, che resiste ai colpi che il destino gli ha inferto e continua a vivere, per quanto sia mutilato e ferito, come la Nike di Samotracia [si legge Niche, mi raccomando, non Nàik!], celebre statua greca dei primi decenni del II secolo avanti Cristo, conservata al Louvre: senza braccia, senza testa, eppure ancora bellissima con il panneggio, con l’ala superstite, con la sensazione di movimento e di velocità che l’ignoto artista – alcuni dicono si chiamasse Pitocrito - seppe conferirle. La Nike, ovvero la Vittoria: e si ritorna ancora una volta a Virgilio, come in molte poesie di questo blog, Amor vincit omnia, l’amore vince tutto.

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Nike

NIKE DI SAMOTRACIA, PARIGI, LOUVRE

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore che poté morire non era amore.
BERTOLD AUERBACH, Auf der Höhe




Maria Pawlikowska-Jasnorzewska, nata Kossak (Cracovia, 24 novembre 1891 – Manchester, 9 luglio 1945), poetessa polacca. Autrice prolifica, denominata la “Saffo polacca”, fu la regina della scena poetica del suo paese durante il periodo tra le due guerre.


venerdì 11 luglio 2014

Profumo di gelsomino

 

EDWIN AGUSTÍN LOZADA

L’INCANTESIMO

Seducente è
il tuo profumo,
gelsomino
della notte misteriosa.

Con dolcezza di seta
accarezzi
l’aria trepida
e mite.

Dolce è
il ricordo che evochi.
Ancora più
dolce è
il sogno che provochi.

(da Sueños anónimos, 2001)

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Le fragranze della natura ci colpiscono certo per la dolcezza o la piacevolezza del loro effluvio – così i gelsomini, o i tigli, che rilasciano un aroma intenso. Ma quel loro profumo sa generare anche ricordi e l’associazione di idee conduce anche al sogno ad occhi aperti di questo canzoniere dell’amore perduto scritto dal poeta filippino Edwin Agustín Lozada, autore che ha studiato, vive e insegna a San Francisco, negli Stati Uniti.

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FOTOGRAFIA © FLORAWEB

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LA FRASE DEL GIORNO
Che, alle volte, scene dimenticate da molto tempo, apparentemente senza nessun movente, all'improvviso ci tornino alla memoria con molta vivacità, può, in molti casi, avvenire perché sentiamo un tenue profumo, percepito quasi inconsapevolmente, come allora. È noto, infatti, che gli odori risvegliano facilmente i ricordi, e dovunque al nexus idearum basta un'occasione sia pure assai insignificante.
ARTHUR SCHOPENHAUER, Parerga e Paralipomena




Edwin Agustín Lozada (San Fernando, 1954), poeta, scrittore ed editore  filippino stabilitosi in California. È soprattutto autore di poesie in spagnolo, talvolta autotradotte in inglese: ciò non significa un abbandono della lingua spagnola ma, al contrario, un modo di lavorarla e indagarla come fonte di identità personale e culturale.



giovedì 10 luglio 2014

Indirettamente

 

MANUEL JOSÉ ARCE

EPIGRAMMA XIX (PER FEDRA)

Senza sapere che di Lesbo praticavi
i bizzarri rituali,
un giorno grigio, inavvertitamente,
posi un bacio sulle tue labbra.

Oggi sorrido per la strada e mi domando
- dietro quel disincanto –:
non provano nulla al vedermi le tue amiche,
che indirettamente ho baciato?

(da XXVII Epigrammi erotici in omaggio a Marziale, 1964)

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Questo epigramma - politicamente scorretto certo, come lo sono tutti gli epigrammi ben riusciti - del poeta guatemalteco Manuel José Arce mi ha richiamato alla memoria due aforismi celebri. Uno è nei Detti e contradetti di Karl Kraus: “La donna ama uno per tutti, l'uomo tutte per una”. L’altro viene da L’occhiale indiscreto di Ennio Flaiano: “L'uomo, confrontato alla donna, è essenzialmente un inseguitore di fantasmi”. Ecco, quell’uomo che insegue le amanti di Fedra come graziosi spettri d’amore è la sintesi di questi due aforismi.

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PIERRE-AUGUSTE RENOIR, “DEUX BAIGNEUSES”

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LA FRASE DEL GIORNO
Una donna può dedicarsi alle donne perché l'uomo l'ha delusa, ma talvolta l'uomo la delude perché essa cercava in lui una donna.
SIMONE DE BEAUVOIR, Il secondo sesso




Manuel José Leonardo Arce Leal (Città del Guatemala, 13 maggio 1935 - Albi, Francia, 22 settembre 1985), poeta, scrittore, drammaturgo e giornalista guatemalteco. Negli Anni '80 dovette rifugiarsi in esilio in Francia per sfuggire alle minacce del regime di Lucas García.


mercoledì 9 luglio 2014

Dicono le cose

 

VITTORIO BODINI

CANZONE SEMPLICE DELL’ESSER SE STESSI

L’edera mi dice: non sarai
mai edera. E il vento:
non sarai vento. E il mare:
non sarai mare.

I cenci, i fiumi, l’alba della sposa
mi dicono: non sarai cencio né fiume,
non sarai alba della sposa.

L’ancora, il quattro di quadri, il divano-letto
mi dicono: non sarai noi
non lo sei mai stato.

E così il sogno, l’arco, la penisola,
la ragnatela, la macchina espresso.

Dice lo specchio:
come vuoi essere specchio
se non sai dare altro che la tua immagine?

Dicono le cose: cerca d’esser te stesso
senza di noi.
Risparmiaci il tuo amore.
Io fuggo da ogni cosa delicatamente.
Provo a esser solo. Trovo
la morte e la paura.

(1962)

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C’è in ogni essere umano questa ricerca della propria identità, del proprio posto nel mondo. Se guardiamo la data di questa poesia di Vittorio Bodini, possiamo aggiungere anche il senso di alienazione che hanno provato le generazioni uscite dalla guerra e cadute a capofitto nella società delle macchine e del consumo. Eppure, con la sua eco vagamente surreale, è una “canzone semplice” anche se la sua soluzione è nell’angoscia dell’umanità.

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M.C. ESCHER, “NATURA MORTA CON SPECCHIO SFERICO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Che cos’è l’identità di una persona? La risposta più semplice è: riconoscersi ed essere riconoscibile.
GIOVANNI JERVIS, La conquista dell’identità