VITTORIO SERENI
DIMITRIOS
Alla tenda s’accosta
il piccolo nemico
Dimitrios e mi sorprende,
d’uccello tenue strido
sul vetro del meriggio.
Non torce la bocca pura
la grazia che chiede pane,
non si vela di pianto
lo sguardo che fame e paura
stempera nel cielo d’infanzia.
È già lontano,
arguto mulinello
che s’annulla nell’afa,
Dimitrios, su lande avare
appena credibile, appena
vivo sussulto
di me, della mia vita
esitante sul mare.
(da Diario d’Algeria, Einaudi, 1947)
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Chi è più adatto a esprimere l’inutilità della guerra, tutto il suo orrore? Chi l’ha provata naturalmente. Giuseppe Ungaretti, Mario Rigoni Stern, Clemente Rebora, Emilio Lussu hanno lasciato pagine e pagine di testimonianze simili. Anche il poeta Vittorio Sereni, strappato all’insegnamento in un liceo di Modena, trasformato in ufficiale di fanteria, prigioniero in Algeria e nell’allora Marocco Francese per due anni. Si rende conto che il nemico, sotto forma di un bambino che gli chiede pane, non è affatto nemico. Ma è una lezione che l’umanità sembra non imparare mai.
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FOTOGRAFIA © ROYAL AIR FORCE
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LA FRASE DEL GIORNO
Non riusciva a capire come mai aveva avuto bisogno di così tante parole per descrivere la guerra, quando ne bastava solo una: paura.
GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ, Cent’anni di solitudine
Vittorio Sereni (Luino, 27 luglio 1913 – Milano, 10 febbraio 1983), poeta italiano, è il capostipite della variante lombarda del novecentismo poetico, detto “Linea lombarda”. Ufficiale di fanteria, viene fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943. Nel dopoguerra è direttore letterario di Mondadori e cura la prima edizione dei Meridiani.
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