MARIO LUZI
MÉNAGE
La rivedo ora non più sola, diversa,
nella stanza più interna della casa,
nella luce unita, senza colore né tempo, filtrata dalle tende,
con le gambe tirate sul divano, accoccolata
accanto al giradischi tenuto basso.
“Non in questa vita, in un’altra” folgora il suo sguardo gioioso
eppure più evasivo e come offeso
dalla presenza dell'uomo che la limita e la schiaccia.
“Non in questa vita, in un’altra” le leggo bene in fondo alle pupille.
È donna non solo da pensarlo, da esserne fieramente certa.
E non è questa l’ultima sua grazia.
in un tempo come il nostro che pure non le è estraneo né avverso.
“Conosci mio marito, mi sembra” e lui sciorina un sorriso importunato,
pronto quanto fuggevole, quasi voglia scrollarsela di dosso
e ricacciarla indietro, di là da una parete di nebbia e d’anni;
e mentre mi s’accosta ha l’aria di chi viene
da solo a solo, tra uomini, al dunque.
“C’è qualcosa da cavare dai sogni?” mi chiede fissando su di me i suoi occhi vuoti
e bianchi, non so se di seviziatore, in qualche “villa triste”, o di guru.
“Qualcosa di che genere?” e guardo lei che raggia tenerezza
verso di me dal biondo del suo sguardo fluido e arguto
e un poco mi compiange, credo, d’essere sotto quelle grinfie.
“I sogni di un’anima matura ad accogliere il divino
sono sogni che fanno luce; ma a un livello più basso
sono indegni, espressione dell’animale e basta” aggiunge
e punta i suoi occhi impenetrabili che non so se guardano e dove.
Ancora non intendo se m’interroga
o continua per conto suo un discorso senza origine né fine
e neppure se parla con orgoglio
o qualcosa buio e inconsolabile gli piange dentro.
“Ma perché parlare di sogni” penso
e cerco per la mia mente un nido
in lei che è qui, presente in questo attimo del mondo.
“E lei non sta facendo un sogno?” riprende mentre sale dalla strada
un grido di bambini, vitreo, che agghiaccia il sangue.
“Forse, il confine tra il reale e il sogno...” mormoro
e ascolto la punta di zaffiro
negli ultimi solchi senza note e lo scatto.
“Non in questa vita, in un’altra” esulta più che mai
sgorgando una luce insostenibile
lo sguardo di lei fiera che ostenta altri pensieri
dall’uomo di cui porta, e forse li desidera, le carezze e il giogo.
(da Nel magma, Garzanti, 1963)
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È un Mario Luzi meno ermetico e più prosastico quello di Nel magma. Questa poesia, in particolare, ha un che di cinematografico, sembra una serie di piani-sequenza, ha qualcosa del neorealismo e della nouvelle vague francese. Un salotto borghese, un giradischi che suona in un angolo, tenuto a basso volume, un marito e una moglie, una donna che il poeta ha amato o avrebbe potuto amare ma che adesso è perduta, eppure resta immagine salvifica con quel mantra che risuona “Non in questa vita, in un’altra”. È la stessa donna tormentata di Accordo: “Che importa la materia della fede quando è così grande, / mi dico mentre scruta se m’arriva / la luce delle sue parole nel punto esatto; / e posso anche pensarle / come un canto di prigionia, / sia pure il canto udito / trillare nella voliera più alto di tutti e fermo”.
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EDWARD HOPPER, “CONFERENCE AT NIGHT”
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LA FRASE DEL GIORNO
Il corso d’una vita deciso in nostra vece chi sa come e quando / ripara nel bene e nel male altre esistenze, / offre cause di gioia e di dolore alle future.
MARIO LUZI, Nel magma
Mario Luzi (Castello di Firenze, 20 ottobre 1914 – Firenze, 28 febbraio 2005), poeta italiano, fu uno dei grandi rappresentanti dell’Ermetismo. Più volte candidato al Nobel, fu insignito della Legion d’Onore. Fu Accademico della Crusca e senatore a vita.
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