GIUSEPPE UNGARETTI
DANNAZIONE
Chiuso fra cose mortali
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?
(da Allegria di naufragi, Vallecchi, 1919)
Solo dodici parole per esprimere tutto il senso del limite che la natura umana si porta dietro: la poesia è anche questa illuminazione, questa percezione che permette in soli tre versi di lanciare al cielo questo grido, questa ansia spirituale.
Giuseppe Ungaretti scrive "Dannazione" il 29 giugno 1916 a Mariano del Friuli, in zona di guerra. È un soldato semplice del 19° Reggimento di fanteria, ha ventotto anni e ha lasciato i circoli artistici di Parigi per essere catapultato nello strazio del Carso: è logico che stia vivendo un travaglio interiore anche a causa del conflitto. Guarda il bel cielo di giugno, punteggiato di stelle, e davanti all'infinito si chiede come varcare la precarietà dell'essere umano. Negli occhi ha ancora gli orrori di "Veglia" (Un'intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato), di case distrutte, di corpi disfatti dai combattimenti. Desidera la fede, l'assoluto, e lo fa con queste parole scarne, essenziali, quasi a dire solo il necessario per lasciare il resto alla meditazione, alla contemplazione. "Ma Dio cos'è?" si domanda in un'altra poesia scritta lo stesso giorno, "Risvegli".
La risposta verrà anni dopo, quando Ungaretti troverà posto alle sue inquietudini nella tradizione cristiana. "La parola dell'anno liturgico mi si era fatta vicina nella fede" scriverà dopo un soggiorno di sette giorni presso il monastero di Subiaco nel 1928: da lì gli verrà l'ispirazione per gli "Inni": "Dio, guarda la nostra debolezza" dirà nella "Pietà", e ancora: "Fulmina le mie povere emozioni / Liberami dall'inquietudine". E con "La preghiera", poesia del 1928, risponderà al quesito del 29 giugno 1916: "Sii la misura, sii il mistero // Purificante amore..."
Ungaretti soldato (fotografia di Pubblico Dominio)
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LA FRASE DEL GIORNO
"Pensare, analizzare, inventare non sono atti anormali, sono la normale respirazione dell'intelligenza.
JORGE LUIS BORGES, Finzioni
Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è uno dei tre grandi poeti dell’Ermetismo italiano. Trasferitosi a Parigi nel 1912, prese parte alla Prima guerra mondiale nelle trincee del Carso e poi in Champagne. Dal 1935 al 1942 insegnò in Brasile e dal 1947 al 1965 fu professore di letteratura moderna alla Sapienza.
La finitudine di ciò che appare infinito (il cosmo, le costellazioni, l'universo) porta a considerare (a meno di non chiamarsi Margherita Hack...)
RispondiEliminache OLTRE ogni limitato umano, terreno e materiale confine, esiste - è esistito ed esisterà sempre - l'onnipotenza onnipresente di Dio
Luciana
http://www.lucianabianchicavalleri.com
http://www.comoinpoesia.com
È quello che viene di pensare, anzi di sentire intimamente e forse inconsciamente, di fronte all'infinito. Un retaggio ancestrale. La Hack vede solo pietre e gas... punti di vista.
RispondiEliminaSenza nulla togliere alla Hack - -che non perde occasione per esternare in assoluta e totale convinzione il suo "nichilismo radicale" - il suo modo di pensare non mi corrisponde affatto - (e ne son ben lieta)
RispondiEliminaPer rimanere nell'ambito della scienza, Einstein si situava almeno a metà strada:
"La scienza senza la religione è zoppa; la religione senza la scienza è cieca".
Ma guarda un po' a quali confini sconfinati porta, leggere Ungaretti...! E poi dicono che la poesia è inutile?!? eheheh...)
Leggere è confrontarsi, porsi domande. Leggere un poeta è la stessa cosa, ma elevata al quadrato.
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