L’altra sera ho visto un episodio dell’ottava stagione della serie “Criminal Intent”: il brutale assassinio che è oggetto di ogni puntata stavolta avveniva nel mondo dei poeti. Scattavano allora le battutine: “Ma esistono ancora i poeti?”, “Chi può andare ad assistere a una lettura di poesie? Saranno stati davvero in pochi…”, “Ma la poesia non era morta?”.
Mi è poi capitato di leggere uno stralcio del saggio postumo “Il reato di scrivere”, pubblicato pochi giorni fa da Adelphi, del poeta italo-argentino Juan Rodolfo Wilcock, scomparso nel 1978: “I promotori di un’inchiesta mi hanno domandato «Che cosa significa per Lei, oggi, Dante?». Poiché Dante fu il poeta massimo della letteratura europea, per me è come se mi domandassero: «Che cosa significa per Lei, oggi, la poesia?». (…) La domanda su Dante, cioè sulla poesia, non solo mi riguarda, ma mi coinvolge. Allo stesso modo coinvolge migliaia di persone che scrivono o hanno scritto poesie, che si occupano o si sono occupate di poesia. (…) La domanda interessa quasi tutti noi, perché fino a poco tempo fa quasi tutti noi partecipavamo a questa produzione, o al suo simulacro, e l’abbiamo vista scomparire sotto i nostri occhi. Scomparire come mestiere per diventare vizio”.
Allora, ha ancora senso scrivere poesie, leggere poesie, emozionarsi di fronte all’emozione di un poeta, immettere in quei versi anche le proprie emozioni? O è meglio piantare baracca e burattini e affidarsi agli SMS, a Facebook, a Twitter, a un linguaggio base di 800 parole che trasforma le nostre vite in pianure piatte come la Val Padana, lontano dalle vette eccelse e fuori moda della poesia?
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Immagine © The Grizzly Den
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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia è un nesso tra due misteri: quello del poeta e quello del lettore.
DÁMASO ALONSO
Juan Rodolfo Wilcock (Buenos Aires, 17 aprile 1919 – Lubriano, 16 marzo 1978), poeta, scrittore, critico letterario e traduttore argentino naturalizzato italiano. La sua vita può essere divisa in due parti: quella vissuta in Argentina fino al 1957, con sei raccolte, e quella successiva, a Roma e Lubriano. Scrisse in spagnolo e italiano.
La tua riflessione mi riguarda direttamente e quelle battutine mi lasciano sdegnata, battutine che non solo vengono dette in tv, ma anche fuori. Si ha un'idea completamente falsata della poesia e quelle persone non si accorgono di quanta potenza e meraviglia possano sprigionare da una semplice poesia, come le parole hanno un potere enorme, una bellezza incredibile. Ma quelle persone non lo capiranno mai
RispondiEliminaNulla di nuovo, nelle affermazioni iniziali.
RispondiEliminaManca solo la domanda fatale: "ma cosa ci guiadagni?" che in genere mi sento rivolgere da un interlocutore su due.
Io continuo però a credere che la poesia sia uno scrigno meraviglioso, anche se, per pudore, si apre solo per chi ne cerca la chiave. La ricerca, non è certo facile. Ma il premio per la fatica...è insuperabile!
(Sarei stata assai curiosa, di vedere la trasmissione di cui parli)
Grazie di queste manifestazioni d'affetto per la poesia: io ritengo sia innata in noi, e che chiunque può essere in grado, se non di scrivere poesie, almeno di apprezzarle. Purtroppo la scuola, l'editoria, i mass media in generale propendono per un facile consumo di ogni cosa, preferendo la quantità alla qualità, l'ascolto al valore.
RispondiElimina"Criminal intent" è un telefilm americano del fortunato filone di "Law & Order": non è del telefilm che parlo male, ma dell'atteggiamento colto dalla sceneggiatura di tante persone che giudicano la poesia solo in base all'utile o alla diffusione. In effetti uno dei due detective risolve il caso scrivendo una poesia e spacciandola come quella dell'assassinato...