In un bosco di betulle sulle pendici del monte Mashuk, presso la città termale di Pjatigorsk, il 27 luglio del 1841, si svolse un duello tra un ufficiale noto per la sua millanteria, il maggiore Nikolaj Martynov, e un suo ex compagno di corso, ufficiale degli ussari. Fu questi a rimanere ucciso: quel ventisettenne era anche un poeta e drammaturgo. Si chiamava Michail Jurevic Lermontov ed era molto amato dai suoi commilitoni, che narravano di come scrivesse poesie anche giocando a scacchi, tra una mossa e l'altra dell'avversario.
Nel periodo trascorso a San Pietroburgo aveva conosciuto l'alta società - la stessa descritta da Tolstoj in "Guerra e pace" - e l'aveva ritratta nell'opera "Un ballo in maschera". Ma la sua fama divenne ancora più grande quando denunciò con la poesia "La morte del poeta", l'uccisione da parte degli uomini dello zar di Alexandr Puskin, amatissimo poeta russo. I versi furono tramandati nella vastità del continente russo, passavano di bocca in bocca, imparati a memoria, riprodotti in innumerevoli copie. Lermontov viene esiliato nel Caucaso, dove si interessa della poesia popolare non scritta e pubblica il poema "Il demone", che descrive una personalità forte e ribelle, solitaria e amante della libertà. In pratica, proprio Lermontov, un uomo soggiogato dal proprio "demone", che lo allontana dalla massa informe e debole verso un aristocratico anticonformismo che lo porta però a inutili scandali, a ribellioni orgogliose che, come si è visto, lo porteranno al duello finale. In "Ismail-Bey" scrive: "Io pensai: come è misero l'uomo! Che cosa vuole?... Il cielo è puro e quaggiù c'è posto per tutti; pure senza motivo e senza necessità solitario egli vive di odio. Perché?"
La sua poesia è quindi quella di un solitario che si astrae dalla moltitudine ma che non riesce comunque a cogliere l'essenza della vita. Un solitario che vuole esserlo, ma che soffre per questa sua solitudine, che si barcamena tra sogno ideale e realtà, tra scetticismo e protesta disperata, come testimonia anche il notevole romanzo che chiude le sue opere, "Un testimone del nostro tempo": lì si trovano i germi dell'ossessiva introspezione che sfocerà nei personaggi di Dostoevskij.
SOLITUDINE
Orrendo trarre solitari
di questa vita le catene.
A spartire la gioia ognuno è pronto,
ma nessuno a spartire la tristezza.
Solo qui sono come un re celeste,
costretti in cuore i miei dolori,
e vedo, docili al destino,
come visioni gli anni dileguare;
e tornano essi, con dorato,
ma con lo stesso antico sogno;
e vedo una solinga tomba
che aspetta: a che indugiare sulla terra?
Di ciò nessuno sarà afflitto:
s'allegrerà (ne sono certo)
la gente più della mia morte
che non, già, della mia nascita.
* * *
IL SOGNO
Nel Daghestan scosceso bruciava il mezzogiorno,
ed io giacevo inerte dal piombo trapassato:
l'orribile ferita bruciava ancora intorno;
a goccia a goccia il sangue colava inesorato.
Solo giacevo steso nella sabbiosa valle.
Si stringevano le rupi frastagliate e contorte:
il sole divampava sulle loro vette gialle
e su me, chiuso in un sonno tenace come morte.
Sognavo... Nel mio luogo natale, a tarda sera,
ferveva un gran banchetto fra ceri sfavillanti:
giovani donne, cinte da fresca primavera
di fiori, discorrevano di me gaie e festanti.
Ma sola, pensierosa, ignara del rumore
delle altre, una sedeva stretta in silenzio arcano:
in un funereo sogno pareva il giovane cuore
sperduto e trasportato chissà dove, lontano...
Essa un profondo borro del Daghestan sognava,
dove una forma nota giaceva irrigidita:
fumava, nereggiando nel petto, una ferita,
e il sangue a goccia a goccia, seccando al sole, colava.
ed io giacevo inerte dal piombo trapassato:
l'orribile ferita bruciava ancora intorno;
a goccia a goccia il sangue colava inesorato.
Solo giacevo steso nella sabbiosa valle.
Si stringevano le rupi frastagliate e contorte:
il sole divampava sulle loro vette gialle
e su me, chiuso in un sonno tenace come morte.
Sognavo... Nel mio luogo natale, a tarda sera,
ferveva un gran banchetto fra ceri sfavillanti:
giovani donne, cinte da fresca primavera
di fiori, discorrevano di me gaie e festanti.
Ma sola, pensierosa, ignara del rumore
delle altre, una sedeva stretta in silenzio arcano:
in un funereo sogno pareva il giovane cuore
sperduto e trasportato chissà dove, lontano...
Essa un profondo borro del Daghestan sognava,
dove una forma nota giaceva irrigidita:
fumava, nereggiando nel petto, una ferita,
e il sangue a goccia a goccia, seccando al sole, colava.
Piotr Zabolosky, "Ritratto di Lermontov", 1837
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LA FRASE DEL GIORNO
Questa è la storia della mia gioventù. Quando ci ripenso mi appare breve come una notte d'estate. Un po' di musica, un po' di spirito, un po' d'amore, un po' di vanità... ma è stata bella, ricca e multicolore come una festa eleusina.
HERMANN HESSE, Peter Camenzind
Michail Jur'evič Lermontov (Mosca, 3 ottobre 1814 – Pjatigorsk, 27 luglio 1841), poeta, drammaturgo e pittore russo. Figura di spicco del romanticismo, è considerato uno tra i maggiori scrittori del XIX secolo. Militare di carriera, durante la sua breve vita pubblicò soltanto un volume di poesie, Versi, e il romanzo Un eroe del nostro tempo. Morì in duello.
Qui trovo sempre materiale molto interessante. Bene, torno a 'Satura'. Un saluto.
RispondiEliminaLermontov mi è particolarmente caro, l'ho scoperto all'università, quando ho dovuto preparare un esame su di lui. E' in assoluto uno dei miei preferiti!
RispondiEliminaCerco i canti popolari ai quali fa riferimento Lermontov: qualcuno può aiutarmi? fantuzzi.ilario@gmail.com
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