PIERO BIGONGIARI
PIÙ UNO, MENO UNO
La poesia che nasce nella tua stanza
è come il frutto delizioso del melarancio,
odo nel ticchettio delle parole
il carosello perduto e melanconico
un notturno riassorbirsi d'aconito,
nel tuo slancio d'amore, queste sere.
Non mancan le parole per godere,
mancan le parole per non soffrire.
La farfalla di luce sul candeliere
sugge l'ultima cera, la più calda,
la più molle e volatile, sul fondo.
Come in miasmi di luce, anch'io m'effondo,
non mancan le parole per soffrire
in questa mia stanza di fantasmi.
(da Rogo, Edizioni della Meridiana, 1952)
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È una poesia molto montaliana questa di Piero Bigongiari: lo è naturalmente per quella sorta di “teologia negativa”, per quella coscienza del dolore di vivere che assegna alla poesia – come scrisse Giancarlo Quiriconi “la funzione di istanza totalizzante come luogo dell’espressione, della manifestazione coscienziale del dolore”. Se non è possibile la liberazione, si può comunque indagare attraverso la poesia sul senso del vivere: “Il tuo dolore sorvegliato / quasi fosse una speranza, / eccotelo negli occhi”.
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WILLIAM T. HOWELL ALLCHIN, “NATURA MORTA CON LIBRO E OCCHIALI”
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LA FRASE DEL GIORNO
Il poeta non è mai fermo, non tocca mai lo stesso oggetto, non immerge, come l’uomo che è proprietario del poeta, mai la mano nella stessa acqua.
PIERO BIGONGIARI, Autoritratto poetico
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