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mercoledì 31 luglio 2013

Una breccia

 

EUGENIO MONTALE

IN GIORNI COME QUESTI, SPESSO

In giorni come questi, spesso
la tetraggine m’assale
e il vivere d'ora in ora
mi tortura. Ma arrivi tu
che sconfiggi la noia
coi tuoi discorsi variopinti.
Anche oggi cercheremo una breccia.
Una parola che ci possa salvare
e che ci tenga in bilico
sul confine ideale tra realtà
e fantasia potrà, anche
se per poco, cangiare l'esistenza.

(da Diario postumo, Mondadori, 1997)

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“Tu che sconfiggi la noia”: è Annalisa Cima, l’ultima musa di Eugenio Montale, che raccolse e pubblicò 66 poesie dell’ultima stagione del Premio Nobel, quella che va dal 1969 al 1979, nel Diario postumo, controversa opera che alcuni filologi, come Dante Isella e Giovanni Raboni, ritennero addirittura un apocrifo o, quantomeno, un collage di varie altre poesie montaliane. Sia quel che sia, si ravvisa però l’afflato del grande poeta e salta subito alla mente il finale di “In limine”, con un’altra breccia: “Cerca una maglia rotta nella rete / che ci stringe, tu balza fuori, fuggi! / Va’, per te l’ ho pregato, – ora la sete / mi sarà lieve, meno acre la ruggine”.

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EUGENIO MONTALE CON ANNALISA CIMA © ANSA

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LA FRASE DEL GIORNO
Resta nel tuo eliso, non essere crudele /  verso quel vago senso di speranza /   che a noi, solo, rimane. Ben altro / è la felicità. Esiste, forse, /  ma non la conosciamo.
EUGENIO MONTALE, Diario postumo




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

martedì 30 luglio 2013

Essere nessuno

 

EMILY DICKINSON

IO SONO NESSUNO! - TU CHI SEI?

Io sono Nessuno! - Tu chi sei?
Sei Nessuno anche tu? Allora siamo in due!
Non dirlo, potrebbero bandirci,
non lo sai?

Che grande peso essere Qualcuno!
Così volgare! - come una Rana
che gracida il suo nome tutto Giugno
ad un pantano in estasi di lei!

(da Poesie - Traduzione di Silvio Raffo)

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Dal 1861 al 1886 trascorse la vita in autoisolamento nella sua stanza, nella casa di Amherst, nel Massachusetts, una clausura colma di poesie scritte per sé e di lettere freneticamente indirizzate al mondo: Emily Dickinson conosceva bene questo desiderio di annichilirsi, di recludersi in una condizione di anonimato - solo sette delle sue poesie vennero pubblicate mentre era in vita. È una riflessione che tocca anche le nostre esistenze, così spesso date in pasto ai social network, comunicate minuto per minuto via Twitter e Facebook, forse per paura di non essere Qualcuno. E invece ci farebbe bene provare ogni tanto ad essere Nessuno.

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FOTOGRAFIA © LONERWOLF

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LA FRASE DEL GIORNO
Quant’è felice il sassolino / che vaga sulla strada solo solino / e non si preoccupa di carriere / e non ha paura di esigenze.
EMILY DICKINSON, Poesie




Emily Elizabeth Dickinson (Amherst, 10 dicembre 1830 –15 maggio 1886), poetessa statunitense, è considerata tra i migliori lirici del XIX secolo. La sua vita fu priva di eventi esteriori: dopo i trent'anni scelse un volontario isolamento nella casa paterna. La sua poesia spazia dalle piccole cose della vita quotidiana – la natura, le stagioni – ai grandi temi dell’anima innestati sul tema della solitudine.


lunedì 29 luglio 2013

Il tocco dell’amore

 

CONCHA LAGOS

CAMPO APERTO

Amorevolmente ho voltato la testa,
lì, nella mattina di luce e garofani,
con la viva gioia
del viaggiatore che torna al luogo che più ama.

Amorevolmente sugli alti balconi,
nei giardini caldi, con risa di ragazze
che già presagiscono il tocco dell’amore.

Lanciate, lanciate le corde. Domatelo con le briglie.
È l’amore, prendetelo. Non perdete un istante.

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L’amore come un cavallo da catturare e domare è il protagonista di questi versi di Concha Lagos, scrittrice spagnola a tutto campo, autrice di narrativa, poesia, saggistica e teatro. Ed è un invito a coglierlo quando passa, a imbrigliarlo questo amore, a goderlo, per non avere poi rimpianti.

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MARTA GOTTFRIED, “LEPA ZENA”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore è una cinciallegra che vola e non riesci a fermarla, nemmeno a metterle il sale sulla coda.
DACIA MARAINI, Dentro le parole




Concha Lagos, pseudonimo di Concepción Gutiérrez Torrero (Córdoba, 23 gennaio 1907 – Madrid , 6 settembre 2007), poetessa, scrittrice, saggista ed editrice spagnola. La sua opera poetica insiste con parole semplici sul tema esistenziale in cui si intersecano motivi universali: la vita, l'esistenza il tempo, Dio, il ricordo e la nostalgia.


domenica 28 luglio 2013

Piede delicato

 

FRANÇOIS DE SAGON

LODE DEL PIEDE

Piede per fattura comparabile alla mano,
piede fermo e sicuro, in posizione d’onore,
piede lo si osserva prima di coscia e Tettina,
piede sentinella di sera e di mattina,
piede come l’occhio necessario per guidare,
piede così adatto per ben condursi a caccia,
piede dove han dimora grazia e portamento,
piede che natura ha eletto a nostro sostegno,
piede che ci serve per abbattere il muro,
piede disposto a far volare il corpo,
piede cui la mano mostra affezione,
piede dove si fonda la nostra protezione,
piede per dominare il campo in ogni punto,
piede che incrina, spezza e fende il ghiaccio,
piede morto, piede vivo, che danza, che oscilla,
piede che sorregge la figura del portamento,
piede che di molti luoghi può darci l’apertura,
piede persegue l’amorosa avventura,
piede al bisogno si arresta o corre,
piede risoluto a far corte regale,
piede con bravura piroetta, piede cui si affidano gesto e portamento,
piede sostegno del corpo fondamento,
piede grazioso di chi non è tra i forti,
piede ben costante, piede che ci guida all’arca,
piede che accresce il desiderio camminando,
piede onorato da una lunga gamba,
piede decorato da una lunghezza mediana,
piede fatto agile dai nervi, sopra
piede attento a non essere fragile, secco e netto,
piede che sostiene l’arca dello stanzino,
piede delicato, sensitivo e tenero,
piede coi segnali fa intendere amore,
piede sproporzionato per lungo e per traverso,
piede arricchito da cinque dita diverse,
piede innamorato dell’altro senza invidia,
piede che può salvare la vita,
piede misurato, nei suoi passi regolato,
piede che segue l’altro con ordine e a compasso,
piede che senza rimane prigioniero, il corpo
piede di cui hai bisogno ad ogni ora, il corpo
piede di tutte le discordie persegue la pace,
dunque segue l’ordine e il trionfo del corpo, il piede.

(da Lodi del corpo femminile, poeti francesi del Cinquecento tradotti da poeti italiani,  Mondadori, 1984 – Traduzione di Antonio Porta)

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I “Blasons du corp féminin” sono un genere molto particolare, dal sapore petrarchesco, sospeso tra Medioevo e Rinascimento: i poeti, in una sfida lanciata da Clément Marot, si divertivano a raccontare il corpo femminile, decantandone le lodi e la bellezza, dedicandosi ad una singola sua parte e descrivendone particolarità e funzioni in un gioco di metafore. L’oscuro François de Sagon, del quale si sa che visse nel XVI secolo, era un ecclesiastico, curato di Beauvais e acerrimo rivale del ben più talentoso Marot. Nel 1537 pubblicò a Lione il Blason du pied avec les autres blasons anatomiques du corps féminin. Dunque, come si evince, Sagon era attratto principalmente dai piedini, tanto da averli anteposti a qualsiasi altra parte del corpo femminile…

La raccolta, tradotta da poeti italiani, da cui è tratta questa poesia, uscì nel 1984 per Mondadori, ed è ora di nuovo in libreria, edita da SE.

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INNES McDOUGALL, “FEET”

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LA FRASE DEL GIORNO
Piuttosto perdonare un brutto piede che delle brutte calze.
KARL KRAUS, Detti e contraddetti




François de Sagon (Rouen, fine del XV secolo- metà del XVI), prete e poeta francese, famoso per la sua inimicizia con Clément Marot. Gareggiava con successo nei palinodi di Rouen, Dieppe e Caen. Celebre rimane il suo Blason del piede con gli altri blasoni anatomici del corpo femminile.


sabato 27 luglio 2013

Centenario di Sereni

 

Il 27 luglio di cent’anni fa a Luino nasceva Vittorio Sereni, uno dei più grandi poeti del Novecento italiano, scomparso a Milano il 10 febbraio 1983.

Pubblicò a larghi intervalli: Frontiera nel 1941 prima di partire per la guerra in Grecia e quindi per la prigionia in Africa, dove scrisse parte di Diario d’Algeria, uscito nel 1947 con la famosa “Non sa più nulla, è alto sulle ali”. Del 1966 sono Gli strumenti umani, dal linguaggio poetico più informale, più contaminato, così come nell’ultima raccolta, del 1981, Stella variabile, che fa i conti con la delusione della storia, con il male, con il vuoto, allargando la contaminazione tra poesia e prosa. Il suo curatore, Dante Isella, nella prefazione al Meridiano del 1995, ne esalta la fedeltà a “un’idea di poesia sempre nutrita di bellezza”, quella che a Giovanni Raboni fece ravvisare in Sereni un maestro, capace di insegnare ad “allargare i confini di quello che si poteva dire in poesia”, conquistare “la presa dei sentimenti, la compromissione con la realtà”. Sereni affermò una volta “Io in poesia sono per le cose; non mi piace dire io”.  Infatti il suo esito espressivo risulta forte, scarno, senza concessioni all’elegia, con la convinzione che la parola poetica non abbia capacità di salvare ma solo il compito di testimoniare la condizione umana.

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LE MANI

Queste tue mani a difesa di te:
mi fanno sera sul viso.
Quando lente le schiudi, là davanti
la città è quell'arco di fuoco.
Sul sonno futuro
saranno persiane rigate di sole
e avrò perso per sempre
quel sapore di terra e di vento
quando le riprenderai.

(da Frontiera, 1941)

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MA SE TU MANCHI

Troppo il tempo ha tardato
per te d'essere detta
pena degli anni giovani.

Illividiva la città nel vento
o un'iride cadeva nella danza
dei riflessi beati:
eri nel ticchettio meditabondo
d'una sfera al mio polso
tra le pagine sfogliate
una marea di sole,
un'indolenza di sobborghi chiari
presto assunta in un volto
così a fondo scrutato,
ma un occhio lustro ma un tatto febbrile.

Venivano ombre leggere: - che porti
tu, che offri?... - Sorridevo
agli amici, svanivano
essi, svaniva
in tristezza la curva d'un viale.
Dietro ruote fuggite
smorzava i papaveri sui prati
una cinerea estate.

Ma se tu manchi
e anche il cielo è vinto
sono un barlume stento,
una voce superflua nel coro.

(da Diario d’Algeria, 1947)

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APPUNTAMENTO A ORA INSOLITA

La città - mi dico - dove l’ombra
quasi più deliziosa è della luce
come sfavilla tutta nuova al mattino…
“…asciuga il temporale di stanotte” – ride
la mia gioia tornata accanto a me
dopo un breve distacco.
“Asciuga al sole le sue contraddizioni”
- torvo, già sul punto di cedere, ribatto.
Ma la forma l’immagine il sembiante
- d’angelo avrei detto in altri tempi -
risorto accanto a me nella vetrina:
“Caro - mi dileggia apertamente - caro,
con quella faccia di vacanza. E pensi
alla città socialista?”
Ha vinto. E già mi sciolgo: “Non
arriverò a vederla” le rispondo.
(Non saremo
più insieme dovrei dire). “Ma è giusto,
fai bene a non badarmi se dico queste cose,
se le dico per odio di qualcuno
o rabbia per qualcosa. Ma credi all’altra
cosa che si fa strada in me di tanto in tanto
che in sé le altre include e le fa splendide,
rara come questa mattina di settembre…
giusto di te fra me e me parlavo:
della gioia”.
Mi prende sottobraccio.
“Non è vero che è rara, – mi correggo - c’è,
la si porta come una ferita
per le strade abbaglianti. È
quest’ora di settembre in me repressa
per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo
celava sotto i panni e il fianco gli straziava,
un’arma che si reca con abuso, fuori
dal breve sogno di una vacanza.
Potrei
con questa uccidere, con la sola gioia…”
Ma dove sei, dove ti sei mai persa ?
“È a questo che penso se qualcuno
mi parla di rivoluzione”
dico alla vetrina ritornata deserta.

(da Gli strumenti umani, 1966)

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FISSITÀ

Da me a quell'ombra in bilico tra fiume e mare
solo una striscia di esistenza
in controluce dalla foce.
Quell'uomo.
Rammenda reti, ritinteggia uno scafo.
Cose che io non so fare. Nominarle appena.
Da me a lui nient'altro: una fissità.
Ogni eccedenza andata altrove. O spenta.

(da Stella variabile, 1981)

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Altre poesie di Vittorio Sereni sul Canto delle Sirene:

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LA FRASE DEL GIORNO
Che aspetto io qui girandomi per casa, / che s'alzi un qualche vento / di novità a muovermi la penna / e m'apra una speranza.
VITTORIO SERENI, Gli strumenti umani




Vittorio Sereni (Luino, 27 luglio 1913 – Milano, 10 febbraio 1983), poeta italiano, è il capostipite della variante lombarda del novecentismo poetico, detto “Linea lombarda”. Ufficiale di fanteria, viene fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943. Nel dopoguerra è direttore letterario di Mondadori e cura la prima edizione dei Meridiani.


venerdì 26 luglio 2013

Problema d’amore

 

ULALUME GONZÁLEZ DE LEÓN

PROBLEMA

Calcolare
(dato il prodotto della moltiplicazione delle carezze
il numero di battiti d’ala al secondo con cui la passione
compensa il peso dei corpi
la velocità acquisita al pensarci
la resistenza dell’aria a tutti i nostri tentativi di volare
l’intervallo ammissibile tra la temperatura massima e la
temperatura minima del desiderio
le intermittenze con cui costruiamo la nostra continuità
il margine di errore tollerabile per un ingresso simultaneo
nell’oblio che sai
le probabilità di recidiva dovuta a difetto di ricordo
la maggiore o minore necessità di un dessert metafisico al
banchetto carnivoro
la percentuale di limature trucioli scaglie che possono essere
riciclati sul posto
e la forza di gravità di ogni allegria
e la curva asintotica al più stellato soffitto)
la condizione necessaria e sufficiente di questo amore.

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Amore e matematica sembrano non andare d’accordo. La passione un poco folle e l’esattezza dei numeri. Così la precisione della fisica e l’imprevedibile traiettoria del cuore. Eppure Ulalume González de León, poetessa messicana sembra riuscire nell’impressa di ordinare in schemi quello che può costituire un amore – e prima ancora costruirlo: e sono carezze e baci, passione e desiderio, la necessità di elevarci come se potessimo volare grazie al sentimento, l’oblio, il ricordo, l’allontanarsi e l’avvicinarsi. Il teorema è questo… Ma possiamo dimostrarlo?

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FOTOGRAFIA © CAROL CLARK

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LA FRASE DEL GIORNO
L'Amore è tutto/ è tutto ciò che sappiamo dell'Amore.

EMILY DICKINSON, Poesie




Ulalume Ibáñez Iglesias, nota come Ulalume González de León (Montevideo, 20 settembre 1932 – Querétaro, Messico, 17 luglio 2009), poetessa, traduttrice, saggista e editrice messicana di natali uruguaiani. La sua poetica parte dall’assunto che tutto è stato detto e la poesia altro non è che un plagio: il vero soggetto è la memoria e il corpo altro non è che cellula della memoria.

giovedì 25 luglio 2013

A nera, E bianca, I rossa

 

ARTHUR RIMBAUD

VOCALI

A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
io dirò un giorno le vostre segrete origini:
A nero, corsetto villoso delle mosche lucenti
che ronzano intorno a crudeli fetori,

golfi d'ombra; E, candori di vapori e di tende,
lance di fieri ghiacciai, bianchi re, brividi d’umbelle;
I, porpora, sputo di sangue, riso di belle labbra
nella collera o nelle ebrezze penitenti;

U, cicli, fremiti divini di mari verdi,
pace dei pascoli disseminati di animali, pace delle rughe
che l’alchimia scava nelle ampie fronti studiose;

O, Tromba suprema piena di stridori strani,
silenzi solcati dai Pianeti e dagli Angeli:
- O l’Omega e il raggio violetto dei Suoi Occhi!

(da Opere, 1898 - Traduzione di Laura Mazza)

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La sinestesia è una figura retorica che fonde parole che si riferiscono a differenti sfere sensoriali: ed è proprio la base di questa poesia di Arthur Rimbaud. Il poeta francese associa sensazioni per raccontare che cosa gli comunicano i segni grafici delle cinque vocali, ricordando probabilmente l’abbecedario con cui da bambino aveva imparato a leggere. Sono colori, odori, profumi, atmosfere che non si possono spiegare: sono nella sua mente e rappresentano bene quel senso di magico che Rimbaud assegnava alla poesia. Una chiave di lettura fantastica che apre la via alle praterie del Simbolismo, al superamento semantico delle parole per attingere al loro valore più puramente cromatico e fonetico.

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MIKE PERRY, “AEIOU”

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LA FRASE DEL GIORNO
I profumi e i colori / e i suoni si rispondono come echi / lunghi che di lontano si confondono / in unità profonda e tenebrosa, / vasta come la notte ed il chiarore.
CHARLES BAUDELAIRE, I fiori del male




Jean Nicolas Arthur Rimbaud (Charleville, 20 ottobre 1854 – Marsiglia, 10 novembre 1891), poeta francese. Con Baudelaire e de Nerval ha più contribuito alla trasformazione del linguaggio della poesia moderna. L'opera di Rimbaud comincia con versi legati per arrivare al verso libero e alla poesia in prosa che diventa lirica e attinge alla libertà dell'immaginario, ai sensi, alla visione irreale.



mercoledì 24 luglio 2013

Nel sogno

 

ANTONIO MACHADO

DALL'USCIO DI UN SOGNO MI CHIAMARONO

Dall’uscio di un sogno mi chiamarono...
Era la buona voce, amata voce.
- Dimmi: verrai a veder l’anima con me?...
Giunse al mio cuore una carezza.

- Sempre con te... Ed avanzai nel sogno
per una lunga e nuda galleria
sentendo il tocco della veste pura
e il pulsar dolce della mano amica.

(da Soledades, 1903 - Traduzione di Claudio Rendina)

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È una sorta di Beatrice dantesca la figura che Antonio Machado tratteggia in questi versi che descrivono un sogno: è la donna che incarna l’amore puro e che fa da guida nel passaggio alla vita - quella galleria percorsa insieme richiama infine il nascere - al rapporto con l'Altro, all’emergere da quella solitudine di poeta per ricercare nell’amore l’essenza dell’anima.

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EDWARD ROBERT HUGHES, “THE VALKYRIE’S VIGIL”

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LA FRASE DEL GIORNO
La mano, a volte, in sogno, / di chi semina stelle, / echeggiò musica dimenticata.
ANTONIO MACHADO, Soledades




Antonio Cipriano José María y Francisco de Santa Ana Machado Ruiz (Siviglia, 26 luglio 1875 – Collioure, 22 febbraio 1939), poeta e scrittore spagnolo. Dall’iniziale modernismo caratterizzato da una propensione all'introspezione intimista, passò a lasciare maggiore spazio a temi legati alla terra e alla tradizione spagnola, con una sottile vena malinconica.



martedì 23 luglio 2013

Come nella memoria

 

GIORGIO CAPRONI

DIETRO I VETRI

A riva del tuo balcone
arioso, dai grezzi colori
degli orti già in fioritura
di menta, estate ansiosa
come una febbre sale
al tuo viso, e lo brucia
col fuoco dei suoi gerani.

Col gesto delle tue mani
solito, tu chiudi. Dietro
i vetri, nello specchiato
cielo coi suoi rondoni
più fioco,
da me segreta ormai
silenziosa t’appanni
come nella memoria.

(da Come un’allegoria, 1936)

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Una donna che si ritira dal balcone fiorito e chiude la finestra per lasciare fuori la calura estiva. I vetri di quella finestra ora accolgono il cielo riflesso e nello stesso tempo sfuocano il viso della donna, lo rendono più fioco, un’ombra eterea. Né più né meno di quello che accade nella nostra memoria, dice Giorgio Caproni: “Un brusio / di voci afone, quasi / foglie controfiato / dietro i vetri. / Foglie / che solo il cuore vede / e cui la mente non crede”.

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Finestra

ELABORAZIONE GRAFICA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
La memoria: specchio in cui guardiamo gli assenti.
ANTONIO CASTRONUOVO, Se mi guardo di fuori




Giorgio Caproni (Livorno, 7 gennaio 1912 – Roma, 22 gennaio 1990), poeta, critico letterario e traduttore italiano. Partito come preermetico attirato da uno scabro espressionismo, approdò a un ermetismo rivestito di un impressionismo idillico. Nella sua poesia canta soprattutto temi ricorrenti (Genova, la madre e Livorno, il viaggio, il linguaggio), unendo raffinata perizia metrico-stilistica a immediatezza e chiarezza di sentimento.


lunedì 22 luglio 2013

La stagione dorata

 

DYLAN THOMAS

DISTESI SULLA SABBIA

Distesi sulla sabbia, l’occhio al giallo
E al grave mare, beffiamo chi deride
Chi segue i rossi fiumi, scava
Alcove di parole da un’ombra di cicala,
Ché in questa tomba gialla di rena e di mare
Un appello al colore fischia nel vento
Allegro e grave come la tomba e il mare
Che dormono ai due lati.
I silenzi lunari, la marea silenziosa
Che lambisce i canali stagnanti, l’arida padrona
Della marea increspata fra deserto e burrasca
Dovrebbero curarci dai malanni dell’acqua
Con una calma d’un unico colore.
La musica del cielo sopra la rena
Risuona in ogni granello che s’affretta
A coprire i castelli e i monti dorati
Della grave, allegra, terra in riva al mare.
Fasciati da un nastro sovrano, sdraiati,
Guardando il giallo, facciamo voti che il vento
Spazzi gli strati della spiaggia e affoghi
La roccia rossa; ma i voti sono sterili, né noi
Possiamo opporci alla venuta della roccia,
E dunque giaci guardando il giallo, o sangue
Del mio cuore, finché la stagione dorata
Non vada in pezzi come un cuore e un colle.

(da Il mondo che respiro, 1939)

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È un paesaggio idealizzato questo che descrive il poeta gallese Dylan Thomas: pur essendo il mare che fronteggia la casa di Lougharne, da lui chiamata Boathouse, dove si è trasferito dopo il matrimonio con Caitlin, è una visione che si allarga da quel capanno verde sulla spiaggia dove scrive in solitudine per comprendervi l’animo stesso e le sue inquietudini: “Il mio metodo dialettico, così come io lo intendo, è un costante ergersi e crollare delle immagini che si sprigionano dal germe centrale, che è esso stesso distruttivo e costruttivo allo stesso tempo… Dall’inevitabile conflitto delle immagini cerco di concludere quella pace momentanea che è la poesia”.

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Boathouse

LYNN BLAKE-JOHN, “DYLAN THOMAS BOATHOUSE II”

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LA FRASE DEL GIORNO
La mia poesia è, o dovrebbe essermi, utile per una sola ragione: è il resoconto del mio sforzo individuale per passare dall'oscurità a una qualche misura di luce.
DYLAN THOMAS, Lettere




Dylan Marlais Thomas (Swansea, 27 ottobre 1914 – New York, 9 novembre 1953), poeta gallese. Surrealismo, simbolismo, neoromanticismo, modernismo risultano variegati nel suo corpus poetico senza però risaltare in quel suo modo di scrivere oscuro in cui morte, natura e amore si mescolano in un gioco di analogie e associazioni talora labirintiche e apertamente visionarie.


domenica 21 luglio 2013

Un cuore per il futuro

 

SEMËN KIRSANOV

IL NUOVO CUORE

Ho da fare!
sto fabbricando
          un modello, di cuore
                             interamente
                                          nuovo!

Un cuore
         per il futuro: con cui sentire
                               e amare. Un cuore
                                              con cui capire gli uomini

e anche in grado di dirmi a chi
        io possa liberamente
                         stringere la mano -
e a chi
   non dovrei tenderla
                             mai.

(da City Lights Pocket Poets Anthology, Mondadori, 1997 -Traduzione di Massimo Bocchiola)

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Avere un cuore nuovo, che abbia il callo contro le sofferenze che ci infliggono gli altri, contro i dolori che lo lacerano e lo fanno sanguinare, contro le cattiverie, le delusioni, le crudeltà, gli abbandoni... A costruirlo è il poeta russo Semën Kirsanov, ma ci aveva pensato già Federico Garcia Lorca: “Il mio cuore, come una serpe / si è sfilato la pelle di dosso / e la guardo qui tra le mie dita / piena di ferite e miele”.

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DEBORAH SCHENCK, “HEART STONES WITH LEAF”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non c'è quantità di fuoco o di gelo che possa sfidare ciò che un uomo può accumulare tra i fantasmi del suo cuore.
FRANCIS SCOTT FITZGERALD, Il grande Gatsby




Semën Isaakovich Kirsanov, pseudonimo di Semën Isaakovich Kortchik (Odessa, 5 settembre  1906 - Mosca, 10 dicembre 1972), poeta e giornalista russo. Allievo di Majakovskij, fu  uno degli ultimi futuristi ed è considerato il creatore della prosa in rima nella letteratura russa. Negli anni '30 fu ripetutamente accusato dai critici di formalismo. 


sabato 20 luglio 2013

Come specchio

 

BIJAN JALALI

LE RADICI DELLA POESIA

Dico
di quel che vedo
e ciò che vedo
come acqua scorre
nella mia poesia

*

Non so
se il mondo
si cela dietro il nome
o appare col suo nome

*

Come specchio
osservo
e l’immagine del mondo
ripeto
per il mondo.

(da Poesia, n. 273, Luglio-Agosto 2012 - Traduzione di Chiara Riccarand)

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Che cos’è la poesia? E chi è il poeta? Questa è la risposta che dà l’iraniano Bijan Jalali. Il poeta è un osservatore del mondo, al quale la realtà si rivela nel suo vero aspetto: il suo ruolo è dunque quello di diffondere questa immagine, di divenire messaggero di questa realtà appresa nel sogno come si coglie per un istante l’acqua di un fiume che scorre.

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ALFRED GOCKEL, “MIRROR IMAGE II”

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LA FRASE DEL GIORNO
Scrivo di un attimo / che attimo non è / ma eterno bagliore / di stella.
BIJAN JALALI




Bijan Jalali (Teheran, 30 novembre 1927 - 24 gennaio 2000), poeta iraniano. Conosciuto per la semplicità e le immagini della sua espressione poetica, che riflette su concetti umani profondi, in particolare il concetto di morte e del nulla. Tra le sue opere: Il colore dell'acqua, I giorni, Diari, Il nostro cuore e il mondo, Giochi di luce e L'acqua e il sole.


venerdì 19 luglio 2013

Un ventaglio

 

MANUEL GUTIÉRREZ NÁJERA

SU UN VENTAGLIO

Povero verso condannato
a guardare le tue labbra rosse
e nella fiamma dei tuoi occhi
desiderare di bruciarsi.

Colibrì che si allontana
dal mirto che lo sostiene
e vede da vicino la tua bocca
e non la può baciare.

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Poesia di maniera, tipicamente ottocentesca, questa di Manuel Gutiérrez Nájera, scrittore modernista messicano: vediamo prendere vita romanticamente quel ventaglio descritto, sfiorare le labbra della donna amata e non riuscire mai ad appagare il desiderio, così come i versi del poeta.

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GIOVANNI COSTA, “IL VENTAGLIO NUOVO”

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LA FRASE DEL GIORNO
È nella natura del desiderio di non poter essere soddisfatto, e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo
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ARISTOTELE, Politica




Manuel Gutiérrez Nájera (Città del Messico, 22 dicembre 1859 – 3 febbraio 1895),  poeta e scrittore modernista messicano. Se l'ispirazione narrativa evidenzia, talvolta, influenze francesi e inglesi, lo stile e il linguaggio si rivelano completamente inediti ed innovativi, per di più moderati da grande sicurezza e maturità. Le poesie vennero incluse in un'opera omnia postuma: Poesie, 1896.

giovedì 18 luglio 2013

Autoritratto di Anna Achmatova

 

ANNA ACHMATOVA

HO IMPARATO A VIVERE CON SEMPLICITÀ

Ho imparato a vivere con semplicità, saggezza,
A guardare il cielo e pregare il Signore,
E prima di sera vagare lungamente
Per stancare un’inutile angoscia.

Quando fruscia nel burrone la bardana
E il grappolo del sorbo giallo-rosso appassisce,
Compongo versi pieni di gaiezza
Sulla vita caduca, caduca e bella.

Ritorno. Mi lecca la mano un piumoso
Gattino, fa le fusa più lusinghevole,
E un lume vivo si accende
Sulla torretta alla segheria del lago.

Solo di rado rompe la quiete il grido
Della cicogna che si posa sul tetto.
- E se tu picchi allora alla mia porta,
Mi pare che nemmeno potrò udire.

(da Rosario, 1914 - Traduzione di Bruno Carnevali e Paolo Galvagni)

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Traccia il suo autoritratto in questi versi la poetessa russa Anna Achmatova, una vita ansiosa, con il respiro affannoso e la stesura di poesie delicate e intime, in grado di scavare dentro di sé e dentro il miracoloso prodigio della natura e delle cose. È una Achmatova giovane, poco più che ventenne, da poco sposa e ancora scevra dalle tragedie che la colpiranno per mano del regime bolscevico. Eppure, in quell’angoscia c’è già il presagio di tutto quello che avverrà e che lei affronterà con insospettabile forza.

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Achmatova

NATHAN ALTMAN, “RITRATTO DI ANNA ACHMATOVA”, 1914

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LA FRASE DEL GIORNO
Perdona se son vissuta affliggendomi, / e il sole poco m’ha allietata. / Perdona, perdona se molti / ho scambiato per te.

ANNA ACHMATOVA, Luna allo zenit e altre poesie




Anna Andreevna Achmatova, pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko (Bol'soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966), poetessa russa. Fu osteggiata dal regime sovietico per il suo “estetismo” e per il “disimpegno" politico”. La sua poesia spesso scarna, libera dalle analogie simboliche, scolpita fino all'osso, si veste di un’ironia e di una malinconia che sconfinano nel disincanto.


mercoledì 17 luglio 2013

La silenziosa

 

GUIDO GOZZANO

IL GIOCO DEL SILENZIO

Non so se veramente fu vissuto
quel giorno della prima primavera.
Ricordo − o sogno? − un prato di velluto,
ricordo − o sogno? − un cielo che s'annera,
e il tuo sgomento e i lampi e la bufera
livida sul paese sconosciuto...

Poi la cascina rustica del colle
e la corsa e le grida e la massaia
e il rifugio notturno e l'ora folle
e te giuliva come una crestaia,   
e l'aurora ed i canti in mezzo all'aia
e il ritorno in un velo di corolle...

− Parla! − Salivi per la bella strada
primaverile, tra pescheti rosa,
mandorli bianchi, molli di rugiada...
− Parla! − Tacevi, rigida pensosa
della cosa carpita, della cosa
che accade e non si sa mai come accada...

− Parla! − seguivo l'odorosa traccia
della tua gonna... Tuttavia rivedo   
quel tuo sottile corpo di cinedo,
quella tua muta corrugata faccia
che par sogni l'inganno od il congedo
e che piacere a me par che le spiaccia...

E ancora mi negasti la tua voce
in treno. Supplicai, chino rimasi
su te, nel rombo ritmico e veloce...
Ti scossi, ti parlai con rudi frasi,
ti feci male, ti percossi quasi,
e ancora mi negasti la tua voce.   

Giocosa amica, il Tempo vola, invola
ogni promessa. Dissipò coi baci
le tue parole tenere fugaci...
Non quel silenzio. Nel ricordo, sola
restò la bocca che non dié parola,
la bocca che tacendo disse: Taci!... 
 

(da I colloqui, 1911)

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Una fantasia questa di Guido Gozzano al limite del “falso ricordo”, a ricreare una di quelle figure di donna che costellano la sua vita e la sua esistenza poetica, quelle donne che il poeta avrebbe potuto “amare d’amore” ma che la sua aridità di sentimento ha confinato nel sogno crepuscolare, come questa silenziosa ragazza smilza e mascolina con la quale il poeta è sorpreso da un temporale in campagna e con cui divide una notte d’amore nel rifugio di una cascina. Poi, la donna, tornando in treno, non rivolge più la parola al povero Guido in una sorta di gioco amoroso – o forse, è lo stesso Gozzano a suggerire l’idea, nulla veramente è accaduto o ancora gli avvenimenti si sono intrecciati nella memoria con il filo dei sogni e dei desideri…

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Signorini

TELEMACO SIGNORINI, “SULLE COLLINE A SETTIGNANO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Che musica il silenzio!
JEAN ANOUILH, Il direttore dell’Opera




Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – 9 agosto 1916),   poeta italiano, fu il capostipite della corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Inizialmente si dedicò alla poesia nell'emulazione di D'Annunzio e del suo mito del dandy. Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti, accomunati dall'attenzione per "le buone cose di pessimo gusto". Morì di tisi a 32 anni.


martedì 16 luglio 2013

La vita, di fuori

 

SANDRO PENNA

DONNA IN TRAM

Vuoi baciare il tuo bimbo che non vuole:
ama guardare la vita, di fuori.
Tu sei delusa allora, ma sorridi:
non è l’angoscia della gelosia
anche se già somiglia egli all’altr’uomo
che per «guardare la vita, di fuori»
ti ha lasciata così…

(da Croce e delizia, Longanesi, 1958)

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Sandro Penna è un osservatore: le sue poesie sono quelle di chi segue la scena come spettatore, la cui partecipazione però non è puramente passiva ma emozionale, capace di cogliere l’elemento che le fonda con una lucidità nitidissima. Così è in questa scenetta osservata su un tram romano: una giovane madre che vuole baciare il suo bambino, il quale invece si schermisce, attratto piuttosto dal paesaggio dietro il finestrino, replicando così inconsciamente il comportamento del padre, che se n’è andato, abbandonandoli.

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FRIDA KAHLO, “L’AUTOBUS”

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LA FRASE DEL GIORNO
La vita non si spiega; si vive.
LUIGI PIRANDELLO, I quaderni di Serafino Gubbio operatore




Sandro Penna (Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977), poeta italiano. Con toni epigrammatici, le sue poesie esprimono spesso un’intenso desiderio sensoriale di vita talora malinconico e cantano l’amore omosessuale (“Poeta esclusivo d’amore”, si definì egli stesso).


lunedì 15 luglio 2013

Un albero è il bosco

 

ROBERTO JUARROZ

DECIMA POESIA VERTICALE, 71

Un albero è il bosco.
Sdraiarsi sotto le sue fronde
è ascoltare ogni suono,
conoscere ogni vento
dell’inverno e dell’estate,
accogliere tutta l’ombra del mondo.

Indugiare sotto i suoi rami nudi
è recitare tutte le preghiere possibili,
tacere tutti i silenzi,
provare pietà per tutti gli uccelli.

Sostare davanti al suo tronco
è elevare ogni meditazione,
riunire ogni distacco,
indovinare il calore di ogni nido,
accomunare la solidità di ogni riparo.

Un albero è il bosco.
Ma per questo bisogna
che un uomo sia tutti gli uomini.
O nessuno.

(da Decima poesia verticale, 1987)

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La condivisione, la compartecipazione, la compassione nel suo senso etimologico, quello del “soffrire con”: Roberto Juarroz, poeta argentino utilizza questa bella similitudine del bosco per definire il consesso umano. E, nella arcana e misteriosa atmosfera che si respira in un bosco, dove è possibile meditare – pregare inconsciamente – e acuire i propri sensi nella solitudine, l’idea dell’Altro non è più così lontana come può esserlo nel cuore di una grande città o nella babele degli uffici.

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FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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LA FRASE DEL GIORNO
Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.
BERNARDO DI CHIARAVALLE, Lettere




Roberto Juarroz (Coronel Dorrego, 5 ottobre 1925 – Buenos Aires, 31 marzo 1995), poeta, saggista e bibliotecario argentino. La sua opera, salvo le prime Sei poesie scelte del 1960 è riunita con il titolo unico di Poesia verticale. Varia solo il numero d'ordine, da raccolta a raccolta, fino alla quattordicesima, uscita postuma nel 1997.


domenica 14 luglio 2013

Perfino le poesie

 

BORIS RYŽIJ

NON HO CAMMINATO NEI TUOI SOGNI

Non ho camminato nei tuoi sogni,
né mi sono mostrato in mezzo alla folla,
non sono apparso nel cortile
dove pioveva o meglio cominciava
a piovere (questo verso
lo cancello e non lo sostituirò),
era allettante credere, come uno stupido,
che ti avrei incontrato presto,
eri tu che mi apparivi in sogno
(e mi prendeva una dolce tenerezza),
mi sistemavi i capelli sulle tempie.
Quell'autunno perfino le poesie
in parte mi riuscivano bene
(però mancava sempre un verso o una rima
per essere felice).

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Un poeta graziosamente fuori dal suo tempo il russo Boris Ryžij: a leggere questi versi non sembra di essere sul finire dello scorso millennio ma più indietro, ai tempi di Osip Mandel’stam o di Sergej Esenin, l’epoca d’oro della poesia russa. Siamo invece nella Russia di Eltsin e di Putin: e il povero Boris, oppresso dalla depressione e dallo smodato uso di stupefacenti e di alcol, a 26 anni si uccide, convinto così di ottenere la fama che non gli arride, come capitò post mortem al suo idolo Esenin.

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JAY FANCHER, “HAND IN RAIN”

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LA FRASE DEL GIORNO
Tu fratellino, per natura, sei un poeta. / Tutto questo è accaduto a te / Per il tuo racconto prezzo non c’è
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BORIS RYŽIJ




Boris Borisovič Ryžij (Čeljabinsk, 8 settembre 1974 – Ekaterinburg, 7 maggio 2001), poeta russo. La sua poesia è fortemente influenzata dal contesto culturale in cui è nato e cresciuto: un contesto criminale, che nei suoi versi sfocia sia in una sincera pietà che in un sentimento di parentela. 



sabato 13 luglio 2013

Intruso alla festa popolare

 

GHIANNIS RITSOS

L’INTRUSO

Festeggiano i giardini meridiani
con gli asciugamani da bagno colorati stesi
sulle siepi fiorite, sotto le cicale, sottintendendo
bei corpi nudi, giovani, abbronzati
con granelli di sale scintillanti. Ma tu
senti che non sei invitato
a questa festa popolare. E aspetti la sera tutto solo
caso mai le stelle proseguano con segnali segreti
quella tua appartata cerimonia religiosa.

Karlòvasi, 2.VII.87

(da Molto tardi nella notte, 1991 - Traduzione di Nicola Crocetti)

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La rivista “Poesia” nel numero più recente in edicola, il 284 datato luglio e agosto, dedica un articolo all’ultima raccolta scritta dal poeta greco Ghiannis Ritsos, Molto tardi nella notte. È una rinnovata presa di coscienza della “notte” che non tarderà ad arrivare, quella “notte eterna” paventata anche dal giovane Catullo nel Carme V. Sono metafore di partenze, piccole nostalgie come gli asciugamani da bagno stesi nei giardini dei villaggi greci, le spiagge che si dovranno abbandonare, i piccoli addii di chi se ne va come quando si lascia la casa delle vacanze.

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KRISTIN STASHENKO, “BEACH TOWELS”

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LA FRASE DEL GIORNO
So / che da qualche parte, al mio posto vuoto, è rimasto / un uccello timido che canta instancabilmente / il canto immortale della nostra mortalità.
GHIANNIS RITSOS, Molto tardi nella notte




Ghiannis Ritsos (Monemvasia, 1º maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990), poeta greco tra i maggiori del XX secolo. Fu candidato nove volte al Premio Nobel. La sua vita fu animata da un'incrollabile fede negli ideali marxisti e nelle virtù catartiche della poesia.



venerdì 12 luglio 2013

Che cosa resta di quei giorni?

 

ÁNGEL GONZÁLEZ

LE CENERI DI UN SOGNO

Quel tempo                                
non lo facemmo noi;   
fu esso a disfarci.   
Guardo indietro.   
Che cosa resta   
di quei giorni?   
Rovine,   
vita bruciata,   
nulla.   
Storia: scoria.

(da Prosemi o meno, 1984)

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È una ben amara poesia questa dello spagnolo Ángel González, riflessione sullo scorrere del tempo e su quello che ci lasciamo dietro – i ricordi, queste ombre troppo lunghe / del nostro breve corpo, / questo strascico di morte / che noi lasciamo vivendo” per dirla con Vincenzo Cardarelli. Il tempo vince, è naturale e lo sappiamo tutti: vince sull’amore, vince sull’odio, vince sulla vita. E, come da titolo, brucia i sogni. Anche se essere nihilisti come il González di questi versi forse non paga…

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THOMAS McCOY, “PERSEVERING THE PAST”

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LA FRASE DEL GIORNO
Ognuno è fatalmente legato al passato dalla memoria delle cose, delle piccole cose che sono come molecole di noi stessi
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CARLO MARIA FRANZERO, Il fanciullo meraviglioso




Ángel González Muñiz (Oviedo, 6 settembre 1925 – Madrid, 12  gennaio 2008), poeta spagnolo della Generazione del ‘50. Premio Principe delle Asturie nel 1985 e Premio Regina Sofia nel 1996. La sua opera mescola intimismo e poesia sociale con un tocco ironico. Il passare del tempo, l’amore e la civilizzazione sono i suoi temi ricorrenti, giocati su toni di un’ottimistica malinconia.


giovedì 11 luglio 2013

La dolcezza del mondo

 

DIEGO VALERI

ANACREONTICA

Splende la prugna dentro la frasca,
e l’aurora sopra il monte.
La ragazza ha le braccia bionde
immerse nel cielo della vasca.

L’albero bruno è una gallina
che si gonfia con tutte le penne.
La ragazza i panni distende,
scopre il petto quando si china.

Il monte è un pane sfornato or ora,
caldo, odoroso di grano e sale.
La ragazza si toglie il grembiale,
ed è tutta color dell’aurora.

C’è qualcuno che ride piano:
forse è il ruscello, forse son io.
Essa fugge, e mi dice addio
agitando la piccola mano.

Povero vecchio vagabondo,
scuoto il ramo, la prugna raccatto;
mordo, e mi sento nel sangue matto
tutta entrar la dolcezza del mondo.

(da Terzo tempo, Mondadori, 1950)

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Una ragazza di campagna, che stende i panni e si lava ad uno di quegli antichi lavatoi che sono ormai scomparsi e rimangono come testimonianza di un passato perduto nell’arredo urbano dei paesi di provincia. Diego Valeri, il “vecchio vagabondo” che la sorprende in un’alba d’estate, pesca a piene mani il ricordo di Anacreonte, l’autore greco del VI secolo avanti Cristo: è la stessa tristezza di vecchio, la stessa consapevolezza dell’invincibilità del tempo e dell’amore; Valeri ci aggiunge il suo marchio di fabbrica: la fusione tra paesaggio e sentimento.

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CAMILLE PISSARRO, “JEUNE FILLE SE LAVANT LES PIEDS”

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LA FRASE DEL GIORNO
Vecchiaia. È quel momento della vita in cui si chiude un occhio sui vizi che ci si può ancora concedere e si scagliano fulmini su quelli che non si è più in grado di commettere.
AMBROSE BIERCE, Dizionario del diavolo




Diego Valeri (Piove di Sacco, 25 gennaio 1887 – Roma, 27 novembre 1976), poeta, traduttore e accademico italiano, fu ordinario di Letteratura Francese all’Università di Padova per oltre vent’anni, tranne nel periodo 1943-45 quando riparò in Svizzera come rifugiato politico.


mercoledì 10 luglio 2013

Mille baci e ancora cento

 

CATULLO

CARME 5

Godiamoci la vita, mia Lesbia, l'amore,
e il mormorio dei vecchi inaciditi
consideriamolo un soldo bucato.
I giorni che muoiono possono tornare,
ma se questa nostra breve luce muore
noi dormiremo un'unica notte senza fine.
Dammi mille baci e ancora cento,
dammene altri mille e ancora cento,
sempre, sempre mille e ancora cento.
E quando alla fine saranno migliaia
per scordare tutto ne imbroglieremo il conto,
perché nessuno possa stringere in malie
un numero di baci così grande

 

CARME 7

Mi chiedi con quanti baci, Lesbia,
tu possa giungere a saziarmi:
quanti sono i granelli di sabbia
che a Cirene assediano i filari di silfio
tra l'oracolo arroventato di Giove
e l'urna sacra dell'antico Batto,
o quante, nel silenzio della notte, le stelle
che vegliano i nostri amori furtivi.
Se tu mi baci con così tanti baci
che i curiosi non possano contarli
o le malelingue gettarvi una malia,
allora si placherà il delirio di Catullo.

(da Carmina – Traduzione di Mario Ramous)

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Queste poesie di Catullo si fondono l’una nell’altra. In effetti il Carme 7 sembra un po’ una variazione sul tema del 5: in quello c’è l’esortazione al godimento, in una sorta di premonizione del “Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia! / Chi vuol esser lieto, sia: /del doman non v’è certezza” del Rinascimento di Lorenzo il Magnifico e del “Gaudeamus igitur, iuvenes dum sumus” dei goliardi. Nel Carme 7 invece Catullo introduce la bella immagine dei granelli di sabbia – la spiaggia libica di Cirene, colonia greca divenuta pochi anni prima provincia romana. I baci dati a migliaia del Carme 5 non hanno più neppure bisogno di essere scompigliati, essendo ormai diventati miliardi e quindi neppure più numerabili. È un’immagine che Catullo apprezza molto, questa dei granelli, tanto che la riproporrà nell’imeneo del carme 61, canto dedicato a due sposi novelli: “Si provi a sommare i granelli / di sabbia nei deserti d'Africa, / le stelle che brillano in cielo, / chi vuol contare i vostri mille e / mille giochi d'amore”.

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AUGUSTE RODIN, “IL BACIO”, PARTICOLARE

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LA FRASE DEL GIORNO
I baci non sono anticipo d'altre tenerezze, sono il punto più alto
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ERRI DE LUCA, Il contrario di uno




Gaio Valerio Catullo (Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.), poeta romano. È noto per l'intensità delle passioni amorose espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo Catulli Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e degli Alessandrini in generale.