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domenica 30 aprile 2017

Chi dorme

 

PEDRO LASTRA

VIOLA D’AMORE

A Irene Mardones Campos

È venuta e se n’è andata come la gioventù
se la prese la terra
o la dissolse il sogno
che con una mano costruisce e con l’altra disfà
i suoi paesaggi veloci
pieni di dolci illusioni,
di false oasi dove non passa nessuno
se non la viaggiatrice che si perde nella nebbia
di ogni mattina.
Ma il sogno non dorme
come sogna chi dorme, un angelo tradito
da non si sa chi
e invecchiato
dall’ombra dei giorni dimenticati:
è un’eternità quella dell’istante
e uno spazio infinito
il luogo dove abita.

(da Canzone del passeggero, 2001)

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Una fuga dal presente, un trascorrere in un luogo apparentemente senza tempo e senza spazio: questo è il sogno, creatore di illusioni, una sorta di Penelope che continuamente disfà la tela che tesse, spesso protagonista dei versi del poeta cileno Pedro Lastra.

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Altfest

ELLEN ALTFEST, “UOMO CHE DORME”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il dolore di non vedere insieme / quello che vedi nei tuoi sogni.
PEDRO LASTRA




Pedro Lastra Salazar (Quillota, 3 marzo 1932) è un poeta e saggista cileno. Professore di letteratura spagnola a Chillán, New York, Buffalo, Saint Louis, Lima e La Paz, è membro dell’Accademia Cilena del Linguaggio.


sabato 29 aprile 2017

Nel vetro del mare

 

ARMANDO MAZZA

OCCHI

Io guardo nei tuoi occhi come nel vetro del mare ove sciamano
le scaglie variegate di pesci infusi nell’acqua come nel solleone
i tuoi sguardi sono trapani di luce
proiettori di spighe di sole
frantoi concentrici di faville se improvvisamente dischiudi le palpebre
lacche di giostre roteanti
raggiere d’immacolata mosaicate di pietruzze d’arcobaleno

                                            occhi

dipananti ragnatele di fili d’oro
con freschezza tremula di squilli
e zampilli di bengala
se stillate le gemme amarigne del dolore io sgrano le
mie pupille ferine color di menta glaciale e di alga
verdissima degli oceani senza fondo

                                            occhi

sbracianti come fornaci di gioiellerie
v’imprigiono nella bombola di mosto del mio cuore per
le esplosioni sismiche del LIRISMO nella babele del mondo

(da Firmamento, 1920)

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Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista si parla, a proposito della gradazione di analogie da incatenare per evocare l’oggetto della poesia, di “acqua ribollente”: è ciò che questi versi del poeta futurista palermitano Armando Mazza richiamano, un fermento continuo, un inafferrabile scomporsi della materia dove riflessi, bagliori e colori si intersecano a formare una rete di immagini per definire gli occhi della donna amata e catturarli infine in poesia.

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Occhio

IMMAGINE © FANPOP

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LA FRASE DEL GIORNO
Dagli occhi delle donne derivo la mia dottrina: essi brillano ancora del vero fuoco di Prometeo, sono i libri, le arti, le accademie, che mostrano, contengono e nutrono il mondo.
WILLIAM SHAKESPEARE, Pene d’amor perduto




Armando Mazza (Palermo, 13 agosto 1884 – Milano, 19 gennaio 1964), poeta, scrittore e giornalista italiano. Protagonista della prima stagione del Futurismo, fu apprezzato poeta parolibero, poi giornalista, e ancora poeta di intenso lirismo negli anni tardi, quando diede vita con nostalgia accorata a rievocazioni e visioni di figure ed episodi dell’infanzia e dell’adolescenza nel contesto siciliano carico di luce e di colori, di figure incontrate ed amate nella giovinezza e nella maturità. 


venerdì 28 aprile 2017

In un vagone rosa

 

ARTHUR RIMBAUD

SOGNATO PER L’INVERNO

                                    A *** Lei

D’inverno viaggeremo in un vagone rosa
    con dei cuscini blu.
Staremo bene. Un nido di folli baci si nasconde
    in ogni morbido angolino,

Tu chiuderai gli occhi per non veder, dal vetro,
    ghignare le ombre della sera,
collerici mostri, nera plebaglia
    di lupi e di demòni.

Poi ti sentirai sfiorare lieve la guancia...
un breve bacio, come un ragnetto folle,
    ti correrà sul collo...

“Cercalo!” mi dirai, chinando un poco il capo,
- ma ci vorrà del tempo per trovar la bestiolina
    - che corre senza posa...

In treno, 7 ottobre ’70

(da Poesie, 1895 - Traduzione di Laura Mazza)

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Quando scrive questo sonetto a dire il vero un poco sdolcinato, Arthur Rimbaud è un ragazzino che sta per compiere sedici anni ed è per la seconda volta in fuga da casa dalla natia Charleville verso il Belgio. È proprio su quel treno che dipinge questo sogno d’amore, forse originato da un incontro di viaggio o semplicemente usato come occasione poetica.

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Ricardo Lopez Cabrera

DIPINTO DI RICARDO LOPEZ CABRERA

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LA FRASE DEL GIORNO
Andavo sotto il cielo, Musa! ed ero un tuo fedele. / Quanti splendidi amori ho sognato allora!
ARTHUR RIMBAUD, Poesie




Jean Nicolas Arthur Rimbaud (Charleville, 20 ottobre 1854 – Marsiglia, 10 novembre 1891), poeta francese. Con Baudelaire e de Nerval ha più contribuito alla trasformazione del linguaggio della poesia moderna. L'opera di Rimbaud comincia con versi legati per arrivare al verso libero e alla poesia in prosa che diventa lirica e attinge alla libertà dell'immaginario, ai sensi, alla visione irreale.



giovedì 27 aprile 2017

Tra l’interno e l’esterno

 

ANISE KOLTZ

NON C’È DIFFERENZA

Non c'è differenza
tra l'interno e l'esterno
tra le parole e le pietre.

Sollevandole
mi scoprirai
orbettino
arrotolato su se stesso.

(da Il Paradiso brucia, 1998)

 

“Quando scrivo una frase, sono disorientata e imbarazzata. Già ho voglia di cancellarla per dire nella successiva il contrario. Ho sempre l’impressione che l’essenziale mi sfugga. La doppia faccia, il alto nascosto delle cose” scrive la poetessa lussemburghese Anise Koltz nella prefazione della sua antologia Sonnambula del giorno. E cita un pensiero di Novalis: la nostra sventura è “di non prendere in considerazione la parte notturna del reale. Di non considerare del reale che la parte visibile”. La poesia è appunto la considerazione, la consapevolezza di questa parte notturna.

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Pietre

MARK LUNDE, “PIETRE IN UN CAMPO DI SENAPE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Sono io che scrivo la poesia? / O è la poesia che mi scrive?
ANISE KOLTZ, Il grido dello sparviero




Anise Koltz (Eich, 12 giugno 1928), poetessa lussemburghese. Di origini ceche, tedesche, inglesi e belghe, iniziò a pubblicare in tedesco per poi divenire una delle principali scrittrici in lingua francese. Al suo attivo ha anche dei racconti per bambini e numerose traduzioni.


mercoledì 26 aprile 2017

Ciò che è perduto

 

HORACIO CASTILLO

DICE EURIDICE

Mi hanno dominato l’ansia e l’inquietudine,
quando ho saputo che saresti venuto:
l’orrore che mi avresti visto così, con un velo d’ombra,
i capelli senza lucentezza – i capelli che il sole non si stancava di dorare.
E il terrore che non fossi lo stesso – quello che restava nella mia memoria -
e allo stesso tempo la curiosità di vedere di nuovo un essere vivente.
È da tanto che nessuno veniva qui,
tanto che nessuno si portava via un’anima o un cane,
che quando ho udito i tuoi passi e la tua voce che mi chiamava,
quando infine ti ho stretto, più che te stavo abbracciando la vita.
Il tuo calore poi mi ha condensato, mi ha seccata come un vaso,
e ho camminato per il corridoio buio
un’altra volta con quella macchina che mi rimbombava in petto
e un carbone acceso in mezzo alle gambe.
Ho camminato al tuo braccio, immaginando già la luce,
gli alberi accanto ai quali passeggiavamo,
la casa piena di specchi
dove galleggiavamo come due annegati.
Fino a quando all’improvviso il tuo passo si è fatto nervoso,
il tuo pensiero si è impaurito come un cavallo,
e ho visto che cercavi di staccarti da me,
di liberarti dalla trappola della materia mortale.
“Non te ne andare –ho supplicato – non abbandonarmi qui,
lasciami vedere ancora le nuvole e il sole,
liberami per il mondo come una puledra tracia”.
Ma tu già correvi verso l’uscita,
e per sette giorni e sette notti ho sentito come piangevi,
come cantavi sulla riva del fiume infernale
la nostra vecchia canzone: «Ciò che è perduto, solo ciò che è perduto, rimane».

(da Alaska, 1993)

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Il poeta argentino Horacio Castillo entra nel mito di Orfeo ed Euridice – l’artista per eccellenza che, disperato per la morte della moglie scende negli Inferi per riprendersela e riportarla alla luce e alla vita e convince con la sua musica Ade e Persefone a lasciarla andare con il patto però di non voltarsi mai nel cammino di ritorno, cosa che non farà. Castillo si mette nei panni della sposa, Euridice, mentre accoglie e segue Orfeo fino al sorprendente epilogo: è lui a rinunciare all’amata per inseguire quel sogno gozzaniano e dannunziano delle cose perdute.

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Corot

JEAN-BAPTISTE-CAMILLE COROT, “ ORFEO CONDUCE EURIDICE FUORI DAGLI INFERI”

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LA FRASE DEL GIORNO
Nulla è più dolce e triste / de le cose lontane
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GABRIELE D’ANNUNZIO, Invito alla fedeltà




Horacio Castillo (Ensenada, 1934 – La Plata, 5 luglio 2010), poeta, saggista e traduttore argentino. Avvocato del Foro di La Plata, fu membro a pieno titolo dell'Accademia argentina di lettere e corrispondente dell'Accademia reale spagnola. Ha fatto diverse traduzioni dal greco.

martedì 25 aprile 2017

Ella

 

WISŁAWA SZYMBORSKA

ELLA IN CIELO

Pregava Dio,
pregava con fervore
perché facesse di lei
una felice ragazza bianca.
E se ormai è tardi per questi cambiamenti,
allora Signore Iddio, guarda quanto peso
e toglimene almeno la metà.
Ma Dio, benevolo, disse: No.
Le posò soltanto la mano sul cuore,
le guardò in gola, le carezzo il capo.
E quando tutto sarà compiuto – aggiunge -
mi allieterai venendo a me,
mia nera gioia, tronco pieno di canto.

(da Qui, 2009 – Traduzione di Pietro Marchesani)

 

Cento anni fa, il 25 aprile 1917, a Newport News, città della Virginia, nasceva Ella Fitzgerald. La sua voce cristallina e potentissima – tre ottave di estensione, praticamente uno strumento musicale, sapeva interpretare alla perfezione il jazz, soprattutto quando improvvisava i fonemi dello scat. La poetessa polacca Wisława Szymborska la apprezzava moltissimo, tanto da chiedere che al suo funerale venisse eseguito Black Coffee, un brano di Sonny Burke nell’esecuzione della Fitzgerald. Questa poesia è il suo omaggio, la constatazione di quel dono che Dio o la natura avevano dato in sorte alla ragazza nera che voleva diventare una ballerina, e trascrive in versi una confessione di Ella: “So che non sono una ragazza affascinante non è facile per me arrivare davanti a una folla di persone. Questo un tempo mi preoccupava molto, ma ora ho capito che Dio mi ha dato questo talento da usare, così devo solo stare lì e cantare”.

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Ella

FOTOGRAFIA DA PINTEREST

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LA FRASE DEL GIORNO
Non è da dove arrivi, è dove vai che conta.
ELLA FITZGERALD




Wisława Szymborska (Kórnik, 2 luglio 1923 – Cracovia, 1º febbraio 2012), poetessa e saggista polacca, insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1996 “per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d'umana realtà”.


lunedì 24 aprile 2017

Vasi alla finestra di Dio

 

NIKIFÒROS VRETTÀKOS

POESIE PER LA STESSA MONTAGNA, II

Ti salivo, ti scendevo, carico
di cielo per i miei domani.
Le mie parole, calici, dovevano
riempirsi di luce. I miei versi,
vasi alla finestra di Dio.

(da Corale, 1988 - Traduzione di Gilda Tentorio)

 

“La sua poesia è la scoperta del mondo “da dentro”, uno sguardo di stupore e meraviglia di tutti i sensi che esplorano la bellezza” scrive Gilda Tentorio a proposito del poeta greco Nikifòros Vrettàkos. La poesia è un quotidiano porsi in rapporto con il mondo e con l’universo, una sorta di fatica di Sisifo che però non è fine a se stessa ma garantisce la comprensione. Per questo il poeta può esporla fieramente, come “vasi alla finestra di Dio”.

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Fiori

NIKOLAJ KARACHARSKOV, “FIORI SUL DAVANZALE DELLA FINESTRA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Somigliano i miei versi al bacio dorato del sole sulla neve.
NIKIFÒROS VRETTÀKOS, Il libro di Margherita




Nikifòros Vrettàkos (Krokeès, 1° gennaio 1912 – Plumitsa, 4 agosto 1991), scrittore e poeta greco. Partito per Atene alla scoperta del mondo, ne fu deluso. Prese parte in prima linea alla Seconda guerra mondiale e alla resistenza. Espulso dal Partito Comunista per il suo umanesimo di pace, visse in esilio la dittatura dei colonnelli.


domenica 23 aprile 2017

Amore, tu sapessi…

 

VITTORIO BODINI

CON QUESTO NOME

Amore, cosa chiamo con questo nome
io non sono più certo di sapere.
Se ricerco nel fondo ove s'immerse
il tuo quieto naufragio,
fra i denti degli squali, di quelle sabbie gelosi,
presto riemerge il mio pensiero nudo
al visibile giorno,
con le braccia ferite e qualche filo
d'alga sul corpo, o i ciechi segni d'una medusa.

Ma a sera, se col passo delle fiere
che convengono caute presso lo stagno,
fra gli azzurri veleni che mesce il cielo,
in me come a tremante vetro s'affacciano
le antiche colpe, o errori, o la presente
solitudine, oh allora, come sei
tu stranamente viva sulle mie labbra,
e che stupiti altari la mia voce
odono che si scolpa nelle tenebre
a mia insaputa: O amore, tu sapessi…

(da La luna dei Borboni, 1952)

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Siamo nel pieno dell’ermetismo: questa poesia di Vittorio Bodini apparve il 31 gennaio 1947 su Libera voce e si inserisce nel dibattito epistolare prima e letterario poi in corso con l’amico critico Oreste Macrì. Non è solo la definizione di amore a essere al centro del discorso, ma l’essenza stessa del dire poetico, la difficoltà – o impossibilità addirittura – di comunicare, quella che in Zeta (1969)sarà “questa mano accusativa / che non salva e non placa /che lascia tutto come sta”.

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Tramonto

FOTOGRAFIA © COLOURBOX.COM

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LA FRASE DEL GIORNO
Il poeta passeggia fra i seni altrui / fra lune altrui / ed intanto si interroga sulla propria / statura d'uomo.

VITTORIO BODINI, Zeta




Vittorio Bodini (Bari, 6 gennaio 1914 – Roma, 19 dicembre 1970), poeta, ispanista e traduttore italiano. La sua poesia si distingue per una appassionata adesione alle ragioni storiche e geografiche di un Sud rivissuto con amore-odio, ma sempre poeticamente ricreato con intensa nostalgia, non di rado acuita da esistenziali vicende e soffusa di dolente ironia.



sabato 22 aprile 2017

Deposito di ombre

 

OLGA OROZCO

CANTI A BERENICE, VI

Non hai mangiato il loto dell’oblio
- l’omerico privilegio degli dei –,
perché sapevi già che chi dimentica diventa un oggetto inanimato
- abbandonato alla risacca o relitto alla deriva -
all’estro del capriccioso mare delle altre memorie.
E così hai frugato un giorno nel tuo deposito di ombre
e hai annodato di nuovo con teneri lacci piccole ossa disperse,
tessuti innamorati del sapore della pioggia,
viscere dolci come arnie soprannaturali per l’ape regina,
denti che furono lupi nelle steppe della luna,
unghie che furono tigri nella profonda giungla imbalsamata.
E hai avvolto tutto in questo sacco di carbone stellato
che hai scagliato fino a qui, come da un treno in corsa,
e che in qualche luogo ha lasciato un buco attraverso cui ti aspirano
e dove devi tornare.

(da Canti a Berenice, 1977)

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Sant’Agostino nelle sue Confessioni scrisse che “La facoltà della memoria è grandiosa. Ispira quasi un senso di terrore, Dio mio, la sua infinita e profonda complessità”. Ricordare significa ricostruire, riconnettere, riallacciare collegamenti dispersi, come fa il protagonista di questi versi della poetessa argentina Olga Orozco: come un moderno Dottor Frankenstein rimette assieme i pezzi dolorosamente ma anche dolcemente, tenendo ben presente che l’oblio è il nulla.

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Olbinski

DIPINTO DI RAFAL OLBINSKI

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LA FRASE DEL GIORNO
Tua sorella, la memoria, con un giovane ramo ancora tra le mani, / racconta un’altra volta la leggenda infinita di un paese di nebbia.
OLGA OROZCO, Da lontano




Olga Orozco, pseudonimo di Olga Noemí Gugliotta (Toay, 17 marzo 1920 – Buenos Aires, 15 agosto 1999),  poetessa, scrittrice e giornalista argentina. Faceva parte della generazione della "Terza Avanguardia", con una marcata tendenza surrealista, e basò la sua produzione poetica sull'influenza esercitata su di lei da Rimbaud, Nerval, Baudelaire, Milosz e Rilke.

venerdì 21 aprile 2017

Centenario di Palau i Fabre

 

Il poeta e critico d’arte spagnolo Josep Palau i Fabre nasceva il 21 aprile 1917 a Barcellona. Vi morirà nel 2008. Narratore, drammaturgo, saggista, massimo esperto di Picasso, fu il principale esponente della letteratura in lingua catalana del dopoguerra, che sviluppò curiosamente per cicli: poesia dal 1942 al 1952, teatro dal 1957 al 1986, narrativa breve dal 1983 al 1996. Ammaliato dall’alchimia, la applica alla poesia, intesa non “come fine a se stessa, ma come mezzo d’esplorazione, o di sperimentazione, come per altri possono essere il microscopio o la musica – come ne  medioevo si usavano i metalli”.

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Palau

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LETTERA

Ti scrivo parole di fuoco con una matita rossa.
Se ti parlo del bacio è già un po' baciarti.

Barcellona, 1940

(da Poesie epigrammatiche, 1940-42)

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LORELEI

La musica dell'acqua
come una bianca donna.
Perché la mia barca
naviga questi luoghi?
Non esiste alba in me
né aria a sufficienza
per farmi più leggera
questa canzone estranea.

23 gennaio 1943

(da Poesie dell'alchimista, 1952)

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LA GRANDE CORSA DEL MARE

a Amàlia Tineo

La grande corsa del mare sempre diversa
(ho navigato la Grecia catalana)
mi attira con le sirene impossibili
e i delfini lucenti – fulgore di spade -
e gli azzurri, sempre più azzurri, delle lontananze.

Adesso navigo in me stesso un’acqua
più nuda e trasparente, più impalpabile.
Un’acqua come aria. Alba
del cuore, in pace, senza barche né onde;
senza delfini né remi, senza funi né scalmi;
un’acqua solo acqua e acqua e acqua.

(da Poesie dell'alchimista, 1952)

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Vedi anche:

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LA FRASE DEL GIORNO
Un poeta non lo scopre nessuno. Un poeta si scopre da sé il giorno che scrive i primi versi buoni.

JOSEP PALAU I FABRE, Pensieri




Josep Palau i Fabre (Barcellona, 21 aprile 1917 – 23 febbraio 2008), narratore, drammaturgo, saggista, massimo esperto di Picasso. Fu il principale esponente della letteratura in lingua catalana del dopoguerra. Ammaliato dall’alchimia, la applica alla poesia, intesa non “come fine a se stessa, ma come mezzo d’esplorazione, o di sperimentazione”.

giovedì 20 aprile 2017

Marino Muñoz Lagos

 

Lo scorso 15 aprile all’Hospital Clinico de Magallanes a Punta Arenas è scomparso il poeta cileno Marino Muñoz Lagos, amico di Pablo Neruda e di Francisco Coloane. Nato nel 1925 a Machlan, si trasferì nel sud nel 1948 per rimanervi e diventare la voce della poesia australe: “Quanti amano questa terra non dimenticano gli elementi essenziali che la fanno imprescindibile: la distanza, il colore, la solitudine, il vento, la neve”. Elementi naturali e atmosferici che permeano la sua poesia, abitata da marinai e navigatori di lungo corso e dal paesaggio magellanico del sud del Cile.

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Marino Muñoz Lagos

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VECCHI POETI DEL MARE

Amo i vecchi poeti
che ci parlano di porti diversi
e di bar singolari,
di pianole dall’alto delle alte
muraglie e voci di paesi lontani
tra bicchieri di rum,
birre spumeggianti
e una pugnalata ben assestata.

Questi poeti tornano sui loro passi
e hanno il compito di darci un mare
di vecchie litografie.

Eppure è affascinante viaggiare
verso quei porti
dove i bar diventano
gli azzurri pontili della nostalgia.

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PERDONATE I TRADITORI

Quando d’inverno
si mangiavano le prime castagne
e la pioggia era
una ragazza che giungeva
sui vetri,
rincorrevi i tuoi figli
uno a uno e faccia a faccia,
e indovinando i loro sogni
o i tuoi, dicevi
con segreta speranza: "medico,
ingegnere, donna di casa, contadino,
albero, spiga, poeta".
Madre: ti abbiamo tradito.
Siamo i più celebri
vagabondi della terra.

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BAR COSMOPOLITA

Arriviamo al bancone come una nave
che accosta al molo.

Il bar respira il fumo azzurro
di svariati tabacchi
e a mala pena riusciamo a scorgere
i gesti della cameriera.

Si parla di lunghi viaggi
e gli avventori più ubriachi
si guardano nei fantasmi che sorgono
dagli specchi rotti.

All’improvviso si apre una porta
a un colpo di vento
e tutti ci vediamo navigare
in un mare di tenebre
verso la più spaventosa ubriachezza.

(da I volti della pioggia, 1970)

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LA FRASE DEL GIORNO
Abitiamo la nostalgia come se fosse una vecchia casa.

MARINO MUÑOZ LAGOS, I volti della pioggia




Marino Muñoz Lagos (Mulchén, 19 luglio 1925 - Punta Arenas, 15 aprile 2017), poeta cileno. Dopo aver conseguito il diploma di maestro elementare, si è stabilito a Punta Arenas, a seguito delle norme della cosiddetta Legge di Difesa Permanente della Democrazia. Le sue poesie hanno per sfondo il paesaggio magellanico con tempeste e marinai.


mercoledì 19 aprile 2017

Il tuo sguardo

 

MARÍA CINTA MONTAGUT

LA SERA

La sera
Quando il sole spietato svanisce,
Quando la brezza si installa nel ricordo
E gli specchi sanno che è giunto il loro tempo,
Disegno con le mie mani il tuo sguardo.
Mai i tuoi occhi mi hanno amato come l’aria,
Mai le tue labbra.
La tua pelle come praterie
dove fiumi azzurri si contemplano,
Mai il tuo corpo intero.
La sera
Il tuo sguardo è un cacciatore solitario.

(da Come un lento pugnale, 1980)

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Lo sguardo dell’altro,il corpo dell’altro come mezzo per riconoscersi: è questo il tema centrale della raccolta Come un lento pugnale della poetessa spagnola María Cinta Montagut. Ricrearlo, immaginarlo, non è soltanto un mezzo per sopperire all’assenza ma anche un modo per comprendere, per ricostruire, sera dopo sera…

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Van Hove

DIPINTO DI FRANCINE VAN HOVE

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LA FRASE DEL GIORNO
Lo sguardo alle volte può farsi carne, unire due persone più di un abbraccio
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DACIA MARAINI




María Cinta Montagut Sancho (Madrid , 20 dicembre 1946), poetessa spagnola, traduttrice dall'italiano e dal francese e critica letteraria.​ È redattrice della sezione poesia della rivista letteraria internazionale The Barcelona Review.


martedì 18 aprile 2017

Scatto ultrarapido

 

BILLY COLLINS

BALISTICA

Quando mi sono imbattuto nella foto a scatto ultrarapido
di un proiettile che aveva appena perforato un libro
con le pagine che scoppiavano per la velocità,

ho scordato i prodigi della fotografia
e ho cominciato a chiedermi quale libro
il fotografo avesse scelto per lo sparo.

Mi sono venuti in mente tanti romanzi
compresi quelli di Raymond Chandler
dove un proiettile in più si noterebbe a fatica.

La saggistica offriva troppe possibilità:
una storia di case del faro scozzesi,
una biografia di Giovanna D’Arco, e così via.

O poteva essere un’antologia di letteratura medievale,
con il proiettile che aveva appena decapitato Sir Gawain
e sparpagliato il variegato gruppo di pellegrini.

Ma più tardi, mentre scivolavo nel sonno,
ho capito che il libro giustiziato
era una raccolta recente di poesie scritte

da uno che non ammiravo
e che la pallottola doveva aver attraversato
il suo scritto incontrando poca resistenza.

a ottocentoquaranta metri al secondo,
passando per le poesie della sua infanzia
e quelle sullo stato deprimente del mondo

e poi per la foto dell’autore,
attraverso la barba, gli occhiali rotondi
e quello speciale cappello da poeta che gli piace indossare.

(da Balistica, Fazi Editore, 2011 - Traduzione di Franco Nasi)

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“Collins usa il linguaggio comune dell’americano medio, con il ritmo della lingua parlata, senza enfasi retoriche, a volte comico e divertito, altre ironico e commovente, di un’immaginazione che si esercita a partire dagli oggetti quotidiani o dagli elementi della natura; una poesia che rifugge dalle visionarietà apocalittiche” scrive il traduttore e curatore dell’edizione italiana di Balistica, Franco Nasi. Si può apprezzare lo stile di Billy Collins nella poesia eponima, dove maggiormente si manifesta quello “sguardo divertito”, quell’ironia nell’osservare il mondo che diventa improvvisamente autoironia.

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Getty

FOTOGRAFIA © GETTY IMAGES PER USO EDITORIALE

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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è un mezzo di trasporto economico. Alla fine della poesia il lettore dovrebbe trovarsi in un luogo diverso da quello da cui è partito.

BILLY COLLINS




William Collins, detto Billy (New York, 22 marzo 1941), è un poeta statunitense. Dopo aver insegnato letteratura inglese al Lehman College nel Bronx per oltre 50 anni, ora è in pensione. Le sue poesie raccontano con ironia la vita dell’America borghese e suburbana.


lunedì 17 aprile 2017

La Pasqua dell’Angelo

 

ANDREA ZANZOTTO

STORIE DELL'ARSURA

I

Vuoto d'acque, misero scheletro
lungo le case del mio paese,
Soligo io ti guardo e non mi basta
la Pasqua dell'Angelo, non piove da mesi.
Hai sete, piccolo fiume imbavagliato
nudo nudo e senza parola.
Io tra le lacrime guardo
il sole allontanato ed offeso dal vento,
la Pasqua dell'Angelo
tra furiosa polvere sparire
e invernali ombre di reticolati
di rive in brulle rive
assecondare la tua magra quiete.
Da tanto a te, Soligo, mi conformo,
la sete lunga lunga trassi come il tuo letto,
da tanto non piove che un'amara abitudine
mi ha tolto ricordarmi
che sia la sete stessa.

II

Dai miei poveri giorni mi svio,
salgo con lena primaverile
verso i boschi di Lorna
e benefiche valli e grato verde
d'aprile acerbamente sogno.
Nulla per dorsi spenti
e per cavi torpori mattutini
nulla dietro il ventaglio del meriggio
che soffocate sere scopre
per tramiti gessosi e stecchi e brividi.
Negli altri anni a queste ore
sulle mie pene invernali
grande e madido il bosco
era cresciuto, mansueto limo
aveva popolato il mio cortile.
Ma ora un sole infelice mi fa scuotere il capo,
or si fende la creta, sbigottito è il ruscello,
e le tue care labbra
sento umide solo
per un'avara dimenticanza
dell'immenso risucchio dell'arsura.

(da Elegia e altri versi, 1954)

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È il Lunedì dell’Angelo, il giorno della tradizionale “gita fuori porta” più sulle orme dell’arte e della natura che dei discepoli diretti a Emmaus. Andrea Zanzotto, poeta trevigiano di Pieve di Soligo, attraversa il paese in un paesaggio primaverile insolitamente dominato dalla siccità – in realtà molto simile a quello di quest’anno - verso i boschi che coprono la collina che lo sovrasta. Buona gita fuori porta a chi ci andrà e comunque buona Pasquetta.

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Soligo

FARRA DI SOLIGO – FOTOGRAFIA © RADIO VENETO UNO

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LA FRASE DEL GIORNO
Dalle passeggiate nel bosco si può imparare molto di più che dalle pagine dei libri
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ROMANO BATTAGLIA, Foglie




Zanzotto_AndreaAndrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011), poeta italiano tra i più importanti del secondo Novecento. La sua poesia, che scava profondamente nella materia linguistica, è legata alle tracce e alle memorie del suo paese natio: "Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio”.


domenica 16 aprile 2017

Alla televisione Cristo in croce

 

EUGENIO MONTALE

SERA DI PASQUA

Alla televisione
Cristo in croce cantava come un tenore
colto da un’improvvisa colica pop.
Era stato tentato poco prima
dal diavolo vestito da donna nuda.
Questa è la religione del ventesimo secolo.
Probabilmente la notte di San Bartolomeo
o la coda troncata di una lucertola
hanno lo stesso peso
nell’Economia dello Spirito
fondata sul principio dell’Indifferenza.
Ma forse bisogna dire che non è vero
bisogna dire che è vera la falsità,
poi si vedrà che cosa accade.
Intanto chiudiamo il video.
Al resto provvederà chi può
(se questo chi
ha qualche senso).
Noi non lo sapremo.

(da Quaderno di quattro anni, Mondadori, 1977)

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Sera di Pasqua del 1975, alla televisione Jesus Christ Superstar, il film di Norman Jewison del 1973 tratto dal musical di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber. E l’ottantenne Eugenio Montale (1896-1981) in questa messinscena di hippies trova un altro appiglio al tema di Quaderno di quattro anni: l’equivocità del linguaggio, la sua usura, la necessità di cambiarlo.

Buona Pasqua!

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UNA SCENA DA “JESUS CHRIST SUPERSTAR”

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LA FRASE DEL GIORNO
Pasqua ventosa che sali ai crocifissi  / con tutto il tuo pallore disperato, / dov'è il crudo preludio del sole?

ANDREA ZANZOTTO, Dietro il paesaggio




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

sabato 15 aprile 2017

Metafora dell’oblio

 

ALFONSO BREZMES

FINZIONI

Dimmi che è solo un sogno
o al massimo un altro racconto di Borges;
che i sentieri che percorre l’amore
sono labirinti che si biforcano
e si perdono, si biforcano
e si perdono, e che il tuo ricordo
è solo un uccello che attraversa
in volo
gli incerti confini della poesia.
Un altro universo
tra le migliaia di universi possibili.
Un’ultima,
e dolce,
e superba
metafora dell’oblio.

(da La notte tatuata, 2013)

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È un omaggio al grande Borges sin dal titolo, mutuato da una delle sue opere più intriganti, questa poesia dello spagnolo Alfonso Brezmes, una sorta di applicazione all’amore di una vernice borgesiana, con uno dei suoi celebri stilemi, quello del giardino dei sentieri che si biforcano: e così giorno per giorno li attraversiamo, ci perdiamo, ci ritroviamo finché restiamo soli nel labirinto con tutti i nostri ricordi che si trasformano lentamente in oblio.

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ILLUSTRAZIONE DI RAFAL OLBINSKI

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LA FRASE DEL GIORNO
Innamorarsi è dar vita a una religione il cui dio è fallibile.
JORGE LUIS BORGES, Nove saggi danteschi




Alfonso Brezmes (Madrid, 1966), poeta spagnolo, fotografo e funzionario statale. La sua poesia è al tempo stesso colta e popolare, tanto da farlo apprezzare sia da critici e lettori tradizionali sia da un più largo pubblico. Il suo immaginario si nutre di riferimenti letterari (Baudelaire, Rilke…) ma anche di cinema e di cultura pop.


venerdì 14 aprile 2017

Al Venerdì Santo

 

DAVID MARIA TUROLDO

A STENTO IL NULLA

No, credere a Pasqua non è
giusta fede:
troppo bello sei a Pasqua!

Fede vera
è al Venerdì Santo
quando Tu non c’eri
lassù!

Quando non una eco risponde
al suo grido

e a stento il Nulla
dà forma

alla Tua assenza.

(da Canti ultimi, Garzanti, 1992)

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David Maria Turoldo, oltre che poeta era un sacerdote ma soprattutto un uomo che si interrogava, che poneva continue sfide alla sua fede perché non fosse un bigotto integralismo ma un ragionato percorso. E la desolazione, la totale e vuota sofferenza del Venerdì Santo, della Passione ormai conclusa con la deposizione del Cristo nel sepolcro è per un credente la sfida più difficile: in quel momento il Dio inchiodato alla croce non è ancora quello sfolgorante della Resurrezione né il Maestro che arringa le folle e compie miracoli, ma solo un uomo.

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Sorokin

EVGRAF SEMËNOVIC SOROKIN, “CROCIFISSIONE”

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LA FRASE DEL GIORNO
Queste le ragioni del mio / quotidiano penare: è libertà, / il mio amore, / libertà - cercata sempre / e mai raggiunta.
DAVID MARIA TUROLDO, O sensi miei




David Maria Turoldo, al secolo Giuseppe Turoldo (Coderno, 22 novembre 1916 – Milano, 6 febbraio 1992), presbitero, teologo, filosofo, scrittore e poeta italiano, membro dell'Ordine dei servi di Maria. Fu sostenitore delle istanze di rinnovamento culturale e religioso della Chiesa, di ispirazione conciliare.


giovedì 13 aprile 2017

Cercandoti

 

MARUJA VIEIRA

SERA, FIORI E FIUME

Amore mio…
Rotolano queste parole
in mezzo al fragore
dell’acqua.
Amore mio…
come un tempo
lascia cadere i suoi fiori gialli
l’albero, il nostro albero.

Sulla riva del fiume
cammino lentamente,
cercandoti.
Sei qui. Lo so.
Sono venuta con la certezza di incontrarti
nella traccia della luce
sulla pietra,
nella canzone distante,
nella torre accesa
dalla sera.

Amore mio
lontano.

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“Lasciami il tuo ricordo, quello di quest’ora / Non importa che tu te ne vada. / Lasciami il ricordo…”: c’è un amore perduto, dolorosamente strappato – vent’anni di esilio dice in altri versi – nella vita della poetessa colombiana Maruja Vieira: lontano, assente, certo ma presente nella memoria, continuamente cercato, inseguito nelle sue tracce sparse qua e là nel ricordo, difeso a spada tratta dalla minaccia dell’oblio.

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DIPINTO DI LEONARD AFREMOV

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LA FRASE DEL GIORNO
Non esiste separazione definitiva fino a quando c'è il ricordo.

ISABEL ALLENDE, Paula




Maruja Vieira,  pseudonimo di María Vieira White (Manizales, 25 dicembre 1922),  poetessa e giornalista colombiana. "Battezzata" così da Pablo Neruda,  ha pubblicato quindici libri di poesia, uno in prosa, e diverse colonne su vari giornali colombiani e venezuelani. Il suo lavoro evoca la sua città natale e la sua infanzia; la figura di persone care e di amici.


mercoledì 12 aprile 2017

Come la zolla a primavera

 

TOMAS TRANSTRÖMER

APRILE E SILENZIO

La primavera giace deserta.
Scuro come il velluto il fossato
si snoda al mio fianco
senza immagini riflesse.

Soli a splendere
sono dei fiori gialli.

Mi porta la mia ombra,
come la sua nera custodia
un violino.

La sola cosa che voglio dire
brilla fuori dalla mia portata
come l’argento
sul banco dei pegni.

(da La lugubre gondola, 1996 - Traduzione di Maria Cristina Lombardi)

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Il viaggio su una lugubre gondola in una città che è emblema della transitorietà con le sue maree e i suoi palazzi destinati a sprofondare un giorno, la sua bellezza, per dirla con Thomas Mann, “lusinghiera e ambigua” capace di dar “sonni voluttuosi”, porta il premio Nobel svedese Tomas Tranströmer, malato e ormai incapace di parlare, a riflettere sul viaggio della vita e sul senso del suo dire, sull’inadeguatezza dell’altro mezzo espressivo.

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Venezia

SHIRL THEIS, “GIRO DI VENEZIA IN GONDOLA”

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LA FRASE DEL GIORNO
Imparavo che la terra era viva e che esisteva un mondo infinitamente grande che strisciava e volava e viveva la sua ricca vita senza curarsi minimamente di noi
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TOMAS TRANSTRÖMER




Tomas Tranströmer (Stoccolma, 15 aprile 1931 – 26 marzo 2015), scrittore, poeta e traduttore svedese, Nel 2011 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: "perché attraverso le sue immagini condensate e traslucide, ci ha dato nuovo accesso alla realtà". La sua opera è posta tra Modernismo, Espressionismo e Surrealismo.


martedì 11 aprile 2017

Giorgio Bàrberi Squarotti


Torinese, classe 1929, il critico letterario e poeta Giorgio Bàrberi Squarotti è morto domenica scorsa nella sua città natale. Allievo di Giovanni Getto, divenne professore di storia della letteratura italiana moderna e contemporanea all’università di Torino: studioso di Dante e Machiavelli, di Tasso, Verga, Manzoni e Gozzano, non disdegnò neppure la letteratura contemporanea. Oltre all’ampio corpus di saggi (da Astrazione e realtà a Poesia e narrativa del Secondo Novecento), lascia un corposo bagaglio poetico in 18 raccolte nelle quali spesso amava contaminare in preziosi e raffinati endecasillabi antico e moderno, associando figure classicheggianti del mito agli uomini e soprattutto alle donne – vestali, ninfe, fanciulle nude, ragazze in fiore proustiane - del XX e XXI secolo.

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Barberi Squarotti
FOTOGRAFIA © LA STAMPA
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da Le vane nevi, 2002

GRAMIGNA

Nell’orto, il vecchio professore strappa
la gramigna, le radici delle viti
selvatiche, ossa e crani un po’ sbrecciati,
poi il turgore ardente per coltivare
delle fragole, fragilità
candida di un ciliegio, la speranza
delle future mele rosse, l’oro
dei fiori, dell’alloro, il melograno
e tutte le altre immagini del tempo
ch’egli crede con la primavera
trionfalmente si rinnovi. Oh fede
vana della ragione più che voce
vuota nell’ombra di un cespuglio debole,
neppure appare un nome che lì voglia
mostrarsi un poco per fargli capire
che il tempo non esiste, ma soltanto
l’attimo eterno del bel corpo nudo.


Firenze, 28 aprile 2002
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da Le Langhe e i sogni, 2003

L’INIZIO DELLA FESTA

Volle offrire la festa dell'inizio
nella sua stanza appena sistemata
(e quante negligenze, tuttavia:
una calza spaiata, nera, su una sedia,
le mutandine appese alla finestra,
un fazzoletto forse sporco, storto
un quadro con le rose e i tulipani),
ma soltanto e a fatica riuscì
a aprire la bottiglia di barbera,
e i dolci e le pizzette tutti si erano
confusi, e rotolarono le arance
sul pavimento fino oltre la porta):
sconsolata e affannata, si sedette
sul divano viola, il capo curvo
per celare le lacrime tremanti,
poi si decise per l'unico riscatto
possibile della sua inettitudine,
iniziò a spogliarsi, pure in questo
inesperta e turbata, e imbarazzata
si mostrò nuda nel vivo fulgore
come la Verità che è, finalmente.


Torino, 1 gennaio 2002
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da Gli affanni, gli agi e la speranza, 2009

DALLA PIETRA

Dal candore perfetto della pura
e ilare pietra nevicata uscì
una ragazza bruna, lentamente
inventandosi il vento per potersi
scuotere i brevi capelli per lieve
ammirazione e gioco; e discendeva
alla festosità cupa ed ironica
del violaceo mare, infintamente
imbarazzata e al tempo stesso fiera
per la perfetta nudità del cielo
e le tettine appena ricoperte
dalla striscia blu. Sempre più correndo,
rapida scese la spiaggia fino
alle onde irrigidite e decorate
dalle alghe serpentine e da meduse
raffinate, le sorse accanto l'ala
di una barchetta azzurra, la salì
agile, mentre dal largo erano arrivati
gonfi venti arrossati ed anelanti,
e trionfanti e buffi la portarono
fino al bar di fiori e di cristalli, dove
il burbero il padre la presenterà
agli altri dei, e la inciterà a danzare
tutta la notte e, dopo, con l'Aurora
dalle dita rosate.


Torino, 12 settembre 2003


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LA FRASE DEL GIORNO

La poesia è la manifestazione suprema della capacità creativa dell’uomo che aggiunge all’essere qualcosa che prima nel mondo non c’era.
GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI




Giorgio Bàrberi Squarotti (Torino, 14 settembre 1929 – 9 aprile 2017), critico letterario, poeta e italianista italiano. Allievo di Giovanni Getto curò poi l'edizione di diverse opere. Diresse Letteratura e critica: antologia della critica letteraria e Critica dantesca: antologia di studi e letture del Novecento. Fu responsabile scientifico del Grande dizionario della lingua italiana UTET.


lunedì 10 aprile 2017

Cresciuta è la sera

 

LIBERO DE LIBERO

PASSEGGIATA

Cresciuta è la sera
tra le foglie e odora
la tua guancia al rapido
vento d’una parola
quando la fronte tu pieghi
colma d’occhi.

(da Il libro del forestiero, Mondadori, 1946)

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Minimale più che ermetico, il solitario poeta ciociaro Libero De Libero attinge quasi alla sorgente del Surrealismo ricreando in un rapidissimo bozzetto un’immagine pregna di  vita, quella che secondo Sergio Solmi è “un colorito d’idillica autobiografia, che conferisce alla sua maniera un certo carattere, per così dire di «poésie ininterrompue» seppure in un diverso senso che in un Éluard”.

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Afremov

LEONID AFREMOV, “COPPIA NEL PARCO”

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LA FRASE DEL GIORNO
E te guardando nella mente me ammiro / e tanto mi piace essere te / che il distacco poco mi duole
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LIBERO DE LIBERO, Romanzo




Libero De Libero (Fondi, 10 settembre 1903 – Roma, 4 luglio 1981), poeta, critico d'arte e narratore italiano. Gli Anni ‘30 lo videro al Caffè Aragno di Roma con Vincenzo Cardarelli, partecipe della  scuola pittorica di via Cavour. La sua poesia si inserisce in un ermetismo legato alla terra, al vigore del reale.


domenica 9 aprile 2017

Centenario di Edward Thomas

 

Edward Thomas, nato a Lambeth nel 1878, aveva 36 anni quando scoppiò la prima guerra mondiale. A quell’epoca era un noto critico letterario e scrittore e poeta in proprio. Avrebbe potuto evitare l’arruolamento, avendo moglie e tre figli. Tentennava mentre vedeva gli Zeppelin volare minacciosi nel cielo britannico, finché l’amico Robert Frost, dall’America, all’inizio dell’estate del 1915 gli inviò una poesia che aveva appena scritto e che pubblicherà l’anno dopo, La strada non presa: Thomas, che era di natura irresoluto, prese quel testo come un segno o un’esortazione a non procedere oltre nel suo procrastinare e si arruolò negli Artists Rifles, un corpo di volontari di fanteria leggera che si era distinto già nella seconda guerra boera. Nel luglio del 1915 Edward Thomas fu incorporato come caporale e nel novembre 1916 fu trasferito come sottotenente della Royal Garrison Artillery, unità che fu dispiegata in Francia, ad Arras. Edward Thomas cadde il primo giorno dell’offensiva, cento anni fa, il 9 aprile 1917, Domenica di Pasqua.

Fu Robert Frost, che aveva letto le sue prose, a convincerlo nel 1913 della poeticità racchiusa in esse: Thomas rielaborò molti suoi scritti trasformandoli in poesie, la maggior parte delle quali ha come tema un mondo agreste e naturale ormai in via di disfacimento. Ma a quel punto la guerra era inevitabile: andavano per la maggiore i versi bellici e patriottici oppure di denuncia e le sue poesie dal sapore bucolico passarono quasi inosservate.

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Thomas

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LA SEMINA

Era un giorno
Fatto per seminare,
La terra secca,
Dolce come tabacco.

Era il remoto echeggiare
Della civetta
E la prima stella
L’ora era tutta bella, da assoporare.

Un’ora così lunga era,
Già buttato
Il seme,
Nulla più di incompiuto rimaneva.

Ma ascolta, è ormai notte
Una pioggia discreta
(Baci o lagrime?)
Darci la buonanotte.

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LE ORTICHE

Altre ortiche ricoprono, come già ricoprirono
Per tante primavere il rugginoso erpice, l’aratro
Che gli anni logorarono, e il rullo di pietra:
soltanto il ceppo dell’olmo le supera in altezza.

Quest’angolo dell’aia è da me prediletto:
Come il più caro incarnato di una corolla
Accarezzo la polvere sulle ortiche, che si perde
Appena per rivelare la dolcezza dello scroscio.

(da Poesie, 1917 - Traduzione di Attilio Bertolucci)

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LA FRASE DEL GIORNO
Lasciami qualche volta ballare / con te / o alzarmi / o stare in piedi magari / in estasi, / fermo e libero / in una rima, / come fanno i poeti
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EDWARD THOMAS




Edward-Thomas-PhotoPhilip Edward Thomas (Lambeth, 3 marzo 1878 – Arras, 9 aprile 1917), poeta, saggista e romanziere inglese. Considerato poeta di guerra, compose però anche numerose poesie dal sapore bucolico. Partito volontario allo scoppio della Prima Guerra mondiale, cadde il primo giorno dell’offensiva di Arras, la domenica di Pasqua del 1917.


sabato 8 aprile 2017

Le vecchie spiagge

 

JOSÉ MARÍA ÁLVAREZ

AYMANT

Come Benvenuto Cellini, il quale mi attrae più che i maestri del Quattrocento, mi piace errare sulla spiaggia abbandonata dalla marea, raccogliendo conchiglie e ciottoli.
—Claude Lévi-Strauss

…Le vecchie spiagge. Dove sempre
                                              qualcosa
ti porta. Non c’è altra emozione
al mondo come le spiagge…

Cammini in riva al mare. Il sole che lo trafigge,
il velo cristallino,
e le conchiglie
semisepolte dalla sabbia, le strisce
azzurre
disegnate dalla luce.

Non è la tua memoria
che riconosce,
dove sono depositati questa luce, questi colori
queste spiagge trasparenti, la sensazione
del mare tra le dita.
È una felicità senza passato. Solo un istante
di esaltazione, la
Vita
oltre
       l’intelligibile.

(da Museo delle cere, 1970)

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È un’occupazione, quella di raccogliere conchiglie e ciottoli levigati dal mare, che ho in comune con l’etnologo Claude Lévi-Strauss dei Tristi tropici citato in epigrafe, il poeta spagnolo José María Álvarez e qualche milione di persone al mondo. Camminare in riva al mare, respirare l’aria pregna di salsedine, spaziare con lo sguardo su quella distesa apparentemente senza fine mi rigenera, mi ricrea, portando le sue “promesse di osservazioni e di scoperte con cui alletta l’immaginazione”, come dice ancora Lévi-Strauss. Peccato che poi l’etnologo francese, incapace di apprezzare quei “vasti spazi e sfumature di colori infinite”, continui dicendo di preferire la montagna, e nemmeno quella spettacolare delle vette dolomitiche, ma la mezza montagna di pascoli e vacche…  

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Spiaggia

FOTOGRAFIA © CFREDALFORD/PIXABAY – CC0 PUBBLICO DOMINIO

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LA FRASE DEL GIORNO
I giorni passati, la gioia o il dolore / che li illuminarono, chi fu in essi, / irrompono nella memoria / come onde su una spiaggia
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JOSÉ MARÍA ÁLVAREZ, Museo delle cere




José María Álvarez, (Cartagena, 31 maggio 1942) poeta, saggista e narratore spagnolo. È traduttore di Kavafis, Holderlin, Stevenson, Shakespeare, Villon e T.S. Eliot. L'opera principale di Álvarez è Museo delle cere, un lavoro in corso da molti anni nel tentativo di completare un libro unico e onnicomprensivo.