ANTONELLA ANEDDA
IN UNA STESSA TERRA
a Mauro Martini
Se ho scritto è per pensiero
perché ero in pensiero per la vita
per gli esseri felici
stretti nell'ombra della sera
per la sera che di colpo crollava sulle nuche.
Scrivevo per la pietà del buio
per ogni creatura che indietreggia
con la schiena premuta a una ringhiera
per l'attesa marina - senza grido - infinita.
Scrivi, dico a me stessa
e scrivo io per avanzare più sola nell'enigma
perché gli occhi mi allarmano
e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta
- da brughiera -
sulla terra del viale.
Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco
trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli
perché solo il coraggio può scavare
in alto la pazienza
fino a togliere peso
al peso nero del prato.
(da “Notti di pace occidentale”, Donzelli, 1999)
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“Antonella Anedda (Anedda-Angioy) è nata a Roma da una famiglia sardo-corsa. Si è laureata in storia dell’arte studiando tra Roma e Venezia. Ha insegnato presso l’Università di Siena. Attualmente vive tra la Sardegna e Roma dove lavora part-time a scuola”. Così la stessa poetessa si presenta nella sua pagina Facebook.
Questi versi sono la dichiarazione di una poetica. In un’intervista rilasciata a Niederngasse 16, Antonella Anedda specifica meglio: «Che la poesia sia un messaggio in bottiglia affidato al mare e destinato a un interlocutore vicino o sconosciuto è anche un’immagine ripresa da Paul Celan (e da Mandel’stam). Scherzando direi che non sono sicura che il poeta scriva sul biglietto: “Io esisto”; forse scrive: “Tu, mondo, esisti”; o forse: “Siamo tutti in questo naufragio, su questa isola”. E se torna a scrivere “Io sono”, ci mette un punto interrogativo. Non penso che il poeta sia il solo e unico che si sforzi di attestare la propria esistenza; anzi, probabilmente scrive perché non è certo di esistere, perché sa che siamo, in realtà, spettri. Conosce, come Virgilio, come Kafka, la vanità delle opere, sa che in fondo sono nulla. A proposito di Kafka, c’è una frase che spiega, presumo, quello che intendo: “Tra te e il mondo, vedi di scegliere il mondo”. Dire, scrivere “Io esisto” è tipico della gioventù. Se poi nella bottiglia si infila un canto che riguarda l’isola, e quella parte di io che la contempla e la pensa, allora va bene metterla in mare».
Scrivere per penetrare l’enigma allora, per tentare di aprire un varco che, se non ci mostrerà il significato del reale, almeno ne rischiarerà una parte. Scrivere come condivisione, come partecipazione alle passioni e alle sofferenze del mondo.
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Fotografia © Halcyon Health
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LA FRASE DEL GIORNO
Per questo scrivo con riluttanza / con pochi sterpi di frase / stretti a una lingua usuale / quella di cui dispongo per chiamare / laggiù perfino il buio / che scuote le campane.
ANTONELLA ANEDDA, Notti di pace occidentale
...molto intensa.
RispondiElimina...io credo che si scriva per dimostrare a se stessi di "esserci"....per "dimostrarSI"...per "guardarsi" e/o per "qualcuno"...che poi...alcuni vogliano rendere partecipi gli altri ...è una questione di sensibilità alla condivisione.
...chissà quante meraviglie sono chiuse nel cassetto e nelle testa di chi nemmeno immaginiamo.
ciao Vania
scrivere per analizzarsi, per analizzare il mondo, per capire se stessi... e poi scrivere per condividere
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