GIORGIO CALCAGNO
IL FIORE DEL CASTAGNO
Il fiore del castagno, che si accende
di luce giallo-bosco, monacale
introibo all'autunno, all'invernale
gioia dei ceppi, timido contende
il sole del settembre, se scoscende
un lampo verde per i rami, o sale
sangue rugoso su dal germinale
cuore delle radici, avaro stende
l'esile filamento a bere un cielo
dove l'azzurro è muto, dove il suono
ha perduto il colore, sul confine
cinereo della fede, e dietro il velo
della sua povertà preannuncia un dono
manna di vita, splendido di spine.
(da "Sul sentiero dei Franchi", Aragno, 2004)
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Settembre, il confine tra l‘estate e l’autunno: la prima non ha più il calore insopportabile di luglio e agosto, il secondo non ha ancora messo in opera la svestizione che porterà al lungo letargo invernale. “Introibo” all’autunno, come le prime parole che il sacerdote pronunciava per dare inizio alla messa prima che il Concilio Vaticano II riformasse la liturgia (Introibo ad altare Dei, dal salmo 42), il primissimo accenno della colorata e malinconica stagione. Così il largo piumino dorato che è il fiore del castagno si mescola ai verdi ricci che stanno per seccare e cadere a terra riversando il loro tesoro, si confonde con giochi di riflessi che il sole porta lungo il fogliame ancora verde.
Giorgio Calcagno, giornalista, critico letterario e poeta, coglie in questo suo sonetto proprio la delicatezza di settembre, espressa con aggettivi che richiamano la condizione dimessa: “monacale”, “avaro”, “esile”, “muto”, “cinereo”. Un impoverimento, insomma, ma solo apparente, se il risultato è quel dono buono e nutriente.
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Fotografia © Georg Slickers
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LA FRASE DEL GIORNO
I giorni di settembre sono, fino all'ultimo meriggio, ariose e melodiose strofe classiche che all'avvicinarsi della notte diventano troppo buiosamente romantiche.
GIOVANNI PAPINI, La spia del mondo
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