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venerdì 22 aprile 2011

Dal sepolcro di iris


LEONARDO SINISGALLI

PASQUA 1952

Le sere d'aprile son fredde e tristi 
quaggiù nei cameroni di casa mia. 
Mio padre si muove appena tra il focolare 
e la latrina. Lo portiamo a braccia, lo svestiamo 
gli sciogliamo le scarpe per farlo dormire.

Le pendici del Serino sono ancora bianche di neve.
Ci siamo tappati nelle stanze, a stento 
ci arrivano dalla piazza i rintocchi dell'orologio 
Il fumo ci arrossa gli occhi, 
è umida di bosco la legna mortacina.

Cristo risorgerà dal sepolcro di iris.
i messaggeri ce l'hanno annunziato 
bussando alle imposte. 
I piccoli pastori ci portano i primi 
asparagi dalle spinete, l'ortolana 
Scalza è entrata con un cesto di fiori di rape.

Aspettavo da trent'anni una Pasqua 
tra i fossi, il muschio sopra i sassi, 
le viole tra le tegole. Ma i morti 
dormono nelle bare di castagno, 
sugli archi delle stalle e dei porcili, 
sulle crociere delle cantine e dei pollai. 
Fanno fatica ad abbandonare per sempre 
le nostre sedie, i nostri letti, 
dove vissero tanti anni di lenta agonia.

Lungo le strade gli stracci 
neri delle vesti sono più silenziosi. 
Un gruppo d'uomini brucia col ferro 
il grumo di veleno nella bocca dell'asino.

M'ero messo in viaggio verso una Pasqua 
in fiore, incontro al Cristo purpureo 
che solleva il coperchio di grano bianco 
cresciuto nelle grotte.

Tutto quello che io so non mi giova 
a cancellare tutto quello che ho visto. 
I fanciulli soffiano sul carbone 
perché dal piombo fiorisca 
il simulacro della rosa.

Vanno e vengono per casa le visitatrici 
a portarci i sarmenti per il fuoco, 
le ceste d'uova, le parole di cordoglio.

C'è sempre nelle stanze il ricordo 
di un lutto recente o il gemito 
di un vecchio malato. 
Mio padre ha il sangue greve. 
Si duole della sua immobilità. 
Lo caricheranno sulle spalle i miei nipoti 
e un giorno, un tiepido giorno di là da venire 
lo porteranno alla vigna. Lo porteranno 
a mezza costa, sulla sedia 
di braccia intrecciate.

Ci è toccata questa valle, questa valle 
abbiamo scelta per tornarci a morire. 
Dove Gesù risorgerà con molta pena 
noi speriamo ardentemente di sopravvivere 
nel cuore dei congiunti e dei compagni, 
nel ricordo dei vicini di casa e di campo.

Come fischiano le rondini 
intorno alla chiesa di San Domenico 
semibuia il giovedì delle tenebre!

(Da La vigna vecchia, Mondadori, 1956)

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Pasqua è forse la festa più legata alle tradizioni: inizia con le palme e srotola i suoi riti seguendo i ritmi della Passione. Seguiamo qui un poeta nel suo ritorno a casa, in nome di quelle tradizioni, ancora fortemente radicate in un mondo rurale degli Anni ‘50. È Leonardo Sinisgalli, poeta lucano nato nel 1908 – dunque nella Pasqua datata di questa poesia ha 44 anni – che torna da Milano, dove è ingegnere alla Pirelli, a Montemurro, il paese natale per restare durante le festività con il padre infermo e con i parenti: è un tuffo nella vita agreste, nei rapporti sociali così diversi da quelli che si coltivano nella grande metropoli industriale. È un ritorno alla memoria, ai giorni dell’infanzia, con la consapevolezza però che la vita è difficile in quella terra, è dolorosamente dura.

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Fotografia © Etsy

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LA FRASE DEL GIORNO
 
È tornato aprile e la tenera frasca, / anch'io ritorno per la buona Pasqua.
LEONARDO SINISGALLI, La vigna vecchia




Leonardo Sinisgalli (Montemurro, 9 marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981), poeta,  saggista e critico d'arte italiano. Noto come Il poeta ingegnere per il fatto che lavorò per Olivetti e Pirelli e per aver fatto convivere nelle sue opere cultura umanistica e cultura scientifica. Fondò e diresse la rivista “Civiltà delle macchine”.


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