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martedì 15 gennaio 2019

Il filo con cui lega me


RABINDRANATH TAGORE

IL GRIDO CHE RISUONA

Il grido che risuona nel mio cuore,
è anche il grido della sua terra,
il filo con cui lega me, lega anche lei.
L'ho cercata ovunque,
l'ho adorata dentro di me.
Mi ha cercato anche quando
ero nascosto in quella adorazione.
Attraverso i vasti oceani venne a rubare il mio cuore.
Dimenticò di tornare, avendo perduto ogni sua cosa.
Il suo fascino giocò da traditore per lei,
tese la rete, non sapendo
se avrebbe preso o sarebbe stata presa.

(da Canti, 1974 - Traduzione di Aurobindo Bose)

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Il premio Nobel indiano Rabindranath Tagore canta l’eterno femminino, quell’espressione che incarna la pura bellezza e che incarnò in Urwashi, dea della mitologia hindu: “l’impareggiabile bellezza, la linfa del cielo, regina nel regno del Desiderio”. Una donna che è libera compagna che “porta nel cuore intrepido la corrente che dà la vita, che può assistere e sanare”, “l’albero che trae acqua dall’arida roccia”. Modernissimo è il finale, in cui non si comprende se l’amata sia la cacciatrice o la preda.

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Indiana

VERONIQUE GAUTHIER, “DONNA INDIANA”

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LA FRASE DEL GIORNO
È verità, quindi poesia.
RABINDRANATH TAGORE, Poesie del prodigio




Rabindranath Tagore, nome anglicizzato di Rabíndranáth Thákhur (Calcutta, 7 maggio 1861 – Santiniketan, 7 agosto 1941), poeta, drammaturgo, scrittore e filosofo bengalese. Insignito del Nobel nel 1913 “per la profonda sensibilità, la freschezza e la bellezza dei versi con i quali, con consumata capacità, ha reso il proprio pensiero poetico, espresso in inglese con parole proprie, parte della letteratura occidentale”.


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