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mercoledì 4 giugno 2008

Quasimodo e la Sicilia


SALVATORE QUASIMODO
STRADA DI AGRIGENTUM

Là dura un vento che ricordo acceso
nelle criniere dei cavalli obliqui
in corsa lungo le pianure, vento
che macchia e rode l'arenaria e il cuore
dei telamoni lugubri, riversi
sopra l'erba. Anima antica, grigia
di rancori, torni a quel vento, annusi
il delicato muschio che riveste
i giganti sospinti giù dal cielo.
Come sola allo spazio che ti resta!
E più t'accori s'odi ancora il suono
che s'allontana largo verso il mare
dove Espero già striscia mattutino:
il marranzano tristemente vibra
nella gola al carraio che risale
il colle nitido di luna, lento
tra il murmure d'ulivi saraceni.



Nel 1934 Salvatore Quasimodo, geometra del Genio Civile, ottiene il trasferimento a Milano, dove rimarrà a lungo anche dopo essere passato al giornalismo. La Sicilia, sua terra natale, è lontana, perduta come in una nebbia: probabilmente gli appare un paradiso perduto, si trasfigura nel ricordo fino a diventare un'astrazione poetica: così è capitato anche a Dante con Beatrice e a Petrarca con Laura, hanno idealizzato una donna per farne il centro della loro poesia. A Quasimodo succede con la Sicilia. Ce l'ha nel cuore, ne avverte la nostalgia.

"Strada di Agrigentum", inserita in "Nuove poesie" del 1938, testimonia questo recupero della memoria. Il poeta si riconosce esule nella verde terra lombarda e rievoca il contrasto con l'arida pianura della Sicilia meridionale dove il vento caldo sembra incendiare le criniere dei cavalli bradi: "là" è la parola che apre la lirica esprimendo drammaticamente questo stato di lontananza. "Là" è la splendida Valle dei Templi di Agrigento, con i telamoni, enormi sculture di giganti abbattuti dal tempo e sdraiati nel prato sabbioso del Tempio di Zeus a corrodersi con il passare dei secoli, simbolo di una civiltà che è tristemente finita, che ha obbligato lo stesso Quasimodo ad emigrare, a divenire "grigio" di tristezza e "solo", costretto a ritornare soltanto con il ricordo a quella terra amata. È tanto intenso questo suo sentimento da fargli quasi udire un suono di scacciapensieri, lo strumento tipico dei contadini siciliani: anche la sua voce però risuona triste nell'alba.

La Sicilia deificata, resa mito, finisce con il rappresentare per il poeta di Modica un mondo alternativo, un sicuro rifugio dove dimenticare il "male di vivere" così caro agli ermetici, il decadimento dell'uomo, il susseguirsi di giorni grigi e anonimi. Fino a che verrà la guerra a rimescolare le carte, ad amplificare quel dolore: Quasimodo cambierà l'inquadratura, amplificherà il suo sentire, aggiungerà un grido di furore per la sorte della Sicilia, ma identica resterà quella meditazione mitologizzante e nostalgica espressa negli endecasillabi di "Strada di Agrigentum".



Fotografia © Daniele Riva



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LA FRASE DEL GIORNO
Se le porte della percezione fossero spalancate, ogni cosa apparirebbe così com'è, infinita.
WILLIAM BLAKE, Il matrimonio del cielo e dell'inferno




Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968), poeta e traduttore italiano, esponente di rilievo dell'ermetismo.  Essenziale ed epigrammatico, ha  temperato gli influssi originari in un linguaggio poeticamente sempre più autonomo, che libera un’intensa sensualità in trepide visioni. Premio Nobel per la letteratura 1959 “per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”.


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