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martedì 30 giugno 2009

Aforismi dal “Dorian Gray”

“Il ritratto di Dorian Gray”, così come la maggior parte delle opere di Oscar Wilde, è una miniera di aforismi: lo scrittore irlandese li disseminava qua e là sulla pagina come delle pietre preziose su un tessuto. Con la sua sintassi semplice e classica provava a svegliare l’Inghilterra vittoriana dal suo torpore, a pungerla per vedere se vi scorreva ancora del sangue. Ed ecco che allora Wilde spazia tra arte e filosofia, tra società e vita con battute impudenti e al contempo irresistibili che rovesciano i clichés e li rivestono di nuovo.

Da “Il ritratto di Dorian Gray” (1890):

Al mondo non c’è che una cosa peggiore del far parlare di sé: il non far parlare di sé.

Le cose più comuni divengono deliziose, appena si sappia nasconderle.

In realtà la coscienza e la viltà sono la stessa cosa. Coscienza è l’etichetta commerciale del prodotto: viltà.

Di questi tempi un cuore infranto vien tirato in molte edizioni.

Il genio dura senza dubbio più a lungo della bellezza.

L’unico modo di liberarsi di una tentazione è di cedervi.

Io adoro i piaceri semplici. Sono l’ultimo rifugio della complicazione.

I giovani vogliono essere fedeli, e non lo sono; i vecchi vorrebbero esser infedeli, e non possono.

Oggi la gente conosce il prezzo di tutte le cose, e ne ignora il valore.

Un grande poeta, un poeta veramente grande, è la meno poetica di tutte le creature.

L’esperienza non ha valore etico. È semplicemente un’etichetta con la quale designiamo i nostri errori.

Il modo migliore per sciupare un carattere è correggerlo.

Il teatro mi piace. È tanto più vero della vita.

Il passato ha una sola grazia, quella di essere passato.

L’arte è assai più astratta di quanto pensiamo.

Anche il ricordo della gioia ha la sua amarezza, e quello del piacere il suo dolore.

La vita è un insieme di nervi, fibre e cellule faticosamente cresciute, nelle quali il pensiero si nasconde, e la passione si illude.




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LA FRASE DEL GIORNO
Il critico deve educare il pubblico; l’artista deve educare il critico.
OSCAR WILDE, In difesa di “Dorian Gray”




lunedì 29 giugno 2009

La persistenza dell’amore


FRANCESCO PETRARCA

ERANO I CAPEI D'ORO A L'AURA SPARSI

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi,
che 'n mille dolci nodi li avvolgea;
e il vago lume oltre misura ardea
di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi.

E 'l viso di pietosi color farsi,
non so se vero o falso, mi parea;
i' che l'esca amorosa al petto avea,
qual maraviglia se di subito arsi?

Non era l'andar sua cosa mortale,
ma d'angelica forma; e le parole
sonavan altro che pur voce umana.

Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch'i vidi, e se non fosse or tale,
piaga per allentar d'arco non sana.


Famosissimo è questo sonetto, il novantesimo del “Canzoniere” di Francesco Petrarca: è un esempio perfetto di lirica amorosa. Certo, il linguaggio italiano del Trecento risulta arduo alle nostre orecchie abituate alle parole semplificate della televisione, ma ricostruire la storia raccontata da questi quattordici versi è una vera soddisfazione.

Il Petrarca ci dice come la sua anima, a distanza di tempo, vibri ancora alla dolce visione della donna amata, quella Laura sapientemente occultata in un gioco di parole all’inizio del sonetto. La prima volta che la vide era il 6 aprile del 1327, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone. Petrarca aveva 23 anni, Laura diciannove. Nel ricordo c’è il vento che soffia e muove i capelli della ragazza, sovrapponendoli e quasi intrecciandoli. E c’è, nell’immagine che il poeta ha di lei, la bella lucentezza degli occhi che ora, ahimè, è diminuita per il trascorrere dell’età, per quanto il sentimento resti immutato.

Quel tempo passato consente ora al poeta di porsi una domanda: si chiede se quell’emozione provata, quell’intensa estasi amorosa che provò nel vedere Laura per la prima volta fu una vera commozione o se fu un’illusione. Certo è che quel sentimento di amore che aveva nell’animo fu come una scintilla e divampò in breve in un cuore già predisposto. Quell’esaltazione emotiva ebbe l’effetto di trasformare la donna in una dea, in un essere angelico, una immateriale figura che parlava con una voce da divinità, una melodiosa voce d’amore. Quella dolce immagine è nella memoria del Petrarca, tanto che se Laura fosse ormai diversa, invecchiata, non può fare a meno di sognarla: come una ferita prodotta da una freccia non guarisce quando la corda dell’arco che ha scoccato il dardo si allenta, così il suo amore rimane vivo.


Laura e Petrarca


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LA FRASE DEL GIORNO
Dura legge d'Amor! Ma benché obbliqua, / Servar conviensi; però ch'ella aggiunge / Di cielo in terra, universale, antiqua. 
FRANCESCO PETRARCA, Triumphus Cupidinis, II




Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 19 luglio 1374), scrittore, poeta, filosofo e filologo italiano, considerato il precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il Canzoniere, patrocinata quale modello di eccellenza stilistica da Pietro Bembo nei primi del Cinquecento.



domenica 28 giugno 2009

Il bivio di Robert Frost


ROBERT FROST
LA STRADA NON PRESA

Divergevano due strade in un bosco
Ingiallito, e spiacente di non poterle fare
Entrambe essendo uno solo, a lungo mi fermai
Una di esse finché potevo scrutando
Là dove in mezzo agli arbusti svoltava.

Poi presi l'altra, che era buona ugualmente
E aveva forse i titoli migliori
Perché era erbosa e poco segnata sembrava;
Benché, in fondo, il passar della gente
Le avesse invero segnate più o meno lo stesso,

Perché nessuna in quella mattina mostrava
Sui fili d'erba l'impronta nera d'un passo.
Oh, quell'altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
Dubitavo se mai sarei tornato.

Questa storia racconterò con un sospiro
Chissà dove fra molto molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco e io...
Io presi la meno battuta,
E di qui tutta la differenza è venuta.

(da Mountain Interval, 1916 - Traduzione di Giovanni Giudici)


Mi affascinano i mondi paralleli, le cose che sarebbero potute essere e non sono. Questa poesia del poeta americano Robert Frost è un chiaro esempio di quanti bivi ci si aprano davanti nella vita, ogni anno, ogni giorno: facciamo una scelta e abbandoniamo l’alternativa all’oblio o al rimpianto, difficile che ci possa capitare un’altra volta la medesima occasione.

Come se ci trovassimo su una strada di campagna e all’improvviso ci capitasse una biforcazione. Dove andare? A destra o a sinistra? Il lavoro o la famiglia? La carriera o l’amore? Cedere all’orgoglio o perdonare? Buttarsi o rinunciare? Cambiare o rimanere? E via dicendo. Ogni volta che ci inoltriamo su una di queste vie, ci lasciamo alle spalle un’altra vita, la nostra, come avrebbe potuto essere. Strada dopo strada, vita parallela dopo vita parallela. Robert Frost ci dice che queste scelte sono comuni a ognuno di noi. L’unica differenza che il poeta ci fa rilevare è un coraggioso anticonformismo, come se ci volesse dire di osare, di non seguire quella che sembra la strada più facile.


Fotografia© Hub Pages


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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia comincia con metafore superficiali, graziose, decorative, e giunge al pensiero più profondo che conosciamo.
ROBERT FROST, Educazione attraverso la poesia




Robert Lee Frost (San Francisco, 26 marzo 1874 – Boston, 29 gennaio 1963), poeta statunitense, vincitore di quattro Premi Pulitzer. Le sue poesie, attraverso la raffigurazione con una notevole padronanza del linguaggio colloquiale della vita rurale del New England all’inizio del ‘900, indagano temi sociali e filosofici. 


sabato 27 giugno 2009

Cicerone, clemenza e severità

Non bisogna dare ascolto a coloro i quali credono che dobbiamo adirarci fieramente coi nostri nemici e anzi vedono appunto nell'adirarsi il carattere distintivo dell'uomo magnanimo e forte: no, la virtù più bella, la virtù più degna di un uomo grande e nobile è la mitezza e la clemenza. Negli Stati liberi ove regna l'eguaglianza del diritto bisogna anche dare prova di una certa arrendevolezza e di quella che è solita chiamarsi padronanza di sé per non incorrere nella taccia di inutile e odiosa scontrosità se ci accada di adirarci con importuni visitatori o con sfrontati sollecitatori. E tuttavia la mite e mansueta clemenza merita lode solo a patto che per il bene superiore dello Stato si adoperi anche la severità senza la quale nessun governo è possibile. Ogni punizione e ogni rimprovero però devono essere privi di offesa e mirare non alla soddisfazione di colui che punisce o rimprovera ma solo al vantaggio dello Stato.
Bisogna anche badare che la pena non sia maggiore della colpa e non avvenga che per le medesime ragioni alcuni siano duramente colpiti altri neppure richiamati al dovere. Soprattutto è da evitare la collera nell'atto stesso del punire: chi si accinge al castigo in preda alla collera non terrà mai quella giusta via di mezzo che corre fra il troppo e il poco via che piace tanto ai Peripatetici e piace a ragione solo che poi non dovrebbero lodare l'ira dicendo che essa è un utile dono della natura. No l'ira è da tenere lontana in tutte le cose e bisogna far voti che i reggitori dello Stato assomiglino alle leggi le quali sono spinte a punire non per impeto d'ira ma per dovere di giustizia.

Questa è la traduzione della versione assegnata ieri ai licei classici per l’esame di maturità. Cicerone, sulle questioni morali, è sempre un grande. Queste parole, tratte dal “De officiis”, associate alla fase politica che stiamo vivendo, fanno riflettere: pensateci su un attimo e vedrete che la moderazione cui invita Cicerone oggi è una parola vana, ci si colpisce a randellate con ira e rabbia, si tratta l’avversario come un odioso nemico, i colpi bassi sono all’ordine del giorno, così come gli insulti e gli attacchi personali.

Quanto al “bene superiore dello Stato”, be’, sembra un di più. Tutti si scannano sulle veline e sulle escort e lasciano passare nel dimenticatoio la crisi economica. La Commedia dell’Arte, al confronto dei nostri politici (politicanti?) era robetta…


Marco Tullio Cicerone (dal web)


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LA FRASE DEL GIORNO
Il saggio stesso formula spesso opinioni su ciò che non conosce, non di rado è in preda alla collera, cede alle preghiere e si calma, corregge talora – se così è meglio – le sue affermazioni e talora cambia parere; tutte le virtù sono temperate dal giusto mezzo.
CICERONE, In difesa di Murena




Marco Tullio Cicerone (Arpino, 3 gennaio 106 a.C. – Formia, 7 dicembre 43 a.C.), avvocato, politico, scrittore, oratore e filosofo romano. Grande ammiratore della cultura greca, attraverso la sua opera i Romani poterono anche acquisire una migliore conoscenza della filosofia greca. Tra i suoi maggiori contributi alla cultura latina, vi fu la creazione di un lessico filosofico latino.


venerdì 26 giugno 2009

Innamoramento e amore

Innamoramento e amore: che bel tema hanno scelto quest’anno gli esperti del ministero dell’Istruzione per la maturità. Un argomento su cui tutti noi abbiamo da dire, di cui tutti noi abbiamo esperienza, “Perché, ditemi, chi non si è mai innamorato di quella del primo banco?” come cantava Antonello Venditti, iniziando con una citazione “bassa” che va a controbilanciare le poesie di Catullo, Dante, Leopardi, Gozzano e Cardarelli indicate come tracce da seguire nel testo ministeriale.



Antonio Canova, “Amore e Psiche”

Certo, le nostre esperienze hanno modi e toni diversi da quelli dei grandi poeti citati: i nostri sentimenti forse non viaggiano con i versi sublimi, si accontentano di SMS, di bigliettini, di messaggi su Facebook, magari qualche nostalgico arriva a lanciarsi in una lettera, qualche altro si esprime con una scritta a vernice spray su un muro; ma sono le stesse emozioni che provarono i grandi. Loro avevano Lesbia, Beatrice, Silvia, Felicita, a noi sono date Paola, Marta, Francesca, Massimo, Matteo, Daniele, ma l’amore che provarono loro è quello che proviamo noi: quel senso di inebetimento che prende, l’annebbiamento simile a febbre che ottenebra i sensi e poi li esalta, quell’euforia che fa camminare sollevati dal suolo, l’amore insomma, lo sapete bene cos’è! Il motore che fa girare il mondo, che ci libera da noi stessi e ci eleva in un’altra dimensione, la follia che fa sragionare i saggi…

E l’innamoramento non è che l’apprendistato dell’amore, il rendersi conto che siamo innamorati di un’altra persona, comprendere che ci è impossibile vivere senza di lei: è un processo che può durare molto tempo e instaurarsi giorno dopo giorno o che scoppia improvviso come un temporale d’estate, il famoso “colpo di fulmine”.

Il testo di Francesco Alberoni citato nel documento a corredo del tema non mi trova completamente d’accordo: “Noi desideriamo, vogliamo assolutamente qualcosa per noi. Tutto ciò che facciamo per la persona amata non è far qualcosa d’altro e per qualcun altro, è farlo per noi, per essere felici”. L’amore può talora essere la più egoistica delle passioni, ma sicuramente è la più altruista, anche cristianamente parlando, visto che è alla base del precetto evangelico: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Detto così invece sembra un volgarissimo do ut des, uno scambio commerciale…

Molto meglio crucciarsi con Catullo, inebriarsi con Dante, illudersi con Gozzano, filosofare con Leopardi e soffrire con Cardarelli. Molto meglio immaginare ed emozionarsi con il dipinto di Magritte e  con la scultura di Canova raffigurante “Amore e Psiche”…


René Magritte, “Les amants”

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LA FRASE DEL GIORNO
Amor, ch’a nullo amato amar perdona
mi prese del costui piacer sì forte, 
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
DANTE ALIGHIERI, Inferno, V, 103-105

giovedì 25 giugno 2009

La Grande Guerra in mostra

Una interessante esposizione è aperta al Museo di Roma in Trastevere. Si tratta di “La guerra della Nazione. Italia 1915-1918”, una rassegna di migliaia di fotografie, in massima parte inedite, conservate finora dall’Archivio Centrale dello Stato e appartenenti a tre diversi fondi:

  • La mostra della rivoluzione fascista con documenti e immagini sulla storia d’Italia dal Risorgimento all’avvento del fascismo e ai suoi primi anni – una raccolta dai toni espositivi e propagandistici;
  • Le fotografie scattate da tre ufficiali dello Stato Maggiore italiano sui campi di battaglia;
  • Le foto sulla mobilitazione industriale e civile connessa alla guerra.


Una delle foto in mostra © Museo di Roma in Trastevere



LA GUERRA DELLA NAZIONE. ITALIA 1915-1918

dal 25 giugno al 20 settembre 2009

Museo di Roma in Trastevere, Piazza Sant’Egidio, 1b

Orario: Da martedì a domenica ore 10.00-20.00. Chiuso lunedì

Biglietto d'ingresso: Intero € 3,00 - Ridotto € 1,50 Gratuito per le categorie previste dalla legge vigente - La biglietteria chiude un'ora prima

Informazioni: Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00-21.00)


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LA FRASE DEL GIORNO
Alla fine maggio 1916, la mia brigata – reggimenti 399° e 400° – stava ancora sul Carso. Sin dall'inizio della guerra, essa aveva combattuto solo su quel fronte. Per noi, era ormai diventato insopportabile. Ogni palmo di terra ci ricordava un combattimento o la tomba di un compagno caduto. Non avevamo fatto altro che conquistare trincee, trincee e trincee. Dopo quella dei "gatti rossi", era venuta quella dei "gatti neri", poi quella dei "gatti verdi". Ma la situazione era sempre la stessa. Presa una trincea, bisognava conquistarne un'altra. Trieste era sempre là, di fronte al golfo, alla stessa distanza, stanca. La nostra artiglieria non vi aveva voluto tirare un sol colpo. Il duca d'Aosta, nostro comandante d'armata, la citava ogni volta, negli ordini del giorno e nei discorsi, per animare i combattenti.
EMILIO LUSSU, Un anno sull’Altipiano

mercoledì 24 giugno 2009

A Solferino, 150 anni fa…

Centocinquant’anni fa, il 24 giugno 1859, si combatterono due battaglie che segnarono un passo importante, nonostante il loro carico di morte, nella storia della umana solidarietà. A San Martino, in provincia di Verona, e a Solferino, in provincia di Mantova, durante la seconda guerra d’indipendenza, si affrontarono le truppe franco-piemontesi, comandate da Napoleone III e Vittorio Emanuele II, e l’esercito austro-ungarico, guidato da Francesco Giuseppe II. Fu una vera carneficina, una strage che costò la vita a 30.000 soldati di entrambi gli schieramenti, i cui resti orano riposano commisti negli ossari delle due località.

Quel 24 giugno un sacerdote, don Lorenzo Barzizza, e le donne di Castiglione delle Stiviere, soccorrevano i feriti senza badare al colore delle divise, raccoglievano i lamenti dei numerosi feriti, disposti su un piccolo colle considerato zona franca. Quel giorno sul campo di battaglia c’era anche un finanziere ginevrino, Jean Henry Dunant, giunto per conferire con Napoleone III e parlargli degli affari che aveva in programma: l’acquisto di alcuni terreni in Algeria. Partì senza concludere nulla, dopo aver soccorso alcuni dei 40.000 feriti, sconvolto dalle strazianti scene cui aveva assistito e commosso dallo slancio umanitario di don Barzizza e delle donne. Dunant decise di prodigarsi per istituire un’organizzazione che curasse i feriti: nasceva così la Croce Rossa Internazionale.


Adolphe Yvan, "La battaglia di Solferino e San Martino"


Di quell’esperienza Dunant in “Un souvenir de Solferino” anni dopo scriverà: “Nell'Ospedale e nelle Chiese di Castiglione sono stati depositati, fianco a fianco, uomini di ogni nazione. Francesi, Austriaci, Tedeschi e Slavi, provvisoriamente confusi nel fondo delle cappelle, non hanno la forza di muoversi nello stretto spazio che occupano. Giuramenti, bestemmie che nessuna espressione può rendere. Risuonano sotto le volte dei santuari. Mi diceva qualcuno di questi infelici: «Ci abbandonano, ci lasciano morire miseramente, eppure noi ci siamo battuti bene!». Malgrado le fatiche che hanno sopportato malgrado le notti insonni, essi non riposano e, nella loro sventura implorano il soccorso dei medici e si rotolano disperati nelle convulsioni che termineranno con il tetano e la morte...

[…]

Ma le donne di Castiglione vedendo che non faccio alcuna distinzione di nazionalità, seguono il mio esempio, dando prova della medesima gentilezza nei confronti di tutti questi uomini di origini così diverse e che sono per loro tutti ugualmente estranei. «Tutti fratelli!» ripetevano con emozione. Onore a queste donne compassionevoli, a queste fanciulle di Castiglione! nulla le ha disgustate, stancate o scoraggiate, e la loro modesta devozione non ha tenuto conto né di ribrezzo, né di fatiche, né di sacrifici.

A ricordo di quel “germoglio” sbocciato sull’insanguinato campo dove si svolse una battaglia cruenta, sul Colle dei Cipressi a Solferino, in occasione del centenario, nel 1959 venne eretto il monumento alla Croce Rossa: una semplice edicola nella quale sono murate formelle inviate dai comitati di tutto il mondo. Ogni anno, in occasione dell’anniversario, arrivano delegazioni da ogni continente per rendere omaggio a quei trentamila caduti e all’idea di Jean Henry Dunant.


Henri Dunant


Clicca qui per visitare il sito della “SOCIETÀ SOLFERINO E SAN MARTINO”


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LA FRASE DEL GIORNO
La guerra, così come è matrigna dei codardi, è madre dei valorosi.
MIGUEL DE CERVANTES

martedì 23 giugno 2009

Boris Vian


Il 23 giugno 1959 in un cinema parigino veniva proiettato in anteprima “Sputerò sulle vostre tombe”, un film sceneggiato da Michel Gast sulla traccia dell’omonimo romanzo di Boris Vian. L’autore del libro, che non era stato invitato alla proiezione, sedeva comunque tra il pubblico, sperando che il suo nome fosse almeno citato nella pellicola. Dopo soli dieci minuti il suo cuore cessò di battere per sempre. Boris Vian moriva a 39 anni.

Cinquant’anni fa si concludeva così l’esistenza di un autore multiforme e anticonformista, capace di muoversi tra la narrativa, la poesia, la traduzione, il teatro, il cinema e la musica. Boris Vian, nato nel 1920 a Ville d’Avray, durante la guerra divenne ingegnere e iniziò a lavorare all’Association Française de Normalisation. Contemporaneamente, frequentava gli ambienti esistenzialisti e si esibiva in un’orchestra jazz al “Tabou”. Nel biennio 1946-1947 collabora a “Jazz-Hot”, “Les Temps Modernes” e “Combat” e scrive quattro romanzi: “Vercoquin e il plancton”, “La schiuma dei giorni”, “L’autunno a Pechino” e soprattutto “Sputerò sulle vostre tombe”, attribuito a un fantomatico scrittore americano, Vernon Sullivan, che gli darà notorietà.

Negli anni seguenti però, anche in seguito all’affrettata produzione e all’equivoco sull’attribuzione dei testi, il fenomeno Vian si sgonfia. Boris si dedica alla traduzione, che gli frutta economicamente: quindici testi in quindici anni. Dovrà passare del tempo prima che trovi il coraggio di affrontare ancora il pubblico dei romanzi: lo farà nel 1953 con “Sterpacuore”. Nel frattempo scrive per il teatro e per le riviste di jazz, consolandosi di non poter più suonare la tromba a causa di problemi cardiaci. Negli ultimi anni invece si dedicherà all’opera, scrivendo due libretti (“Il cavaliere delle nevi” e “Fiesta”), e alla canzone – ne scriverà quattrocento, dirigendo la Philips francese – pubblicando anche un disco con dodici pezzi cantati da lui, “Chansons possibles et impossibles”. Qui risulta ancora evidente il suo anticonformismo: uno dei brani, in piena guerra d’Algeria, è l’antimilitarista “Le diserteur”, fatto che porterà le autorità a togliere il disco dalla circolazione.

Vian poeta non si smentisce: i suoi versi sono eccentrici, graffianti, deliberatamente provocatori. La consapevolezza della fine spinge il poeta a negare il mondo, a cercare in un altro luogo qualche barlume di felicità, scegliendo la sensazione invece dell’introspezione, giostrando con il linguaggio per ottenere musica infischiandosene di tutte le convenzioni.


Boris Vian (Fotografia: Fondazione Boris Vian)


Da “Non vorrei crepare”, postumo, 1962

UN POETA

Un poeta
È un essere unico
In tanti esemplari
Che pensa solamente in versi
E non scrive che in musica
Su soggetti diversi
Sia rossi che verdi
Ma sempre magnifici.


PERCHÉ VIVO

Perché vivo
Perché vivo
Per la gamba gialla
D'una donna bionda
Appoggiata al muro
In pieno sole
Per la vela gonfia
Di un battello del porto
Per l'ombra delle tende
Il caffè ghiacciato
Che si beve con la cannuccia
Per toccare la sabbia
Vedere il fondo dell'acqua
Che diventa così azzurro
Che discende tanto in basso
Con i pesci
I calmi pesci
Pascolanti sul fondo
Che si librano sopra
I capelli delle alghe
Come uccelli lenti
Come uccelli azzurri
Perché vivo
Perché e bello.


VOGLIO UNA VITA A FORMA DI SPINA

Voglio una vita a forma di spina
Su un piatto azzurro
Voglio una vita a forma di cosa
Sul fondo di un coso solitario
Voglio una vita a forma di sabbia fra le mani
A forma di pane verde o di brocca
A forma di molle ciabatta
A forma di «dirindindina»
Di spazzacamino o di lillà
Di terra piena di sassi
Di barbiere selvaggio o di piumino folle
Voglio una vita a forma di te
Ed io l'ho, ma non mi basta ancora
Non sono mai contento.

(Traduzioni d G.A. Cibotto)



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LA FRASE DEL GIORNO
Sembra che, in effetti, le masse sbaglino, e che gli individui abbiano sempre ragione.
BORIS VIAN, La schiuma dei giorni, Prologo




Boris Paul Vian, noto anche con lo pseudonimo di Vernon Sullivan (Ville-d'Avray, 10 marzo 1920 – Parigi, 23 giugno 1959), scrittore, paroliere, drammaturgo, poeta, trombettista e traduttore francese. Ha pubblicato una serie di opere colme di smarrimento e di dolore, ma anche di giochi verbali, di una grande invenzione linguistica.


lunedì 22 giugno 2009

La gioventù dei poeti

 

MARINO MORETTI

LA CORONA DELLA GIOVINEZZA

È Gabriele, è sempre lui che invita
con la vocetta sua che non perdona.
O Giovinezza, ahimè, la tua corona
su la mia fronte è già quasi sfiorita.
Non doveva sfiorire anche la mia,
fiori, fronde, poesia
e sfiorir presto?
Ma alcunché di domestico e fedele
restava in me, non più di Gabriele.
se oggi torno giovane e m'arresto
in mezzo a tante tante cose care.
Ma com'è bello poetare!
Come son nato per questo!

(da Diario senza le date, 1974)


Marino Moretti riprende in questa poesia i versi dannunziani di “O Giovinezza!” per  controbattere al crepuscolare atteggiamento del Vate un’esaltazione della poesia. È giovane chi si sente giovane dentro, ci dice Moretti, chi trova nell’arte, nella poesia il senso della vita. La contrapposizione con il Gozzano dei “Colloqui” (Venticinqu’anni!… Sono vecchio, sono vecchio!) è lampante.

Alla moda di sentirsi vecchi e sfiduciati che farà dire allo stesso Gozzano che Amore e Morte sono le due sole cose belle, Moretti, che quando scrive “La corona della giovinezza”, dopo il 1926, ha già passato i quarant’anni, oppone una vitalità rinnovata, una redenzione prodotta dalla consapevolezza dei propri mezzi, dalla coscienza che la poesia non ha tempo e non ha età.

 

Marino Moretti © Cesena Today

 

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LA FRASE DEL GIORNO
La giovinezza non ha età.
PABLO PICASSO




Marino Moretti (Cesenatico, 18 luglio 1885 – 6 luglio 1979), poeta, romanziere e drammaturgo italiano. Nell’ambito del crepuscolarismo descrive vicende semplici ambientate nella provincia romagnola, con personaggi dimessi come il suo stile, che talvolta lascia balenare vene di umorismo.


domenica 21 giugno 2009

Il primo giorno d’estate


ANTONIO BAROLINII

IL PRIMO GIORNO D'ESTATE

Il camioncino dei gelati
(la campanella allegra)
passa tra gli alberati
viali residenziali.

I bambini,
che giocano nel prato a perdifiato,
smettono e gli vanno incontro:
i nichelini in mano.

I cani, risvegliati,
abbaiano per chiasso
e gli uccelli cinguettano tra i rami.
Si dondolano, frullano
in alto e in basso.

Una cicala urla
nell'ora meridiana:
è la prima di un'estate
di tenere piogge
che pareva una burla.

È scoppiata e si sente
l'avvenuto momento
da come il cielo vibra
sull’erba radente.
Ogni cosa, nella luce,
ha la trasparenza dell'aria.
C'è un paese al mondo,
dove non sia questa festa?

(da Elegie di Croton, Feltrinelli, 1959)

 

Lunghissimo il primo giorno d'estate, il giorno del solstizio, quando il tramonto non finisce più e ruba ore alla notte. Antonio Barolini, poeta veneto emigrato a Croton-on-Hudson, negli Stati Uniti, in quella luce infinita e radente ravvisa il manifestarsi dell’estate, l’attestazione che la nuova stagione è arrivata dopo una primavera di piogge. Con il suo stile discorsivo disegna un mondo quasi da favola, con i bambini che interrompono i loro giochi per correre al camioncino dei gelati, tipica iconografia della provincia americana. La prima cicala, il riverbero del cielo, l’allegria che si diffonde tra i giardini: una piccola scena minimalista, che assume i toni di un’elegia familiare e affettuosa.

 



Ieva Baklane, "Il furgone dei gelati"

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Stagione che porti la luce / a distendere il tempo / di là dai confini del giorno, / e sembri mettere a volte / nell’ordine che procede / qualche cadenza dell’indugio eterno.
VINCENZO CARDARELLI, Poesie, “Estiva”




Antonio Barolini (Vicenza, 29 maggio 1910 – Roma, 21 gennaio 1971),  scrittore, poeta e giornalista italiano. Noto soprattutto come narratore, ha però svolto una singolare attività poetica  nella quale si trovano i tratti fondamentali della sua personalità: dalla visione della vita, di un cattolicesimo alacre, evangelico, alla preferenza per un discorso affabile, colloquiale.


sabato 20 giugno 2009

Felicità o non infelicità?

“La felicità può anche essere un surrogato, la felicità esiste forse solo come surrogato, felicità, sempre un surrogato di felicità, a strati successivi”. Così scrive il Premio Nobel tedesco Gunter Grass nel suo capolavoro, “Il tamburo di latta”. Ovvero, come diceva Giacomo Leopardi “La mancanza d'infelicità è già felicità”.

Assume forme mitiche invece per Gesualdo Bufalino, nel “Malpensante”: “La felicità esiste, ne ho sentito parlare”. Una possibilità che invece Anton Cechov, nell’amarissimo dramma “Tre sorelle”, nega: “La felicità non possiamo averla, non esiste: la desideriamo soltanto”. Più pragmatico e caustico in “Misalliance” il commediografo irlandese George Bernard Shaw: “Il segreto per essere infelice è avere abbastanza tempo per preoccuparsi se si è felici o no”.

Felicità, questo Eldorado mistico cui tutti ambiamo, che forse un giorno abbiamo provato, che forse un giorno proveremo, in cui forse siamo immersi e neanche lo sappiamo… Nella Costituzione degli Stati Uniti è espressamente indicata la sua ricerca come valore fondante. Non è piacere, non è assenza di dolore, non è utopia o illusione: è felicità, un misto di desiderio e di benessere, uno stato in cui vorremmo essere perennemente immersi come in una piacevole vasca termale… 


Fotografia © HuffPost

 

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LA FRASE DEL GIORNO
La felicità è come la salute: se non te ne accorgi, vuol dire che c’è.
IVAN TURGENEV

venerdì 19 giugno 2009

Apollo e Dafne

Il serto di alloro che viene posto in capo ai poeti e ai vincitori delle gare olimpiche è la pianta sacra ad Apollo. La leggenda narra che la bella ninfa Dafne, amata dal dio, gli sfuggiva non appena questi le si avvicinava. Apollo la chiamava invano con i nomi più dolci, ma Dafne non si fermava ad ascoltarlo. Quando il dio riuscì a raggiungerla, la ragazza trafelata invocò l’aiuto del padre, il fiume Pèneo: “Salvami tu!”

Il piede della ninfa si tramutò allora in radice, affondando nel terreno, l’esile corpo si circondò di una scorza tenera e verde, i capelli si trasformarono in fronde. Dafne fu mutata in alloro e quella pianta divenne sacra in eterno ad Apollo, dio della musica e della poesia, che se ne ornerà la fronte, così come i musici, i poeti e i condottieri…

Ascoltiamo il racconto di Ovidio nelle “Metamorfosi”:

“Senza più forze, vinta dalla fatica di quella corsa allo spasimo, si rivolge alle correnti del Peneo e: «Aiutami, padre», dice. «Se voi fiumi avete qualche potere, dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui». Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra, il petto morbido si fascia di fibre sottili, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; i piedi, così veloci un tempo, s'inchiodano in pigre radici, il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva.
Anche così Febo l'ama e, poggiata la mano sul tronco,
sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo, ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae. E allora il dio: «Se non puoi essere la sposa mia, sarai almeno la mia pianta. E di te sempre si orneranno, o alloro, i miei capelli, la mia cetra, la faretra; e il capo dei condottieri latini, quando una voce esultante intonerà il trionfo e il Campidoglio vedrà fluire i cortei. Fedelissimo custode della porta d'Augusto, starai appeso ai suoi battenti per difendere la quercia in mezzo.
E come il mio capo si mantiene giovane con la chioma intonsa, anche tu porterai il vanto perpetuo delle fronde!». Qui Febo tacque; e l'alloro annuì con i suoi rami appena spuntati e agitò la cima, quasi assentisse col capo”.

Così invece narra in versi Gabriele D’Annunzio il momento della trasformazione di Dafne (“Alcyone”, L’oleandro):

“Nell'umidore del selvaggio suolo
i piedi farsi radiche contorte
ella sente e da lor sorgere un tronco
che le gambe su fino alle cosce
include e della pelle scorza fa
e dov'è il fiore di verginità
un nodo inviolabile compone”.


Gian Lorenzo Bernini, “Apollo e Dafne” (1622-1625)
Roma, Galleria Borghese

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Fuggi quando vuoi, e la storia sarà invertita: Apollo scappa e Dafne lo rincorre; la colomba insegue il grifone; la mite cerva corre ad afferrare la tigre. Vana corsa, quando la vigliaccheria ci insegue e la prodezza fugge.
WILLIAM SHAKESPEARE, Sogno di una notte di mezza estate, Atto II, scena I




Publio Ovidio Nason
e (Sulmona, 20 marzo 43 a.C. – Tomi, 17 o 18 d.C.), poeta romano, tra i principali esponenti della letteratura latina e della poesia elegiaca. È capace di affrontare con successo argomenti assai vari – dalla mitologia alle proprie vicende personali – adattando a ciascuno di essi uno stile brillante e facile nella sua immediatezza.


Gabriele d'Annunzio (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1º marzo 1938), scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del decadentismo. La sua arte fu così determinante per la cultura di massa, che influenzò usi e costumi nell'Italia – e non solo – del suo tempo: un periodo che più tardi sarebbe stato definito, appunto, dannunzianesimo.



giovedì 18 giugno 2009

Il lampo della poesia


C'è un'immagine che mi è cara: quella di un temporale notturno. Un lampo squarcia l'oscurità e per un istante solo illumina tutto quanto: la nostra comprensione non ci permette di vedere tutto, ma ne ricaviamo soltanto una fugace impressione. Ecco: quella è la poesia, lo sguardo che lanciamo per un brevissimo momento nella realtà e ci consente di cogliere l'immagine della magia, il senso dell'emozione.


Fotografia © PIxabay


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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è la luce di un lampo; quando è solo un accostamento di parole diventa semplice composizione.
KHALIL GIBRAN, Massime spirituali

mercoledì 17 giugno 2009

Grisham e Amanda

Il lungo processo in corso a Perugia che intende fare luce sull’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, ha una vasta eco mediatica in Gran Bretagna ma soprattutto negli Stati Uniti, patria di Amanda Knox, imputata con l’italiano Raffaele Sollecito e l’ivoriano Rudy Guedé. Oltreoceano si appassionano al processo e con uno sciovinismo tipicamente americano l’opinione pubblica si è schierata per l’innocenza di Amanda: giornali e televisioni cavalcano lo scoop, ma certamente in pochi saranno in grado di comprendere i meccanismi complicati della giustizia italiana e le sue lungaggini burocratiche.

Il re del legal thriller, John Grisham, autore di raffinati best seller incentrati non solo sui ricchi e potenti studi legali ma anche su avvocati di strada e alle prime armi, è in Italia per presentare “Il ricatto”, sua ultima fatica editoriale. Intervistato da Maria Corbi per “La Stampa”, confessa di seguire con interesse il processo per l’assassinio di Meredith e di essere intenzionato a scrivere un libro sulla vicenda: “Negli Stati Uniti la seguiamo molto, ha attirato la mia attenzione, vorrei capirne di più. E se scriverò il libro verrò spesso in Italia, a Perugia, per raccogliere materiale”. Grisham si dice “tendenzialmente innocentista” nei confronti di Amanda, ma ammette che vi siano molte prove a carico della studentessa di Seattle e che “appaia una ragazzina stupida”.

Lo scrittore americano, che prima di dedicarsi alla letteratura era avvocato, si stupisce della lunghezza del processo. Questo, anziché deprimerlo, lo intriga: “Anche per questo mi piacerebbe ambientare un libro da voi per paragonare i due sistemi”. Grisham, del resto, ama molto l’Italia, avendo già ambientato a Bologna “Il broker” e a Parma “Il professionista”, due romanzi che esulano però dal genere legale. Se scriverà davvero la storia del processo di Perugia, c’è da contare che sarà un nuovo successo.

 


John Grisham 

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Il dovere dei giudici è di applicare la giustizia; il loro mestiere è di ritardarla, ciascuno conoscendo il proprio dovere e facendo il proprio mestiere.nostro cuore dimora dell'Infinito.
JEAN DE LA BRUYÈRE, Caractères

martedì 16 giugno 2009

Poesia e dialetto: Vann'Antò

Giovanni Antonio Di Giacomo, noto con lo pseudonimo di Vann'Antò, nacque a Ragusa nel 1891. La sua opera poetica conta una bella serie di tre raccolte in dialetto siciliano, di ispirazione popolaresca e contadina - lui, combattente sul Carso tra il 1915 e il 1918, era però professore di Letteratura delle tradizioni popolari all'Università di Messina.

La poesia di Vann'Antò è schietta, genuina, fraternamente condivisa con quella gente semplice e umile della quale condivise sentimenti e intimi moti. Nei toni di adesione alla natura, quasi sempre pacati, ma qua e là realisticamente scabri, riesce a esprimere l'immediatezza e la robustezza della vita contadina.


M'AMA LA BELLA MIA

" M'ama la bella mia, sempri m'arriri: 
quannu vuògghiu, rispunni a la ciamata. " 
" A la mia bella ci manca la firi, 
nun ci po' crirri, no, ri quantu è amata. " 

" La mia bella è 'nu specciu, ca t'ammiri 
e la to' fiura c'è sempri stampata... " 
" La mia gioia si viri e nun si viri: 
e primavera 'n mienzu a l'invirnata. " 

" Iu vincii ni la ddutta ri l'amuri 
ccu 'n attu ri curaggiu, cuomu fa 
(vitti e sparau) lu bravu cacciaturi. " 

" L'anima mia tenaci aspetta: sa 
ch'è cciú vivu l'affettu nel duluri 
cuomu la fiamma ni l'oscurità! "
 


M'AMA LA BELLA MIA

M'ama la bella mia, sempre sorride:
quando voglio, risponde alla chiamata.
Alla mia bella manca la fede,
non può credere, no, quanto sia amata.

La mia bella è uno specchio, che ti guardi
e la tua figura è sempre riflessa...
La mia gioia si vede e non si vede:
fa primavera in mezzo all'inverno.

Io ho vinto nella lotta dell'amore
con atto di coraggio come fa
(vide e sparò) l'abile cacciatore.

L'anima mia tenace aspetta: sa
che è più vivo l'affetto nel dolore
come la fiamma nell'oscurità.

da «Voluntas tua», 1926

 

'A PICI, I

- Bedha, cchi duormi pràcita e latina!
cuomu na pupa, ca nun ha pinsieri:
la facciuzza ri cira quant'è fina,
cira ca lu so sciàuru è di meli.

Iu mi susii cciù prima stamatina,
li sonna miei nun ci fuorru sinceri!
tuttannotti ca fu vota e rimina,
pinsirazzi cciù amari ri lu feli.

Lu sancu squetu cch'è ca rivugghia,
n'sàcciu l'arma cchi avìa pena e diluri;
ruormi, ca sî filici, bedha mia!

Nun t'arrusbigghi si nun è lu Suli,
ch'è lu to amanti e n'happi gilusia,
cà travagghiu a lu scuru, pirriaturi.


LA PECE, I

Come placida dormi, Bella, e lieve!
come una bambola, che non ha pensieri;
la facciuzza di cera quant'è fina,
cera che l'odore suo è di miele.

Mi sono levato prima io stamattina:
non sono stati i miei sonni sinceri!
tutta la notte a voltarmi e pestare
tristi pensieri più amari del fiele.

Il sangue inquieto che mai ribolliva?
Non so il cuor che avea pena e dolore....
Dormi, felice sei tu, bella mia.

Non ti svegli se non è il Sole
ch'è il tuo amante e n'ho avuta gelosia,
poi che lavoro al buio, minatore.

da «'A Pici», 1958

 

BIBLIOGRAFIA

Voluntas tua, De Alberti, Roma 1926
Il fante alto da terra, Principato, Milano 1932
Indovinelli popolari siciliani, Sciascia, Caltanissetta 1954
La Madonna nera, LEU, Messina 1955
U vascidduzzu, Il Fondaco, Messina, 1956
'A Pici, Paolino, Ragusa 1958
La Baronessa di Carini, D'Anna, Messina 1958


Strada

Strada di Ragusa Ibla - Fotografia © Daniele Riva

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Amore, fascinoso Amore, la campagna è il tuo tempio.
JEAN-FRANÇOIS DE SAINT-LAMBERT, La primavera




Vann'Antò, pseudonimo di Giovanni Antonio Di Giacomo (Ragusa, 24 agosto 1891 – Messina, 25 maggio 1960), è stato un poeta e traduttore italiano. La sua poesia risalta per la genuinità e la ricchezza. Salvatore Quasimodo  lo definì come il poeta siciliano «più importante del primo cinquantennio del secolo»; Giuseppe Ungaretti, che ne colse «espressioni d'una delicatezza di sentimento favolosa».

lunedì 15 giugno 2009

Gli aforismi di Canetti

Uno dei più grandi scrittori di aforismi è il saggista e scrittore di lingua tedesca Elias Canetti, nato in Bulgaria nel 1905, ma vissuto a Vienna e Zurigo, dove morì nel 1994.

Autore del romanzo "Auto da fé" e del celebre saggio "Masse e potere", Canetti, Nobel per la letteratura nel 1981, ha saputo cimentarsi nel difficile genere dell'aforisma, forse ispirato dall'amico Karl Kraus, con una salda tenacia da moralista, senza voli pindarici a inseguire metafore: osserva curioso con una passione mentale che scandaglia la complessità del mondo reale.


da "La provincia dell'uomo" (1973)

Ha nella pancia un poeta, riuscisse ad averlo sulla punta della lingua!

Non andar sempre fino in fondo. C'è tanto in mezzo!

I giorni vengono distinti fra loro, ma la notte ha un unico nome. 

Il progresso ha i suoi svantaggi; di tanto in tanto esplode. 

Non dice nulla, ma come sa spiegarlo!


da "Il cuore segreto dell'orologio" (1987)

Questo è un aforisma, dice, e si affretta a richiudere la bocca di scatto.

Si può vivere soltanto se, con una certa frequenza, non si fa quello che ci si propone. L'arte consiste nel proporsi la cosa giusta da non fare.

Chi ha troppe parole non può che essere solo.

È già difficile sopportare il proprio autocompiacimento. Ma quello degli altri!

 

da "La tortura delle mosche" (1993)

L'arte sta nel leggere sufficientemente poco.

Nessun sogno è mai stato così insensato come la sua spiegazione.

Dio non ha visto giusto riguardo alla confusione babelica delle lingue. Tutti parlano adesso la stessa tecnica.

Gli uomini fuggono da chi dice sempre le stesse cose. Ma se uno le dice con sufficiente arroganza, da costui si lasciano dominare.

Quello è intelligente come un giornale. Sa tutto. Ciò che sa cambia ogni giorno.

Il poeta vive di esagerazioni e si fa conoscere per mezzo di fraintendimenti.

 


 

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LA FRASE DEL GIORNO
Leggendo i grandi autori di aforismi si ha l'impressione che si conoscano tutti bene fra loro.
ELIAS CANETTI, La rapidità dello spirito




Elias Canetti (Ruse, 25 luglio 1905 – Zurigo, 14 agosto 1994), scrittore, saggista e aforista bulgaro naturalizzato britannico, di lingua tedesca, insignito del Nobel per la letteratura nel 1981. La sua opera, oltre ad essere incentrata sulla metamorfosi, è essa stessa una metamorfosi continua: un solo romanzo, un solo libro di "antropologia", pochi testi teatrali, alcuni saggi, alcuni aforismi, un diario di viaggio e un'autobiografia.


domenica 14 giugno 2009

La sete di Jiménez


JUAN RAMÓN JIMÉNEZ

SÌ, SETE, SETE, SETE ORRIBILE!

Sì, sete, sete, sete orribile!
...Ma... lasciami il bicchiere
vuoto...!

(da Eternità, 1917)


Questa brevissima poesia di Juan Ramón Jiménez è un’esaltazione del desiderio, del senso dell’attesa. Come per il Natale, che vive della magica atmosfera dell’Avvento e la trasforma in malinconia già il pomeriggio del 25 dicembre. O come il “sabato del villaggio” leopardiano, con la spensierata allegria che il giorno dopo sarà già smorzata dai pensieri della settimana prossima a iniziare. Il desiderio dunque, ancora più della sua realizzazione. “In attendere è gioia più compita”. Lo diceva anche Eugenio Montale.

 

Fotografia: Pngall

 

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LA FRASE DEL GIORNO
Ci sono due scopi nella vita: il primo è di ottenere ciò che vogliamo; il secondo di godercelo. Solo gli uomini più saggi riescono a compiere il secondo.
L.P.SMITH, Afterthoughts, I




JimenezJuan Ramón Jiménez (Palos de Moguer, 24 dicembre 1881 - San Juan, Portorico, 29 maggio 1958), poeta spagnolo premiato con il Nobel nel 1956, fu uno dei principali esponenti della Generazione del ’14 e del Modernismo. La sua ricerca poetica lo portò a privilegiare la poesia nuda ed essenziale, fatta solo di immagine e di parola al di là della musicalità esteriore.


sabato 13 giugno 2009

Una barca in mezzo al mare

 

GIACOMO NOVENTA

FUSSE UN POETA...

Fusse un poeta...
Ermetico,
Parlarìa de l'Eterno:
De la coscienza in mi,
De le stele su mi,
E del mar che voleva e nò voleva
(Ah, canagia d'un mar!)
Darme le so parole.

Ma son...
(Parché nò dirlo?)
Son un poeta.

E ti ghe géri tì ne la me barca.

E le stele su nù ghe sarà stàe,
E la coscienza in nù,
E le onde se sarà messe a parlar,
Ma ti-ghe-gerì tì ne la me barca,
(E gèra fermi i remi).
In mezzo al mar.

 

FOSSI UN POETA...

Fossi un poeta...
Ermetico,
Parlerei dell'Eterno:
Della mia coscienza,
Delle stelle sopra di me,
E del mare che voleva e non voleva
(Ah, canaglia d'un mare!)
Darmi le sue parole.

Ma sono...
(Perché non dirlo?)
Sono un poeta.

E c'eri tu nella mia barca.

E le stelle su di noi ci saranno state
E la nostra coscienza,
E le onde si saranno messe a parlare,
Ma c'eri tu nella mia barca,
(Ed erano fermi i remi).
In mezzo al mare.

(da Versi e poesie, 1956)

 

Giacomo Noventa, autore di questa lirica, era un poeta dialettale che sapeva dare alle sue opere toni epigrammatici, alla ricerca di una verità che si perdeva spesso nel sogno per baluginare talvolta nel reale. “Fossi un poeta…” ne è una significativa testimonianza: Noventa, che pure fondò “La Riforma Letteraria” e frequentò i vari gruppi letterari, nel suo gioioso dialetto veneziano racconta con ironia e con una benevola presa in giro questa notte sul mare: un poeta, un Ermetico magari, come Ungaretti o Montale, baderebbe alle stelle, ai movimenti dei propri sentimenti inconsci, alla condizione umana. Ma Noventa, che pure è poeta, ha una ragazza nella barca e non si cura di stelle, coscienza o eterno: i remi sono fermi sugli scalmi, l’imbarcazione diventa un’alcova in balia della corrente e lui si abbandona alla poesia dell’amore…


  Immagine © T1na/DeviantArt

 

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LA FRASE DEL GIORNO
È l'amore che passa avanti a tutto. L'amore è come un fuoco che consuma. Non ti senti bruciare dentro?
CARLO CASSOLA, un uomo solo




Giacomo Noventa, pseudonimo di Giacomo Ca' Zorzi (Noventa di Piave, 31 marzo 1898 – Milano, 4 luglio 1960), poeta e saggista italiano. Figura atipica di intellettuale nel panorama italiano, estraneo sia all'idealismo sia all'ermetismo, animato da uno spirito antiborghese. Le sue poesie in dialetto veneto trattano in modo estroso temi civili ed elegie d’amore e amicizia.