JAVIER LOSTALÉ
CONFESSIONE
Scrivo perché mi salva, perché è l’unica cosa che mi resta, perché fissa un suono, le luci, il finale di un atto d’amore, lo scenario di alcune ore di desiderio. Scrivo perché stanno con me quelli che mai staranno, perché scendo al mare dal tavolo dove appoggio il foglio e giaccio quieto nella memoria di un corpo, e prolungo le voci fino a perdere la nozione del tempo (giorni e anni, stretti in un istante che mi lascia indifeso). Scrivo perché scoprendo il seno di una parola incontro l’illuminazione ultima del bacio, perché pronuncio a me stesso la mia unica verità: quella che poi smentisco con la mia vita. Scrivo perché c’è un pianto intimo che mi purifica quando comincio a tracciare segni sulla carta, perché possiedo le cose nel loro respiro umano e posso tornare dove fui esiliato. Scrivo per essere giovane e alimentare una speranza radicale, per avere quello che non ho e ascoltare quello che mai mi dissero. Scrivo perché mai vi fu illusione più bella.
(da La rosa inclinada, 1995)
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La poesia come strumento terapeutico, come stato di vita, come mezzo per analizzare se stessi e il mondo che ci circonda, per ritagliarsi un luogo dove ogni cosa è possibile e il tempo è davvero soltanto una concezione: così la interpreta in questa poesia narrativa il poeta spagnolo Javier Lostalé, discepolo del Premio Nobel Vicente Aleixandre.
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LEONID PASTERNAK, “LA PASSIONE DELLA CREAZIONE”
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LA FRASE DEL GIORNO
La verità di una poesia si misura con l’emozione che produce nel lettore.
JAVIER LOSTALÉ, ABC, 28 marzo 2011
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