KATE CLANCHY
VIAGGIARE
(alla maniera di Gösta Ågren)
Se dovessi andare a Samarcanda
magari troveresti Sherazade
in mille riproduzioni,
vestita di lustrini, come souvenir,
e le cupole dorate di Al-al-Din
ricoperte di segnali turistici sovietici
e ossidate, su un cielo metallico.
Ma restare è come partire.
Da qui si stendono i campi
dell’Oxfordshire
già del colore di una sovrana d’oro.
E quando il fieno è raccolto in balle
che sembrano ruote, e l’occhio corre
dai solchi scuri dei trattori all’orizzonte
nudo dell’autunno,
là brucerà là Samarcanda
e Samarcanda, e Samarcanda.
(To travel, da Samarcanda, 1999 - Traduzione di Giorgia Sensi)
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Alla schiera dei viaggiatori immobili si unisce anche la poetessa scozzese Kate Clanchy con il suo stile immediato e pulito. Già avevamo visto la Patagonia come un sogno, un luogo della mente. Analogamente è per Samarcanda, antichissima città che fece parte dell’impero persiano, di quello turco, di quello mongolo e di quello russo per poi finire nell’Unione Sovietica e attualmente in Uzbekistan, contesa dai tagiki. Samarcanda resta là, lontana come un luogo disogno: quello che è davanti agli occhi di Kate ogni giorno è la bucolica campagna inglese dove biondeggiano i campi di grano, quel proletariato rurale – e qui si spiega l’epigrafe - di cui canta il poeta finlandese Gösta Ågren.
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FOTOGRAFIA © AWESOME PHOTOGRAPHY
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LA FRASE DEL GIORNO
L’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza, non consiste nell’andare a vedere nuovi paesaggi ma nell’avere nuovi occhi.
MARCEL PROUST, La prigioniera
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