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giovedì 9 febbraio 2012

Esatto e d’argento


SYLVIA PLATH

SPECCHIO

Sono esatto e d’argento, privo di preconcetti.
qualunque cosa io veda subito l’inghiottisco
tale e quale senza ombre di amore o disgusto.
Io non sono crudele, ma soltanto veritiero -
quadrangolare occhio di un piccolo iddio.
Il più del tempo rifletto
sulla parete di fronte.
È rosa, macchiettata. Ormai da tanto tempo la guardo che la sento
un pezzo del mio cuore. Ma lei c’è e non c’è.
Visi e oscurità continuamente si separano.

Adesso io sono un lago. Su me si china una donna
cercando in me di scoprire quella che lei è realmente.
Poi a quelle bugiarde si volta: alle candele o alla luna.
Io vedo la sua schiena e la rifletto fedelmente.
Me ne ripaga con lacrime e un agitare di mani.
Sono importante per lei. Anche lei viene e va.
Ogni mattina il suo viso si alterna all’oscurità.
In me lei ha annegato una ragazza, da me gli sorge incontro
giorno dopo giorno una vecchia, pesce mostruoso.

(da Ariel, 1965)

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È uno specchio a parlare in questa poesia di Sylvia Plath: uno specchio che riflette per la maggior parte del tempo una parete, come è logico che sia. Uno specchio che però accoglie anche la vita che si svolge nella stanza sul ritmo dei giorni e delle stagioni. Robert Lowell scrisse a proposito dei versi di Ariel: “Tutto in queste poesie è personale, una confessione profondamente sentita, ma in lei il modo di sentire è una controllata allucinazione, l’autobiografia di una febbre”. Proprio così: nella seconda strofa di questa poesia appare Sylvia con tutti suoi problemi e le sue preoccupazioni. Possiamo riconoscere quella donna di neanche trent’anni che crede di essere vecchia, che si manifesta in modi diversi a seconda di come la fa apparire il suo disturbo bipolare. Possiamo anche vedere che un giorno non vi appare più: l’11 febbraio 1963 la poetessa americana preparò la colazione per i figli, controllò che fossero al sicuro, scrisse ancora una poesia, Orlo, sigillò accuratamente la cucina e infilò la testa nel forno a gas.

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IMMAGINE © DEVIANTART / ILOVETHAT

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LA FRASE DEL GIORNO
Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Bioy Casares ricordò allora che uno degli eresiarchi di Uqbar aveva giudicato che gli specchi, e la copula, sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini.
JORGE LUIS BORGES, Finzioni




Sylvia Plath (Boston, Massachusetts, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963),  poetessa e scrittrice statunitense. Moglie del poeta Ted Hughes, clinicamente depressa, morì suicida a trent’anni. La sua è poesia “confessionale”, ispirata al vissuto e ai traumi personali.  Tra le sue opere, oltre alle raccolte Il colossoPapaveri a luglio e Ariel anche il romanzo La campana di vetro.

6 commenti:

  1. ...che dire.
    ...forse posso aggiungere ...anche questa è UNA Vita.
    ciao Vania

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  2. Una vita di sofferenze e sensibilità

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  3. La troppa sensibilità, in un modo come quello di Sylvia Plath, poteva uccidere, E forse anche ora, poeti dalla grande capacità empatica dei tempi, dalla ssensazioni esterocettive, ma soprattutto propriocettive così sviluppate, possono morire.Autobiografica, come la maggior parte delle sue poesie.Quella ragazza dal grande talento che sfortunatamente ha incontrato un altro destino talentuoso,che l'ha bruciata nel corpo e nella mente.Quella ragazza senza difese, nell'impossibilità di assorbire ulteriormente vita, è andata oltre, nella pace dell'oblio.

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  4. “Gli specchi dovrebbero riflettere un momentino prima di riflettere le immagini.” Jean Cocteau
    Specchio,arte,donna,suicidio
    Casualmente,nei rispettivi post di questi giorni, ci accomunano gli stessi temi.
    Un saluto

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  5. Ho visto: il bel post su Francesca Woodman, altra figura che mi piace moltissimo. E il suo post su questo blog è il più letto di sempre...

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  6. Grazie, e bello il video.
    Per condivisione e per fare rete...ti consiglio:
    http://aitanblog.wordpress.com/2012/02/06/il-treno-di-ted/#comment-13976

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