Non è difficile definire il passato: altro non è che la nostra vita, la somma di giorni che dalla nascita al momento presente si sono succeduti con i loro errori e i loro trionfi, con gli amori e le delusioni, i sogni e le illusioni, le bellezze e le bruttezze. Perché “il passato è la sostanza di cui è fatto il tempo”, come scrive Jorge Luis Borges in un racconto di “Aleph”, “L’attesa”.
L’americano Wendell Berry rileva che “Il passato è quello che ci definisce. Possiamo cercare a torto o a ragione di sfuggirgli o di sfuggire alle brutture che contiene, ma ci riusciremo solo se gli aggiungeremo qualcosa di migliore”. Un serpente che si morde la coda: per migliorare il nostro passato dobbiamo migliorare il nostro presente, comportandoci in modo da migliorare così anche il futuro. Non è facile, e lo conferma un famoso passo del “Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald: “Così procediamo a fatica, barche contro corrente, risospinti senza sosta nel passato”. Perché – è sempre Francis Scott Fitzgerald (“L’età del jazz e altri scritti”) - “Ritrovare il passato e scoprirlo inadeguato al presente è ancora più triste di quel che non sia il fatto che esso vi eluda e rimanga per sempre una concezione armoniosa della memoria”.
È anche l’altro lato della medaglia: il suo fascino consiste nell’essere irrimediabilmente perduto e immodificabile. La sua certezza, i suoi confini ben delineati, i paletti piantati e irremovibili lo fanno apparire come una specie di età dell’oro (chi dice di no vada a guardarsi un paio di album di fotografie che tiene nel cassetto). “Là dove noi non siamo, si sta bene. Nel passato noi non ci siamo più, ed esso ci appare bellissimo” constata amaramente il celebre drammaturgo russo Anton Cechov. Riecheggia Marcel Proust: “I veri paradisi sono i paradisi che si sono perduti” scrive nel “Tempo ritrovato”. E il latino Orazio nella sua “Ars poetica” si definiva “Laudator temporis acti”, lodatore del passato. E ancora Hermann Hesse nella poesia “Laguna”: “Anch'io sono figlio di un tempo passato, l'oggi mi è estraneo, né odioso né adorato”. E, come si è detto, è facile capire perché: “Solo ciò che è trascorso o mutato o scomparso ci rivela il suo volto reale” nota Cesare Pavese in “Terra d’esilio”, uno dei suoi racconti.
C’è chi invece si ancora nel presente, come il poeta latino Marziale. In questo epigramma (VIII, 69) “si tocca” e rivendica tutta la bellezza del presente: “Ammiri solo gli antichi, Vacerra / e lodi i poeti solo se sono già morti. / Scusami, Vacerra, ma non val la pena / che io, per piacerti, muoia”.
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Fotografia dal web
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LA FRASE DEL GIORNO
Ciò che abbiamo vissuto non si può annullare, ciò che è stato è indistruttibile.
GIORGIO SCERBANENCO, La sabbia non ricorda
LA FRASE DEL GIORNO
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