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domenica 25 gennaio 2009

Uomo del mio tempo



SALVATORE QUASIMODO

UOMO DEL MIO TEMPO


Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

(da Giorno dopo giorno, 1948)
.

Passano gli anni, i secoli, i millenni, ma l'umanità sembra non essere in grado di redimersi, di superare la sua natura aggressiva e di evolversi in una utopica società capace di vincere con slancio solidale la precarietà della violenza.

Salvatore Quasimodo affronta questo tema in una delle sue poesie più significative, "Uomo del mio tempo", che chiude la raccolta Giorno dopo giorno: e davvero questa natura umana appare immutabile a Quasimodo, che scrive nel 1935, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale: il passare del tempo non fa altro che affinare quegli strumenti di morte, passando dalle armi preistoriche alle più raffinate macchine da guerra, quegli aerei che avrebbero bombardato navi e città, quei carri armati che avrebbero seminato distruzione in mezza Europa, quelle forche lugubremente innalzate ad Auschwitz, quelle nuove forme di tortura praticate dai nazisti nei lager.

Il denominatore comune è l'uomo, la mano che armava la fionda e che ora manovra la cloche di un cacciabombardiere. L'uomo che ciecamente si affida alla scienza, capace sì di vincere terribili malattie e di migliorare la vita, ma anche di ideare la bomba atomica. "Senza amore, senza Cristo", perché che cos'altro è l'insegnamento cristiano se non puro amore? "Ama il prossimo tuo come te stesso". Se questo assunto viene ignorato, allora tutto è consentito, anche lo sterminio. Quasimodo ci dice espressamente che c'è stato un tempo senza Cristo, rievoca l'episodio della Genesi, il primo omicidio perpetrato da Caino. Senza Cristo l'uomo è come gli animali, la sua natura è bestiale, quelle parole sussurrate ad Abele, "Andiamo nei campi" riecheggiano ogni volta che l'uomo alza la mano contro un proprio simile, un proprio fratello. Bisognerebbe vergognarsi di questo retaggio, avere il coraggio di abbandonare Caino per abbracciare il precetto dell'amore.


"Enola Gay", l'aereo che sganciò l'atomica su Hiroshima
in una fotografia di Paul Tibbets


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LA FRASE DEL GIORNO
Il rifiuto totale della religione conduce alla dimenticanza dei doveri umani.
JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Emilio




Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968), poeta e traduttore italiano, esponente di rilievo dell'ermetismo.  Essenziale ed epigrammatico, ha  temperato gli influssi originari in un linguaggio poeticamente sempre più autonomo, che libera un’intensa sensualità in trepide visioni. Premio Nobel per la letteratura 1959 “per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi”.


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