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venerdì 11 ottobre 2019

Premio Nobel a Peter Handke


Il Premio Nobel per la Letteratura 2019 è stato assegnato allo scrittore austriaco Peter Handke (quello per il 2018 dopo la decisione assurda di rinviarlo a quest’anno è stato assegnato alla romanziera polacca Olga Tokarczuk).

La motivazione dell’assegnazione a Handke è la seguente: “per un lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell'esperienza umana”. Oltre a romanzi, saggi, raccolte di poesie e testi teatrali, Handke ha firmato la sceneggiatura di alcuni film di Wim Wenders, su tutti il cielo sopra Berlino. Cinque le sue raccolte di poesie: Poesie tedesche e Il mondo interiore del mondo esteriore del mondo interiore del 1969, La fine della passeggiata del 1977, Poesie del 1987, Vita senza poesia del 2007.

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FOTOGRAFIA © DIE LITERARISCHE WELT

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LA DONNA MANCINA

Lei saliva con altri da una stazione del metro
mangiava con altri a una tavola calda
aspettava con altri in una lavanderia
ma una volta l'ho vista da sola
davanti a un giornale murale

Usciva con altri da un grattacielo d'uffici
si pigiava con altri ad una bancarella
era seduta con altri presso un campo-giochi di sabbia
ma una volta l'ho vista dalla finestra
giocare a scacchi da sola

Era sdraiata con altri su un prato del parco
rideva con altri in un labirinto di specchi
gridava con altri sull'ottovolante
e poi sola la vidi soltanto
camminare nei miei desideri

Ma oggi nella mia casa aperta:
la cornetta era girata dall'altra parte
la matita era a sinistra dell'agenda
a sinistra la tazza del tè
e il manico pure a sinistra
e vicino la mela sbucciata in senso inverso
(e non finita di sbucciare)
le tende raccolte a sinistra
e la chiave della porta di casa
nella tasca sinistra della mia giacca
Ti sei tradita, o mancina!
O era per lasciarmi un messaggio?
Vederti IN UN CONTINENTE STRANIERO io vorrei
perché finalmente in mezzo agli altri ti vedrei sola
e tu fra mille altri vedresti ME
e finalmente ci verremmo incontro.

(Traduzione di Anna Maria Carpi)

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da CANTO ALLA DURATA

È da tanto che voglio scrivere qualcosa sulla durata,
non un saggio, non un testo teatrale, non una storia –
la durata induce alla poesia.
Voglio interrogarmi con un canto,
voglio ricordare con un canto, dire e affidare a un canto
cos’è la durata.

Quante volte ho avvertito la durata
nei primi segni di primavera alla Fontaine Sainte-Marie,
nel vento notturno delle Porte d’Auteuil,
nel sole estivo del Carso,
nell’incamminarmi all’alba verso una casa dopo un’intesa.

Quel senso di durata, cos’era?
Era un periodo di tempo?
Qualcosa di misurabile? Una certezza?
No, la durata era una sensazione,
la più fugace di tutte le sensazioni,
spesso più veloce di un attimo,
non prevedibile, non controllabile,
inafferrabile, non misurabile.
Eppure con il suo aiuto
avrei potuto affrontare sorridendo ogni avversario
e disarmarlo
e se mi considerava un uomo malvagio
l’avrei convinto a pensare:
“Egli è buono!”
e se esistesse un Dio
sarei stato io la sua creatura
finché provavo quella sensazione della durata.

Proprio ieri nel Waagplatz a Salisburgo
nel frastuono della folla sempre intenta a far la spesa,
udendo una voce
come proveniente dall’altra parte della città
chiamare il mio nome,
mi sono accorto in quello stesso istante
di aver dimenticato su una bancarella
il testo della Ripetizione
che stavo portando alla posta
e nel tornare indietro di corsa ho sentito quell’altra voce
che un quarto di secolo prima
nel silenzio notturno di un sobborgo di Graz,
dall’altro capo di una lunga strada diritta e deserta,
si era rivolta a me con eguale premura e come dall’alto
e mi venne cosí di descrivere
la sensazione della durata
come il momento in cui ci si mette in ascolto,
il momento in cui ci si raccoglie in se stessi,
in cui ci si sente avvolgere,
il momento in cui ci si sente raggiungere
da cosa? Da un sole in piú,
da un vento fresco,
da un delicato accordo senza suono
in cui tutte le dissonanze si compongono e si fondono assieme.

«Ci vogliono giorni, passano anni»:
Goethe, mio eroe
e maestro del dire essenziale,
anche questa volta hai colto nel segno:
la durata ha a che fare con gli anni,
con i decenni, con il tempo della nostra vita:
ecco, la durata è la sensazione di vivere.

Inutile forse dire
che la durata non nasce
dalle catastrofi di ogni giorno,
dal ripetersi delle contrarietà,
dal riaccendersi di nuovi conflitti,
dal conteggio delle vittime.
Il treno in ritardo come al solito,
l’auto che di nuovo ti schizza addosso
lo sporco di una pozzanghera,
il vigile che col dito ti fa cenno
dall’altro lato della strada, uno con i baffi
(non quello ben rasato di ieri),
la morchella che ogni anno rispunta
in un angolo diverso nel folto del giardino,
il cane del vicino che ogni mattina ti ringhia contro,
i geloni dei bambini che ogni inverno
tornano a pizzicare,
quel sogno terrorizzante sempre uguale
di perdere la donna amata,
l’eterno nostro sentirci improvvisamente estranei
fra un respiro e l’altro,
lo squallore del ritorno nel tuo paese
dopo i tuoi viaggi di esplorazione del mondo,
quelle miriadi di morti anticipate
di notte prima del canto degli uccelli,
ogni giorno la radio che racconta un attentato,
ogni giorno uno scolaro investito,
ogni giorno gli sguardi cattivi dello sconosciuto:
è vero che tutto questo non passa
– non passerà mai, non finirà mai –,
ma non ha la forza della durata,
non emana il calore della durata,
non dà il conforto della durata.

Necessario invece distinguere:
neanche «i prodigi mirabili dell’attimo,
nemmeno loro sanno generare ciò che dura
e appaga con la forza della quiete».

(...)


(da Canto alla durata, Einaudi, 2016 – Traduzione di Hans Kitzmüller)

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LA FRASE DEL GIORNO
Il nesso è possibile. Ogni singolo istante della mia vita combacia con ogni altro – senza anelli di congiunzione. Un legame immediato esiste; basta che io lo liberi nella fantasia.
PETER HANDKE, Lento ritorno a casa




Peter Handke (Griffen, 6 dicembre 1942) è uno scrittore, drammaturgo, saggista, poeta, reporter di viaggio, sceneggiatore e regista austriaco. È stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura 2019 “per un lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell'esperienza umana”.


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