NELSON CENCI
A UN AMICO LASCIATO SUL DON
Non ti ritrovai oltre il fiume
di ghiaccio e di morte,
quella notte di luna,
senza voce di vento
ma con parlare sommesso
tra gli aridi cespugli
ad attendere ombre
per un cammino di speranza.
Non ti vidi sulle piste segnate da croci
nel fragore d'armi e di grida,
dove tempo non v'era
per la pietà e il dolore.
Di questi lontani giorni
perduta è in altri ogni memoria
e sepolte sono le remote ansie.
Ma in questo mutare di cieli
io ascolto il buio
con stelle d'inverno a segnare le notti
e nei sogni dell'alba,
in questi risvegli di sole,
dopo lunghi silenzi ora ti ritrovo nel nostro verde vivere.
Non con la pioggia che batte sui vetri
lacrime di addio
ma con l'azzurro di giovani vite
a salutare il giorno.
Non più mani gonfie di gelo,
volto scavato di fame,
occhi perduti nel vuoto.
Non più scarponi di ghiaccio
a trascinare per strade di neve
il grande desiderio di morte
con l'acuto ricordo di giovani vite
perdute a rattristare il cuore.
Anche se il tempo oscura i ricordi
e qualcosa ogni giorno muore,
sotto queste foglie d'autunno
che coprono nella scavata terra
profumo di nuova erba e di fiori,
sempre viva resta la memoria
di Voi che abitate le notti.
(da Il passato che torna, 2001)
.
Il 26 gennaio 1943 si combatteva a Nikolajewka la sanguinosa battaglia con cui gli italiani – tecnicamente invasori a fianco dell’esercito tedesco – dopo un’epica marcia di due settimane con temperature intorno ai 30° sotto zero dal Don verso le retrovie di Rossosch -riuscirono a sfondare l’accerchiamento sovietico e a uscire dalla sacca per poter finalmente tornare in patria.
Così raccontava Giulio Bedeschi in Centomila gavette di ghiaccio, un libro che può essere considerato, come Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, l’Anabasi di quella ritirata, di quella sconfitta miracolosamente trasformata in vittoria: “Un uomo, un solo uomo sommò nell'animo la disperata angoscia di tutti, vedendo i suoi alpini retrocedere combattendo sulla neve; i suoi alpini, poiché egli era il generale Reverberi comandante la Tridentina; e dalla somma di dolore gli scaturì dall'anima un gesto ed un grido. Fu una cosa semplice, ma condotta a cavalcioni della morte. Esisteva ancora un rugginoso carro blindato germanico in grado di rotolare i suoi cingoli sulla neve grazie a pochi litri di carburante residuo; su quello il generale si slanciò, salì ritto sul tetto, diede un secco ordine al guidatore, il carro si mosse avanzando verso i battaglioni in ripiegamento e verso il nemico. — Tridentina...! Tridentina avanti..! — gridò con forza selvaggia il generale Reverberi dall'alto del carro in movimento, indicando col braccio puntato Nikolajewka. Non fu lasciato avanzare solo: i suoi alpini, riserva disarmata, si gettarono avanti seguendo il carro; generale e soldati raggiunsero i battaglioni che, elettrizzati, fecero massa compatta: il carro sopravanzò trascinando seco il cuore e l'ansito dell'intera divisione; quell'uomo ritto sul tetto metallico non cadde, non fu trapassato, Iddio lo lasciò in piedi, gli consentì di guidare gli alpini fin sulle difese nemiche, di travolgerle in uno slancio furibondo, di rovesciare i cannoni fumanti, di porre in fuga i russi conquistando Nikolajewka e aprendo il varco entro cui dal costone, come richiamata dalle soglie della morte, irruppe la marea d'uomini dilagando nel paese”.
Settant’anni sono tanti, sono una vita compiuta. Molti dei testimoni dei fatti accaduti allora nella steppa russa – ucraina, per la precisione – sono passati nel paradiso di Cantore, come dicono gli Alpini: pochi mesi fa se n’è andato anche Nelson Cenci, il “tenente Cenci” del Sergente nella neve, medico, scrittore e poeta, autore dei versi proposti per questo anniversario. Gli anni trascorsi hanno trasformato i nemici in amici, i gesti di solidarietà verso quelle popolazioni “nemiche” ma mai considerate tali si sono succeduti negli anni. E ora, appurata infine l’inutilità di tutte le guerre, i caduti di ogni parte sono accomunati sotto un’unica bandiera, quella della memoria.
.
.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------
LA FRASE DEL GIORNO
Il messaggio dei superstiti fu la condanna dell'assurda politica di guerra del fascismo. Questo spiega perché le popolazioni delle valli che avevano visto morire i loro figli in Russia si schierarono subito, d'istinto, con la Resistenza. I partigiani lottarono contro i nazi-fascisti anche per conto dei fratelli, dei figli, degli amici che erano morti in Russia.
NUTO REVELLI, La Stampa, 23 gennaio 1963
...esperienze ...se vissute come si deve....compiono trasformazioni della vita umana...trasformazioni che fanno comprendere il significato del vivere e come hai detto l'inutilità di certe cose.
RispondiElimina..la poesia....non può che essere sentita e accorata.
ciaoo Vania
il tempo aiuta a vedere meglio
RispondiEliminaTi ringrazio perché ogni anno ricordi questa triste e tragica vicenda.
RispondiEliminaMi tocca personalmente, in quanto un fratello di mia nonna vi morì (anche se la bisnonna fino alla fine credeva che sarebbe tornato)...
Federica
È un'impresa che mi sta molto a cuore, anche perché dimenticata dai più.
RispondiElimina