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martedì 10 giugno 2008

10 giugno 1940


Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano.
(...)
Se noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una guerra, gli è che l'onore, gli interessi, l'avvenire ferramente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia.
Noi impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero l'accesso all'Oceano.
(...)
La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo!, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo.
Popolo italiano!
Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!



Era il 10 giugno del 1940 quando Mussolini imbarcò l'Italia nell'orrore della Seconda Guerra Mondiale. Per oltre nove mesi il paese era rimasto fuori dal disastro, isolato nella sua autarchia seguita alle sanzioni economiche imposte dalla Società delle Nazioni dopo la guerra in Etiopia. Francisco Franco, in Spagna, dopo la sanguinosa guerra civile, sarebbe riuscito a non invischiare un paese già provato nel conflitto, nonostante le simpatie per i regimi dell'Asse: avrebbe conservato il potere fino alla sua fine, nel 1975.

Dal balcone di Palazzo Venezia invece il Duce, quel giorno di giugno, con il fare marziale solito, con le pause ad effetto, davanti a una folla oceanica che riempiva la piazza, davanti a milioni di italiani informati dalla radio, incanalò la storia in un corso doloroso e lacerante. La dichiarazione di guerra segnò il destino del paese e del fascismo, in quelle parole "impegnative" erano già scritti il 25 luglio e l'8 settembre, era già inciso il 25 aprile. Dalla gloria di Piazza Venezia si intravedeva l'insulto finale di Piazzale Loreto.
Vi erano connesse in filigrana le odissee in Grecia, Albania e Russia, i campi di concentramento e le foibe, le vendette e le rese dei conti.

"Così a diciott'anni andammo in guerra" scrive Mario Rigoni Stern in "Tra due guerre e altre storie": lo scrittore di Asiago era infatti un giovane alpino di stanza ad Aosta e presidiava le montagne con i suoi scalatori. La "pugnalata alla schiena" lo coglie sul primo fronte italiano.

In "Quota Albania" racconta:

Si era accampati tra Aymaville e Villeneuve, sulla riva destra della Dora. Eravamo arrivati lì dopo le marce attraverso il Canavese e risalendo la Valle d'Aosta; dietro di noi c'era il pianto delle ragazze di Castellamonte, Torre Bairo, Frassinetto. Come nella canzone.
(...)
Venne Nicolini dal paese per gridare nella quiete: - El Crapun ha dichiarato la guerra e a Roma urlano come matti! Sul nostro accampamento scese il silenzio e non ci furono commenti; solo ci sedemmo pensierosi a guardare il fuoco e quando cominciò il buio, dalle tende degli ufficiali si sentì dire a voce alta: - Laggiù, spegnete il fuoco. Siamo in guerra!
(...)
L'indomani sembrava un giorno in tutto differente dagli altri; prima dell'alba avevamo sentito il cannone: il rumore dei colpi rotolava per le montagne e arrivava sotto le tende dove nessuno dormiva.

I giorni passano. In alta quota le spie francesi e italiane lavorano tra le nevi eterne con binocoli, corde e ramponi. Il 21 giugno comincia la vera e propria campagna di Francia: inizia l'offensiva contro i "cugini" transalpini. Il 22 giugno Rigoni Stern valica il confine. Lo ha colpito un'incontro nella neve: portaferiti italiani con una barella su cui è adagiato un corpo. "Il est mort" gli dice nel suo dialetto un barelliere del battaglione Aosta: quell'identità di lingua con il nemico, quella vicinanza culturale lo sgomenta. In "Quota Albania" prosegue a raccontare:

Ora sono anch'io in Francia: scendo saltando e scivolando tra la neve sporca dove sono incise le piste di quelli che ci hanno preceduto. Non ho tempo per guardarmi attorno perché improvvisi come ventate arrivano proiettili che scoppiano laceranti e sento solo paura. Solo paura.

Il 24 giugno, a sera, la Francia, invasa dalle truppe di Hitler e preda di una gravissima crisi politica che la porta sull'orlo del fascismo, firma l'armistizio: in soli quattro giorni l'Italia ha vinto senza quasi combattere. Rigoni Stern e il suo battaglione hanno l'ordine di tornare in Val d'Aosta. La marcia è lunga e faticosa:

Sul Colle, vicino l'Ospizio, c'erano segni di esplosioni, rottami, reticolati. Pensavo, camminando con la mia fatica: "Era l'ottobre dell'anno scorso quando mi rifugiai qui in una notte di tormenta, prima di salire sulla Pounte-Rousse per portar viveri e soccorsi a un plotone isolato nella neve. Ne sono successe di cose in pochi mesi..."
Questo pensavo camminando per la strada che ora scendeva verso l'Italia. E non mi accorgevo che questa valle era simile a quell'altra che avevamo risalito.



"Il Popolo d'Italia" dell'11 giugno 1940




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LA FRASE DEL GIORNO
Accadono cose che sono come domande, passa un minuto oppure anni, e poi la vita risponde.
ALESSANDRO BARICCO, Castelli di rabbia

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