La sera del 6 agosto 1978 i telegiornali lanciarono la notizia: papa Paolo VI era morto alle 21.40 per un collasso polmonare nella residenza estiva di Castel Gandolfo. Non aveva ancora compiuto 81 anni.
La sua salute era andata peggiorando nel corso dell’anno: lo aveva molto provato il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Aveva addirittura scritto una lettera ai terroristi:
“Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro. (…) Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova”.
Giovanni Battista Montini era nato a Concesio, in provincia di Brescia, nel 1897 ed era stato arcivescovo di Milano prima di assurgere al trono pontificio. Fu eletto papa il 21 giugno 1963 e gli toccò il compito di chiudere il Concilio Vaticano II aperto da Giovanni XXIII. I mutamenti della società lo portarono a fare i conti con il boom economico, la contestazione, la secolarizzazione ed il terrorismo. Fece scalpore nel 1964 la vendita della tiara in favore dei più bisognosi: Paolo VI apriva a una nuova umiltà della Chiesa che i suoi successori avrebbero proseguito. Montini si trovò a dover affrontare temi scottanti per la società civile: l’aborto, il divorzio, il celibato sacerdotale, il controllo delle nascite. La “Humanae vitae” a quel mondo che nel 1968 volava verso un progresso ribelle sembrò conservatrice e inaccettabile. Ma non era altro che l’interpretazione autentica del Vangelo.
Volle portare il papato nel mondo, anticipando i lunghi viaggi di Giovanni Paolo II: fu il primo pontefice a servirsi dell’aereo e a visitare i cinque continenti. Memorabili furono le tappe in Terrasanta nel 1964 e all‘Assemblea delle Nazioni Unite a New York l‘anno successivo. Nelle Filippine, nel 1968, scampò ad un attentato: monsignor Marcinkus deviò il pugnale dell‘assalitore.
L’attenzione per quei popoli lontani e spesso sofferenti lo portò ad emanare l’enciclica “Popolorum progressio”. Vi si legge: “Combattere la miseria e lottare contro l'ingiustizia, è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell'umanità. La pace non si riduce a un'assenza di guerra, frutto dell'equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini”.
Volle umiltà anche per le esequie, celebrate in San Pietro: “Raccomando vivamente di disporre per convenienti suffragi e per generose elemosine, per quanto è possibile. Circa i funerali: siano pii e semplici (si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso). La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me”.
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LA FRASE DEL GIORNO
O Fratelli! O Sorelle! Poesia dovrebbe essere il nostro discorso! Parola che cede al silenzio la pienezza ineffabile del suo significato.
PAOLO VI, Omelia del 12 novembre 1972
Anche per me vorrei una tomba nella vera terra e senza monumento...
RispondiEliminacome segno di semplicita` nell'attesa della resurrezione.
Un bel segno, certamente: lo hanno seguito anche Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.
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